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Il sistema mafia. Dall'economia-mondo al dominio locale - Fabio Armao - copertina
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Il sistema mafia. Dall'economia-mondo al dominio locale - Fabio Armao - copertina

Descrizione


Mafia è uno dei pochissimi lemmi italiani che troverebbe spazio in un ipotetico dizionario della lingua (parlata) universale. Associato ancora adesso a manifestazioni tipiche del nostro Mezzogiorno, esso definisce tuttavia un fenomeno che ha origine in contesti sociali apparentemente molto diversi tra loro - anche Cina, Giappone, Russia - e che travalica i limiti, già per altro assai vasti, della criminalità. La mafia è un vero e proprio sistema di potere che si sviluppa al confine tra lecito e illecito, mescolando elementi propri dell'agire politico-sociale e dell'agire economico.
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Dettagli

2000
13 ottobre 1999
290 p.
9788833912127

Voce della critica



Armao, Fabio, Il sistema mafia dall'economia-mondo al dominio locale, Bollati Boringhieri , 2000
Monzini, Paola, Gruppi criminali a Napoli e a Marsiglia, Donzelli, 1999
recensioni di Grande, C. L'Indice del 2000, n. 09

Salute ottima, affari abbondanti: è un buon momento, a quanto pare, per la criminalità organizzata e i poteri mafiosi. Ne parla, in un saggio intitolato Il sistema mafia. Dall'economia-mondo al dominio locale, Fabio Armao, che insegna relazioni internazionali a Scienze Politiche all'Università di Torino. Le organizzazioni criminali hanno avuto un'evoluzione costante a partire dagli anni settanta - spiega Armao -, quando, con il decadere degli accordi di Bretton Woods, che, limitando i mercati finanziari, controllavano le monete e le valute, si è sviluppato il cosiddetto "capitalismo d'azzardo" ("Casino Capitalism") e sono proliferati i mercati "off-shore", dove i circuiti dei capitali fittizi incontrano i circuiti del denaro clandestino, "in una trama oscura di rischi e di opportunità". Il boom della domanda di droga e di beni illeciti (le armi, in primo luogo, traffico alimentato dai conflitti, dal Vietnam all'ex Jugoslavia) ha fatto il resto: le mafie, spiega Armao, si alimentano di guerra e di mercato nero.
Nella prima parte il saggio di Armao analizza la natura del sistema mafioso (chi è il mafioso, ovvero "un individuo mancato"), spiega come si struttura il clan, qual è la natura del suo potere; la seconda approfondisce lo studio dei rapporti tra il sistema mafioso e gli ambienti con cui interagisce a livello internazionale, statale e locale. Ma il libro è interessante non solo perché muove da solide basi teoriche e scientifiche e analizza la mafia, fenomeno che ha origine in contesti sociali apparentemente molto diversi tra loro (dall'Italia meridionale alla Cina, dalla Russia al Giappone) in modo multidisciplinare; Armao, infatti, cosa che affascina anche il lettore comune, scrive non solo "con la freddezza dello studioso, ma con la partecipazione (e l'angoscia) del cittadino coinvolto". Il che gli permette di ricordare le parole di don Milani sulla virtù della disobbedienza; di affermare che "Il mafioso uccide, violenta, inquina, distrugge. È l'uomo del disonore per eccellenza"; di accompagnare queste parole con una citazione di Adler: "Tutti i criminali sono anche codardi (...). Il crimine è un'imitazione codarda dell'eroismo. (...) Noi sappiamo che sono dei codardi, e se essi realizzassero che ce ne siamo accorti, subirebbero un duro colpo". Cosa che, al di là di ogni "analisi", non va mai dimenticata, per "elaborare un pensiero antitetico a quello mafioso".
A parte La mafia in un villaggio siciliano. 1860-1960, classico di Anton Blok che sta per essere ripubblicato dalle Edizioni di Comunità (il libro, sebbene ormai decisamente datato, è stato uno dei primi saggi che con esempi vivi, attraverso spezzoni di vita, studiavano la mafia nel suo farsi, all'interno delle dinamiche socioeconomiche di un piccolo paese della Sicilia latifondista, definita dall'antropologo una "agrotown"), un altro bel libro da leggere è Gruppi criminali a Napoli e a Marsiglia, di Paola Monzini, studiosa per le Nazioni unite di criminalità internazionale, che mette a confronto la criminalità organizzata di due città che hanno molte cose in comune (il mare, il porto, le bettole, i bassifondi, e una "mauvaise réputation"), ma dove la storia dei clan registra importanti differenze, che il saggio della Monzini, eccellente esempio di come si dovrebbe affrontare la malavita, registra scrupolosamente. Gli anni fra il 1820 e il 1990, questo il periodo coperto dall'opera, raccontano di due città gemelle che prendono strade sorprendentemente diverse: Marsiglia è tradizionalmente un importantissimo scalo passeggeri e nodo di traffici illeciti verso l'America Latina e i territori coloniali: Madagascar e Indocina, Brasile, Argentina, Uruguay, Stati Uniti, Antille e Caraibi. Ad approfittarne, più che italiani e spagnoli, sono soprattutto i corsi, che grazie alla nazionalità francese possono scambiare voti con protezioni politiche e allargare il racket internazionale.
Un esempio fra tutti, intorno agli anni trenta (quando le amministrazioni a Saigon e in Indocina erano spesso gestite da isolani) sono le carriere di François Spirito (detto Lydro) e di Paul Venture Carbone, immigrati di seconda generazione - il primo di origine calabrese, il secondo di famiglia corsa - che danno vita a un network illecito di ampio raggio. "Lydro" si specializza nella tratta delle bianche, Carbone nel traffico di oppio con l'Indocina. Dopo aver tentato, con scarso successo, di gestire bordelli in Egitto, i due si concentrano sulla città. Fanno una vita da gangster americani, bazzicano le scommesse sportive, i cinodromi e gli incontri di boxe. Carbone diventa impresario immobiliare, Spirito continua l'intrapresa acquistando bar, ristoranti e locali notturni nell'area del Vieux Port, senza disdegnare il traffico di armi in Spagna durante la guerra civile o di generi alimentari in Italia, sottoposta a sanzioni per l'invasione dell'Etiopia. Carbone fu il primo in Europa ad allestire a Bandol, nei pressi di Marsiglia, un laboratorio per la trasformazione dell'eroina, smerciandola negli Stati Uniti nascosta in forme di parmigiano.
A Napoli, invece, cosa fanno i membri dell'Onorata Società? Si specializzano in attività regionali: estorsione, controllo delle campagne, regolazione dei rapporti tra lavoratori e proprietari terrieri o industriali. La cosa sorprendente è che i clan marsigliesi, pur disponendo di un mercato più importante di quello di cui dispone la camorra, conosceranno un forte declino: oggi i gruppi criminali marsigliesi sono forti ma molto sotterranei, non controllano la società e il territorio. Si potrebbe parlare soprattutto di microdelinquenza, mentre i grandi traffici sono svolti dai colletti bianchi: i clan, insomma, non partecipano alla gestione politico-amministrativa della regione.
Come è potuto avvenire tutto questo? Il traffico di donne venne interrotto dalla Società delle Nazioni e da legislazioni rigorose in Sudamerica, il porto entrò in crisi, e nel 1973 e '74 il governo centrale, con la collaborazione del sindaco Deferre e l'appoggio degli Stati Uniti, stroncò le attività illegali. Gli ultimi bagliori furono l'uccisione, nell'81, in pieno centro di Marsiglia, del giudice Michel: esecuzione misteriosa (attribuibile a gruppi siculo-francesi), che suscitò reazioni durissime da parte dello Stato.
Morale: la criminalità è forte e potente quando le si lascia svolgere ruoli sociali importanti. Altrimenti può essere tenuta sotto controllo. A Marsiglia la tensione maggiore si avvertì fra gli anni trenta e cinquanta, quando le bande operavano nel porto in funzione anticomunista, regolando il mercato del lavoro. Qualcosa di simile a quello che succede oggi nel napoletano.

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