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scheda di Morino, A. L'Indice del 2000, n. 10
Tradotto nella sua completezza, il titolo di questo romanzo avrebbe dovuto essere "Sirena Selena, vestita di pena" e, forse, sarebbe stato meglio se così fosse stato. In tal modo, sarebbe rimasto immediato suggerimento come nell'originale che, se il sirenetto travestito di cui qui è il caso sa con la sua voce - cantando boleri struggenti - ammaliare e seminare pena nei cuori, il suo aspetto seduce proprio perché, sotto i più fascinosi orpelli della femminilità, si nasconde un pene. Resta il fatto che questo primo romanzo della scrittrice portoricana Mayra Santos-Febres si è risolto in un bel pezzo di bravura, grazie soprattutto al dirompere del linguaggio che accompagna la vicenda raccontata e che è stato reso con finezza e inventiva nella versione italiana. Del resto, il travestito è figura che inevitabilmente asseconda le avventure del linguaggio, divenuto incerto nelle attribuzioni dei generi, venato di delirio nel ruotare intorno a misere mitologie, imbarocchito alla stregua del corpo greve di finzioni. È il motivo per cui non sembra il caso di collocare questo romanzo di Mayra Santos-Febres - come vorrebbe il risvolto di copertina - "a metà strada tra L'angelo azzurro e Il bacio della donna ragno". È meglio pensare a una linea che, partendo da Notre-Dame-des-Fleurs (il Saggiatore, 1996) di Jean Genet, passa attraverso certi romanzi di Copi e certi altri di Severo Sarduy, di cui Cobra (Einaudi, 1976) rimane l'espressione più compiuta, fino a certi testi di Néstor Perlongher. Perché è in opere di questo genere che, portato sulla scena, il travestito offre il meglio di sé regalando pezzi di scrittura organizzati come in un'elaborata seduta di trucco, o in una complessa cerimonia di vestizione, o - ancora - in un carnevale straripato fuori dai limiti del carnevale stesso. Con questo, tuttavia, non si intenda che, sopraffatta dalle pirotecnie del linguaggio, la vicenda riferita in Sirena Selena sia poco godibile o consumata fra astrusità e stravaganze espressive. Tutto il contrario, in quanto, a differenza di altri casi, l'autrice riesce a far passare anche un'avventura fondata sull'aneddoto, dai tratti talvolta picareschi, volutamente un po' sgangherata, che cattura veloce il lettore sospingendolo sino alla fine.
L'aneddoto ha inizio col viaggio di Martha Divine, ormai matura drag queen con mire imprenditoriali, a Santo Domingo, dove, ricomposta in sobrio abito grigio perla firmato Nina Ricci, l'autunnale matrona intende far mettere sotto contratto la giovane e maliosa cantante Sirena Selena. La quale, solo fino a poco tempo prima, era un ragazzetto da marciapiede, Leocadio, da tutti bramato e abusato per l'incerta e acerba bellezza. Ma, col suo intervento sapiente, Martha Divine ha saputo trasformare il piccolo relitto in una sontuosa cantatrice dai languori tropicali, adusa a modulare le più stravolgenti parole d'amore. A Santo Domingo, la coppia rimarrà unita per breve tempo e, separati, i due personaggi seguiranno ognuno la sua strada, comunque accomunati dal loro destino di figure di sogno, prodighe nell'infrangere certezze e nel promettere nuovi orizzonti.
Dopo anni e anni in cui le scrittrici venute dall'America Latina - le Isabel Allende, le Angeles Mastretta, le Laura Esquivel - sembravano essersi specializzate nel raccontare saporite saghe familiari e avventurosi ricettari trasmessi dalle nonne, Mayra Santos-Febres fa sentire una voce nuova. Ed è una voce abile nel ripudiare certe classiche e rassicuranti immagini della femminilità, così come nel divertire trascinando oltre la separazione dei sessi, sino alla frontiera su cui la donna tocca l'uomo penetrandolo e mettendone a nudo recondite nostalgie.
Angelo Morino
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