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Il signore del limite. Tre variazioni critiche su Ernesto De Martino - Placido Cherchi - copertina
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Il signore del limite. Tre variazioni critiche su Ernesto De Martino - Placido Cherchi - copertina

Dettagli

1994
1 gennaio 1994
220 p.
9788820723903

Voce della critica


recensione di Di Donato, R., L'Indice 1995, n. 8

Intorno all'opera di Ernesto de Martino critici e interpreti si sono impegnati fin dal suo primo manifestarsi - nella piena espressione del pensiero - con la pubblicazione del "Mondo magico" nel 1948. Il lungo dibattito su etnologia e folklore, connesso ai viaggi lucani della prima metà degli anni cinquanta e la discussione di studi importanti come "Morte e pianto rituale" del 1958, "Sud e magia" nell'anno successivo e "La terra del rimorso" nel 1961, aggiungevano a quel primo snodo critico una serie di passaggi, tutti problematici, riemersi - a ulteriore complicazione del quadro - con la pubblicazione dei materiali de "La fine del mondo" nel 1977, dodici anni dopo la morte dello studioso napoletano.
Il problema critico si manifestava a quel punto, sul versante dell'oggetto, come risultante di un difficile equilibrio tra esperienza intellettuale ed esperienza esistenziale. Definizione e interpretazione dell'opera apparivano inscindibili dal tentativo, reso difficile da una sottile rete di sviamenti messa in atto dallo stesso de Martino, di comprendere l'uomo a parte intera. Si è proceduto allora quasi a tentoni e la critica ha di necessità registrato voci molto discordanti, ciascuna delle quali rifletteva in buona misura l'angolo di tangenza tra studioso studiato e personale esperienza dell'interprete. Neppure la sistemazione critica, tentata da Clara Gallini nell'introduzione al volume postumo, poteva divenire definitiva per il fatto che la rivisitazione dell'intera storia intellettuale demartiniana vi era, di necessità, registrata sulla base dei fotogrammi dell'esperienza diretta dell'autrice nell'ultimo quinquennio della vita dello studioso. Una ricerca, fondata su documenti dell'intero percorso intellettuale e libera dalle implicazioni del contatto diretto con lo studioso studiato, s'imponeva e in parte si è cominciata a realizzare con qualche risultato nell'ultimo decennio.
Con le "variazioni critiche" raccolte ne "Il signore del limite", Placido Cherchi, che fu, nel biennio finale, scolaro a Cagliari di de Martino, da un lato reagisce a quella parte della critica recente che la sua sensibilità avverte come freddamente storicistica (con qualche incomprensione e sproporzione, a me pare, soprattutto nei riguardi di Arnaldo Momigliano) e dall'altro sviluppa un suo proprio discorso d'interpretazione per luce, o forse meglio, per illuminazione totale.
La categoria cara a Cherchi è quella della 'métis', l'astuzia che sorreggerebbe il cammino del maestro, mago o sciamano, nella sua esperienza alla ricerca del vero. Discàre gli sono - come accade in simili casi - interpretazioni o categorie altrui: di questo argomenta civilmente le ragioni. La cesura che la guerra introduce nel corso della storia individuale di de Martino - come in quella collettiva dei suoi contemporanei - è per Cherchi ragione sufficiente a motivare la cancellazione selettiva delle tracce di alcune esperienze intellettuali e umane che lo studioso aveva vissuto con particolare intensità nella giovinezza napoletana. Non sarebbe quindi necessario preoccuparsi di contraddizioni nel pensiero e nell'opera demartiniana che andrebbe interpretata non solo momento per momento ma, vien quasi fatto di dire, in sé e per sé. La premessa del Cherchi è tuttavia contraddetta dal fatto che le influenze "contraddittorie" sono del tutto celate e in definitiva assenti nel libro che de Mattino licenziò prima della guerra ("Naturalismo e storicismo nell'etnologia" 1941) e si moltiplicano invece dopo la fitta serie di interventi nel campo di metapsichica e parapsicologia, proprio a partire da "Il mondo magico", cui il ritardo della pubblicazione non toglieva nel 1948 il carattere di elaborazione culturale dei mutamenti vissuti dall'autore nel drammatico quinquennio della guerra.
Le pagine dello scolaro che riferisce i racconti del maestro su due momenti del dramma bellico sono molto belle e riflettono bene la ricca affabulazione demartiniana. Il loro valore di testimonianza è reale e prescinde da qualsiasi considerazione sulla realtà del vissuto originario così come viene riferito da altri testimoni del periodo in cui de Martino ha partecipato alla resistenza sul fronte del Senio.
Le due "variazioni" filosofiche sui pensatori del limite, Binswanger e Heidegger, dense e faticose, come già nel precedente libro scritto da Cherchi, in collaborazione con la sorella Maria ("Ernesto De Martino. Dalla crisi della presenza alla comunità umana", Napoli 1987), s'iscrivono nel terreno, arduo a percorrersi e talvolta ricco di frutti amari, del piacere dell'esegesi.
Di diverso interesse è l'appendice, dichiaratamente meno elaborata e, almeno nell'ottica che io propongo, più chiara e comprensibile. Cherchi vi si occupa del rapporto tra il "proprio" e l'"alieno" nelle tesi demartiniane sull'autocoscienza culturale. Qui una lettura attenta dei testi lucani dei primi anni cinquanta permette, ad esempio, di comprendere le ragioni dell'incontro demartiniano con il Lévi-Strauss dei "Tristi tropici" che avviene nelle pagine introduttive a "La terra del rimorso" proprio intorno alla messa in causa soggettiva dell'indagatore. È un incontro che sarà, demartinianamente, premessa al "bisogna distruggerlo", riferito allo stesso Lévi-Strauss, che lo studioso napoletano affidò a Cesare Cases nel loro ultimo indimenticabile colloquio.

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