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Sermones (I-IV). Testo latino a fronte -  Antonio Urceo Codro - copertina
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Sermones (I-IV). Testo latino a fronte -  Antonio Urceo Codro - copertina

Descrizione


Fra i testi più moderni e affascinanti della cultura accademica del Quattrocento, i "Sermones" di Codro restituiscono il volto di un umanesimo chiaroscurale e polifonico che guarda già all'Europa di Erasmo, di Montaigne o di Rabelais. Le pagine di questi discorsi tenuti dal professore dello Studio nelle aule dell'"Alma Mater Studiorum" nell'ultimo ventennio del XV secolo vibrano di una parola viva e gestuale, sempre attenta alle ragioni di una filologia e di una scienza ermeneutica che osservano con sguardo acuto e penetrante i testi commentati per poi riflettere, con vertiginoso disincanto, su ogni aspetto dell'umano. Ogni valore, ogni sapere, ogni forma dell'esistere, tra canto e controcanto, possono trovare la loro celebrazione e bachtinianamente il loro rovesciamento in un gioco di specchi che sempre sa ricomporsi, con autentica passione e rigoroso impegno pedagogico e didattico, in una straordinaria lezione scientifica e umana della parola degli antichi. Con un saggio introduttivo di Ezio Raimondi
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Dettagli

2013
28 novembre 2013
457 p., Brossura
9788843070251
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Indice

Il mio incontro con Codro di Ezio Raimondi

Antonio Urceo Codro

Profilo bio-bibliografico

Bibliografia

Nota al testo

Un maestro per l’Europa /di Loredana Chines

SERMONES

DISCORSI

Introduzione al Sermo I

Sermo Primus

Note esegetiche al Sermo I

Introduzione al Sermo II

Sermo Secundus

Note esegetiche al Sermo II

Introduzione al Sermo III

Sermo Tertius

Note esegetiche al Sermo III

Introduzione al Sermo IV

Sermo Quartus

Note esegetiche al Sermo IV

Voce della critica

  Nella Civiltà del Rinascimento in Italia Jacob Burckhardt traccia un interessante ritratto di Urceo Codro quando parla del sentimento religioso nell'umanesimo: a Burckhardt Codro fornisce una bella prova della sua idea che gli umanisti intrattenessero con la fede cristiana un rapporto di sostanziale scetticismo unito a un prudente ossequio esteriore, salvo poi cercare il conforto della chiesa e dei sacramenti nel momento della morte, come appunto fece Codro. E a mostrare il suo tipo di religiosità Burkhardt riprende anche l'episodio delle invettive blasfeme lanciate contro Cristo e la Vergine da Codro in occasione dell'incendio del suo studio, con conseguente perdita dei libri e dell'opera alla quale egli stava lavorando, cui seguirono un giorno e una notte di vagabondaggio fuori della città e poi un periodo di sei mesi nell'officina di un legnaiolo, solo e senza libri, che non si sa se attribuire a timore di conseguenze o a desiderio di penitenza per quanto aveva osato dire. Certo è che Codro aveva una certa fama di empietà e che ricevette qualche accusa in proposito, ma la questione resta tuttavia complessa per un'epoca dove l'incroyance (per riprendere dal titolo di un celebre libro di Lucien Febvre) non era esattamente come sembra a noi che veniamo dopo le rivoluzioni culturali dei secoli XVII e XVIII. Per Burckhardt Antonio Cortesi, dettosi Urceus dal luogo di origine della famiglia e Codrus con riferimento a un poeta miserevole di una satira di Giovenale, è un umanista minore e tale lo si può certo considerare in rapporto a grandi filologi e intellettuali come Poliziano o Erasmo. Nato a Modena nel 1446, studia a Ferrara, fa il professore e il precettore a Forlì e poi a Bologna, dove insegna retorica e greco per circa vent'anni e dove muore nel 1500. Codro non è esente da contatti, diretti o mediati, con grandi umanisti (Poliziano ed Erasmo, appunto) e partecipa alla vita scientifica del suo tempo, come dimostrano i rapporti con Aldo Manuzio: resta nondimeno un umanista locale, legato culturalmente ed esistenzialmente a Bologna e alla sua tradizione di studi di origine solidamente medievale. Della produzione di Codro i Sermones (cioè le prolusioni dei suoi corsi universitari) sono la parte maggiore e certamente più interessante, dai quali viene una straordinaria testimonianza sui suoi studi e sul suo insegnamento. Da essi si ricava il grande amore per il greco e per Omero, il più grande degli autori antichi per Codro, e la sua efficace capacità linguistica, in un latino niente affatto pedante e poco dipendente dal modello ciceroniano. Ma nella fantasmagoria delle citazioni e degli accostamenti dai classici, propria del maestro più che del filologo, si insinua spesso una riflessione intensa sulla condizione e il destino degli uomini che è la cifra più interessante e coinvolgente dell'oratoria di Codro. Qui uno stile teatrale, che verrebbe da definire tragicomico, arricchito di un autobiografismo ironico, compone un discorso che parla di sé e di noi, del nostro destino di divenire alla fine fabula, cioè "storia", "racconto" di ciò che è passato, come gli antichi tanto ammirati, ma anche "diceria", "favola". Con questo discrimine si sarà certo misurata l'angoscia di Codro e si misura ancora la nostra.   Walter Meliga

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