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Quel che dice Asia è vero,è fisiologico che tra "operatori" del settore ci si aiuti, scatta un pò lo spirito corporativo, come capita all'interno di ogni categoria, questo inevitabilmente crea una discriminante tra chi è un addetto ai lavori e chi è uno oscuro anonimo aspirante scrittore. Ma il libro è buono, ben scritto e, fondamentalmente, originale. Tornando a Franchini, il suo Cronaca della fine è, a mio avviso, l'opera più bella e al contempo importante, del 2003, oltre che per la storia di Dante Virgili, definito da Paolo Di Stefano sul Corriere "il Céline italiano", anche per la struttura della stessa, romanzata senza stravolgere, idealizzando o colpevolizzando, in una parola giudicando, la vicenda del discusso autore della Distruzione.
E' evidente, a parte il giudizio dell'amico di Franchini che scrive sull'Indice, che "certi" autori godano di particolari attenzioni, soprattutto quando sono editor della Mondadori. A me questo libro è parso tutto sommato una cosa qualsiasi, senza infamia e senza lode, insomma.
Recensioni
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recensione di Perrella, S., L'Indice 1998, n. 7
Dopo l'ancora recente e felice "Quando vi ucciderete, maestro?" (Marsilio, 1996; cfr. "L'Indice", 1997, n. 3), Antonio Franchini si ripresenta ai lettori con un nuovo libro, "Acqua, sudore, ghiaccio", composto da tre racconti che insieme sfiorano le trecento pagine. La vena di Franchini è generosamente analitica. I suoi racconti prendono corpo in un accumulo di pagine, fittamente intessute di storie che inseguono altre storie. Ma più che da un demone divagatorio, le sue pagine sono possedute a tratti da una fame aneddotica in alcuni casi (come nel secondo racconto) forse eccessiva.
Nei primi due racconti, "Acqua" e "Sudore", sono i maestri sportivi di Francesco Esente - l'alter ego dello scrittore, che connette un racconto all'altro con la sua presenza pudica - a fornire cibo narrativo in quantità. Entrambi i maestri hanno un rivale contro cui ingaggiare lunghe lotte psicologiche e molti allievi. Francesco Esente, prima canoista, poi pugile (e successivamente, nell'ultimo racconto, sciatore), facendo spesso onore al suo cognome, si sceglie posizioni secondarie ed equidistanti: "Come doveva considerarsi il destino di quelli come lui, testimoni della vita degli altri: discreto o vile?". E da queste posizioni non perde nessun dettaglio che potrà tornargli utile non solo nell'arte di rendere i fatti in forma narrativa, ma anche nella propensione a trasformare i suoi narratori primari in figure di mitizzazione quotidiana.
Fra i tre, il racconto migliore mi sembra il primo. A differenza degli altri due, Francesco Esente vi prende la parola in prima persona e vi si raffigura in un momento di trapasso, quando il luogo che insieme lo ha accolto e gli ha stimolato passioni sportive e umane inaspettate sta per trasformarsi. Il campeggio sorto lungo il fiume e frequentato da un certo numero di canoisti tra breve sarà chiuso. Nella mente del personaggio di Franchini questa chiusura suscita un sentimento di perdita e di distacco che fa rima con altri e dolorosi distacchi.
Ad esempio il distacco dal padre, avvenuto a trent'anni avanzati, la cui figura (rievocata anche in un breve e toccante racconto, "I libri di mio padre", apparso sul "diario della settimana", 1998, n. 2) fa la sua apparizione in un sogno molto ben reso: "Se in tenda non sempre ce la facevo a dormire, vi riuscii a piangere mio padre, un mese dopo che era morto. E una notte anche lo sognai, insieme al fiume. Io sogno ciò che mi tortura, perché quanto mi appartiene senza rimorsi, alla luce, non ha bisogno di seguirmi nella tenebra e l'incoscienza".
E il distacco da uno dei canoisti, il sardo Luca Treu, compagno di avventure canoistiche, ma anche sodale di scrittura. Nell'acme di una piena, il corpo di Luca Treu si perderà nel turbinio inarrestabile delle acque. Come spesso avviene nelle narrazioni di Franchini, dietro Luca Treu si cela la figura di una persona reale, quella di uno scrittore (e traduttore) sardo morto misteriosamente in mare in giovane età: Sergio Atzeni. Franchini fu il suo editore, e in queste pagine di invenzione viene rivelato un sodalizio magari inconsapevole, ma fortissimo, tutto innervato nella comune e cocciuta pratica dello scrivere. L'incontro fra Luca Treu e Francesco Esente si trasforma nel racconto di Franchini in un emblema: l'emblema della vita di chi scrive e vive scrivendo in Italia. Ed è anche l'omaggio più bello reso sinora a Sergio Atzeni e ai suoi intensissimi libri.
Come si è intuito da quello che ho detto sin qui, in questi racconti di rara vitalità corporea, inseguendo l'elemento acquoreo in tre diverse formalizzazioni, Franchini ha elaborato una prosa minuziosamente precisa nel descrivere le persone e gli elementi naturali e carsicamente attraversata da fremiti e accensioni sentimentali. In luoghi e in momenti inaspettati, il personaggio di Franchini, "cittadino e meridionale", parla di sé, del "suo saper essere contemporaneamente cinico e sentimentale". E parla di silenziose consapevolezze che sorgono dalla metamorfosi biologica della nuova e provvisoria età: "Le cose, quando accadono davvero, ci passa la voglia di dirle. Così sulla sua vita Francesco Esente si era confidato sempre volentieri, finché essa fu fatta soprattutto di sogni, poi non ne parlò più. E questo silenzio era la conquista dei suoi quarant'anni".
L'immagine di quest'uomo quarantenne, chiuso in una tenda durante un temporale estivo, che sogna il passato e implicitamente s'interroga sul mistero dei futuri che la sua vita (e la sua scrittura) può o meno riservargli, è per me il dono immaginativo di maggiore durata e consistenza del nuovo libro di Franchini.
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