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Descrizione


Critico e cinéphile ancor prima che cineasta, Franqois Truffaut ha scritto e parlato di cinema per tutto l'arco della sua esistenza, sia attraverso saggi e articoli, sia nei suoi numerosi, fecondi rapporti con la stampa. Fra il 1959 e il 1984, ad esempio, oltre trecento interviste sono apparse sulla stampa francese e anglosassone. E questo sterminato corpus che Anne Gillain ha qui riunito e ordinato. Presentati in ordine cronologico, i testi parlano di cinema sotto le più diverse angolazioni: Truffaut vi traccia te tappe della sua formazione, vi enuncia la sua estetica, vi dibatte questioni tecniche e formali, vi analizza colleghi e maestri del cinema mondiale, in un continuo intrecciarsi di elementi autobiografici e di penetranti notazioni critiche.
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Dettagli

2005
26 maggio 2005
287 p., ill. , Brossura
9788876054860

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Fabio
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Difficile descrivere il piacere e l'emozione che si prova leggendo queste interviste, le riflessioni di questo straordinario regista sul suo lavoro e quello degli altri, del grande amore per il cinema e i libri. Per chi ama i suoi film, questo libro è un acquisto obbligatorio.

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Voce della critica

TRUFFAUT, FRANçOIS, L'uomo che amava le donne

GILLAIN, ANNIE (A CURA DI), Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema
recensione di Tomasi, D., L'Indice 1990, n.10

L'universo che circonda Bertrand Morane, il protagonista del cineromanzo "L'uomo che amava le donne", è esplicitamente semiotica. Non solo in quanto universo fittizio, ma in quanto spazio attraversato dallo sguardo del protagonista alla ricerca di segni che confermino il proprio desiderio. Le immagini catturate da questo sguardo sono simulacri: non rinviano a una realtà concreta, ma semplicemente al desiderio dello stesso Bertrand. Ciò è evidente sin dal primo mancato incontro con cui si apre la storia in prima persona di Bertrand: le gambe di Marianne e un numero di targa danno il via a un inseguimento che, attraverso questure, assicurazioni e agenzie di noleggio d'auto, porterà si a un donna, ma a una donna sbagliata, la sorella cioè della sconosciuta. Due segni che dovevano rinviare a una stessa persona si rivelano contraddittori. Solo il desiderio di Bertrand ne aveva postulato un unico referente.
Decine di altre immagini-simulacro attraversano il cineromanzo, a partire da quella di un manichino esposto nella vetrina di un negozio di biancheria intima femminile. Lo stesso Bertrand afferma: "Per me non vi è nulla di più bello che guardare una donna mentre cammina purché sia vestita come un abito o come una gonna che si muova al ritmo del suo passo". Le immagini dunque, che si trasformano quasi in una descrizione fenomenologica del corpo femminile, danno il via alle avventure di Bertrand, che non rincorre altro che il proprio desiderio, senza averne granché coscienza. L'impulso stesso alla scrittura scaturirà in lui non da una volontà autoriflessiva, ma da un semplice insuccesso, dalla paura di dimenticare le donne della sua vita e da un impulso a catalogarle una a una, come un entomologo potrebbe fare con i suoi insetti.
"La sua unica preoccupazione è l'inesattezza" dice Geneviève, commentando il romanzo del protagonista. Non mancano tuttavia dei segni che indicano un'altra direzione. Bertrand teme che l'immagine del viso di una donna possa deludere le attese create da uno sguardo indiscreto alle sue gambe, ma nel contempo prova un certo piacere nel lasciarsi andare a quella delusione, consapevole di non poter avere tutte le donne della terra - che in realtà è quel che desidererebbe. Riconosce che l'impulso primo del suo desiderio si volge verso ciò che è sconosciuto, o meglio ciò che può conoscere solo attraverso la propria immaginazione e quindi omologare al proprio desiderio. Persino la macchina da scrivete con cui dà vita al suo romanzo si trasforma ironicamente, nella sua nuova amante: "La signorina Underwood". Infine, quando Fabienne, mettendo il dito nella piaga, lo accusa: "Credi di amare l'amore, ma non è vero. Tu ami l'idea dell'amore", reagisce andando al cinema, per vedere non un film di finzione, come è sua abitudine, bensì un documentario, quasi per esorcizzare l'universo fittizio in cui ha scelto di vivere.
Tuttavia i simulacri che attraversano il cineromanzo sono di ordine non soltanto visivo, ma anche sonoro: la voce di Aurore, la donna che lo sveglia telefonicamente alle sette del mattino; oppure tattili: il fruscio di un paio di calze di seta, il diritto a toccare dovunque una donna con cui si è fatto l'amore. L'universo fittizio di Bertrand assume così le caratteristiche di un universo totale, nel quale tutti i sensi, o quasi - nulla purtroppo sappiamo del gusto e dell'olfatto -sono coinvolti. Questo trionfo del fittizio, o se vogliamo del romanzesco, sul reale trova forse il suo climax nella proposta che Geneviève fa a Bertrand di intitolare il suo romanzo autobiografico "L'uomo che amava le donne". A Bertrand che chiede spiegazioni su quel verbo all'imperfetto, Geneviève risponde che è una questione di orecchio e che quell'imperfetto si adatta meglio al suo stile. Ma in questo modo il destino di Bertrand è già segnato. Dovrà morire, essere non più "l'uomo che ama", bensì "l'uomo che amava", per adattarsi a una questione d'orecchio, a un'esigenza di stile.
Nell'edizione italiana il cineromanzo di Truffaut è messo in cornice da un'introduzione di Giorgio Tinazzi e da un saggio conclusivo di Marco Vozza. Tinazzi legge il testo di Truffaut all'interno dell'opera del regista francese presa nel suo complesso, cogliendone continuità e rimandi: dal mito dell'infanzia al rapporto fra immagine e parola scritta, per arrivare al desiderio nella sua contraddizione tra iterazione e irripetibilità. Vozza insiste sul carattere fantasmatico dell'oggetto d'amore "evanescente, evanescente perché la stessa soddisfazione della domanda gli sottrae il suo oggetto" (Lacan). Fra le citazioni a cui Vozza ricorre, per designare la natura dell'amore in Truffaut e nel suo Bertrand, bisogna almeno ricordare quelle firmate da Barthes: "Io desidero il mio desiderio e l'essere amato non è più che il suo accessorio"; e da Pascal: "Condizione dell'uomo: incostanza, noia, inquietudine", gli uomini "non sanno che perseguono non già la preda, ma la caccia".
Le innumerevoli interviste che Truffaut ha rilasciato fra il 1959 e il 1984 sono state selezionate e raccolte da Annie Gillain. L'aspetto più interessante, ma anche il più discutibile, dell'opera è il modo in cui sono stati organizzati i materiali. Spiega la Gillain: "Sono partita con l'idea di rispettare l'ordine cronologico". Tuttavia, in seguito, "ho deciso di isolare in ogni intervista il materiale riguardante un certo film, poi ho realizzato un montaggio dei testi che comprendevano le informazioni più significative fornite da Truffaut al momento dell'uscita del film, e alla fine del capitolo ho aggiunto i commenti del regista fatti a posteriori, corredandoli delle relative date".
I capitoli del libro sono scanditi dalla successione cronologica dei film di Truffaut, con l'aggiunta di tre parti iniziali, dedicate all'infanzia, alla Nouvelle Vague e alla Politique des Auteurs, e di altre tre che hanno il senso di un bilancio in relazione a tre grandi periodi: 1959-68, 1969-74, 1975-84. In tal modo il libro guadagna in leggibilità, e si può comodamente reperire tutto il materiale riguardante un singolo film. Tuttavia le interviste sono arbitrariamente mescolate fra loro. Il lettore non sa da dove provengono domande e risposte, né può conoscere il nome dell'intervistatore. Ne consegue che le stesse interviste vengono in qualche modo neutralizzate, decontestualizzate. È un grave limite. Ogni intervista è infatti frutto di un dialogo a due, che ha un inizio, uno sviluppo e una fine. Ogni domanda e ogni risposta si collocano all'interno di un determinato contesto che ha un peso non irrilevante nel determinarne il senso. In sostanza l'intervista è un lavoro a due, dove la personalità dell'intervistatore (per non parlare delle caratteristiche della rivista o del giornale) giocano un ruolo quasi pari a quello dell'intervistato. Di tutto ciò nel libro della Gillain non rimane traccia. Ne vien fuori un libro di interviste senza l'arte dell'intervista.

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