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"Se il libro di Vintila Horia meritava il Premio Goncourt, perché i giudici, dopo averlo assegnato secondo tutte le regole, non seppero difendere la loro decisione? E se il libro non meritava il premio, perché gli fu assegnato? La Romania comunista ha cercato fino all'ultimo momento di recuperare Vintila Horia, che vive in esilio per non vivere in una Romania comunista. Il giorno dell'assegnazione del Premio Goncourt, l'addetto culturale all'ambasciata romena a Parigi ha insistito per farsi fotograre con l'autore che rifiutò sempre. Allora il suo caso fu passato all'Humanité e fu montata contro di lui la campagna scandalistica, che spinse Horia a riconsegnare il premio alla giuria. Si ripeté per Vintila Horia la discriminazione già usata coi militari e gli intellettuali tedeschi: quelli che hanno aderito al comunismo sono illibati e stimabili, chi si rifiuta di farlo è reprobo. Nessuno, nel trambusto dello scandalo, ha parlato del libro come meritava. E qui attende il lettore la maggiore delle sorprese. Nell'immaginario diario del poeta Ovidio esiliato da Augusto nel paese dei Geti, l'autore esprime la pena, i terrori dell'esilio, che egli pure ha conosciuto, ma spogli di ogni miseria contingente. La storia di Roma negli estremi limiti dell'Impero, l'attesa della venuta di Cristo diffusa nel tempo, hanno strane ed avvicenti risonanze in quegli spazi che si sentono vuoti e sterminati. L'argomento, la bravura di Vintila Horia, la sua forza lirica ed evocativa, il desiderio di libertà e di giustizia che anima e illumina la vicenda, fanno di quest'opera un libro ch deve essere letto." [dal risvolto di copertina dell'edizione Del Borghese 1961]
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