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Parlare di potere è oramai scontato. L'attualità ci ha purtroppo insegnato quanto i potenti possano decidere la nostra vita. È sufficiente una posizione lavorativa dirigenziale, una capacità economica superiore o semplicemente un'influenza su cardini sociali, e la serenità che abbiamo immaginato curare sotto una teca di cristallo si trasforma in agonia. Sebbene continuiamo a porci il problema di una democratica convivenza, alcune forme di oligarchia rimangono ben radicate nel nostro sistema e agiscono in base a teoremi che difficilmente riusciremo a capire. Avidità, brama e ipocrisia sono termini che definiscono alcuni di quei personaggi oggi incastonati nel mondo dei potenti. Ma oltre un giudizio accalorato che possiamo permetterci al riguardo, poco sappiamo di ciò che avviene dietro le quinte.
Carlo Mazzoni, giovane autore milanese, si è spinto in quella oscurità. Il suo primo romanzo, I postromantici (edito da Salani), apparso sugli scaffali nel 2007, aveva avuto il pregio di far tremare la ricca società lombarda. Giovani rampolli alle prese con la vita e le dinamiche di classe: questo era stato il suo esordio. Una storia che acquerellava famiglie conosciute nei loro apparati del potere e che inesorabilmente apprendevano la mancanza di un tassello per costruire la perfezione: l'amore. Mazzoni ha oggi ripreso in mano la storia dei ragazzi postromantici pubblicando Il disordine per la stessa Salani. Il gruppo di adolescenti è cresciuto. Matteo Dreveri, Margherita, Gio, Luca e Frans sono oggi pronti a prendere le redini delle società dei padri. Scaltri e senza pudore, questi personaggi sono legati da sesso e amore incondizionato verso la persona del vero personaggio: Matteo. Ma non solo, il potere è l'anima che agita corpi perfetti, movenze educate e atteggiamenti sprezzanti. Mazzoni continua quella che sembra una saga del potere più che familiare, come potremmo essere soliti pensare. In questo nuovo romanzo, ambientato in una Milano che sfuma nei contorni di una qualsiasi metropoli internazionale, le relazioni tra coetanei non sono più edulcorate dalla ricerca di un sentimento puro, ma hanno come solide fondamenta la ricerca del potere illimitato, dell'accaparramento di società e dipendenti per il solo gusto di essere superiori ai propri simili. Una storia cruda, senza veli, che appare inverosimile se non fosse possibile ricondurre ogni gesto a quelle notizie che la cronaca giornalistica racconta nelle proprie colonne quotidiane. Una creazione letteraria dalle tinte noir che echeggia gli scritti di Agata Christie, con la sua trama basata sulla costruzione minuziosa di un omicidio, ma che accoglie il sapore di un reportage sui generis, capace di raccontare il mondo dei bottoni così come si presenta a chi criticamente lo osserva da vicino.
La composita forma narrativa del testo, a metà tra romanzo e scenografia per una serie tv, apre le porte anche a una riflessione sulla nuova tendenza letteraria dei giovani scrittori oggi trentenni. Mazzoni è figlio dell'era televisiva e della responsabilità sociale. Mentre la scrittura accosta un linguaggio frizzante e dinamico, da dialogo su grande o piccolo schermo, l'impianto storico in cui la trama si sviluppa affonda le sue radici nella necessità di raccontare le vicende del nostro paese. Quest'autore, lontano dai concetti pretestuosi che propongono i condottieri della New Italian Epic oggi tanto in voga tra gli autori suoi coetanei, mostra come anche l'immaginario creativo della letteratura possa essere ben radicato nella cronaca storica e rappresentare un punto di svolta nella narrativa italiana. Siamo di fronte a un libro che non vuole e non può rientrare in categorie o movimenti letterari, ma assembla nelle sue pagine alcuni elementi rappresentativi dei grandi cambiamenti sociali in atto: la testimonianza, la denuncia, la finzione narrativa mediata dalla realtà dei fatti e un forte gusto per una costruzione linguistica visiva. Come Mazzoni posso citare, con le dovute sfumature critiche, Peppe Fiore di La futura classe dirigente (minimum fax) e Cosimo Calamini di Poco più di niente (Garzanti), che si avvicinano molto a una ricerca letteraria che propone una nuova forma di romanzo italiano.
L'autore del Disordine mostra un linguaggio innovativo e, con questo suo secondo romanzo, getta luce sulle sottili trame che ricoprono palazzi e scrivanie del potere come una ragnatela. Non c'è conclusione unanime alla lettura: il lettore/spettatore gusterà la visione da un osservatorio critico differente indicato dalle proprie posizioni politiche e sociali. Ognuno, però, dopo la lettura si accorgerà che la celebre frase andreottiana "il potere logora chi non ce l'ha" oggi potrebbe essere modificata e semplificata in "il potere logora", perchè sia chi lo vive sia chi ne guarda la selvaggia evoluzione verrà colluso in un enorme disordine esistenziale. Gabriele Ametrano
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