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Il pittore di battaglie - Arturo Pérez-Reverte - copertina
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Il pittore di battaglie
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Il pittore di battaglie - Arturo Pérez-Reverte - copertina
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Descrizione


In un'antica torre di guardia sul Mediterraneo, Falques, ex fotoreporter di guerra, dipinge un immenso affresco circolare: il paesaggio atemporale di una battaglia, la fotografia che non è mai riuscito a scattare, il caos del mondo dall'assedio di Troia a oggi. Dopo trent'anni in prima linea in molte guerre, infatti, ha deciso di ritirarsi in solitudine, non solo per gli orrori ai quali ha assistito ma anche per il proprio lavoro, che non sempre è stato oggettivo e innocente come avrebbe dovuto. Su questo punto è d'accordo il croato Markovic. Fotografandolo, Falques gli ha distrutto la vita. E molti anni più tardi, Markovic lo rintraccia, determinato a ucciderlo. Dal passato torna anche il ricordo di Olvido Ferrara, la donna amata, saltata su una mina in servizio nella ex Iugoslavia, da cui ha compreso come solo l'arte può dove l'occhio o la macchina fotografica falliscono.
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Dettagli

2007
284 p., Brossura
9788855800143

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 3/5
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luigi
Recensioni: 4/5

Temi cruciali in questo libro: la responsabilità, il fato, la solitudine, la verità, la morte. A mio avviso opera dolente e crepuscolare, autobiografica ma non autoreferenziale. Lettura non ostica, ma non d'evasione. Il finale forse è un po' debole ma in linea con il personaggio centrale e la storia (o la Storia?). Lo si apprezza di più se si ricordano gli anni orribili della guerra nella ex-Jugoslavia.

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berta
Recensioni: 1/5

premetto che a me perez reverte piace; lo trovo intelligentemente divertente. Questo libro, però, non mi è paiciuto affatto, l'ho trovato farraginoso e dispersivo

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Guglielmo
Recensioni: 1/5

Molte parole altisonanti, ma non bastano a dar sostegno alle idee. La produzione di Perez Reverte va perdendo qualità di libro in libro, e sì che non era gran cosa neppure all'inizio.

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Recensioni

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Voce della critica

L'azzeccata idea centrale del romanzo ha enormi potenzialità: un ex fotografo di guerra che ha rotto con il mestiere si autoconfina in una torretta d'avvistamento su una scogliera mediterranea per dipingere un affresco circolare zeppo di riferimenti a conflitti di ogni epoca; lì lo scova, dopo anni di ricerche e ansioso di vendetta, un uomo al quale ha distrutto la vita con una fotografia scattata al fronte e premiata a livello internazionale.
Il primo è Andrés Faulques, spagnolo di mezza età inaridito e in fuga dal mondo, afflitto da un dolore acuto che solo le pastiglie di calmanti riescono a sedare. Il secondo è Ivo Markovic, che per quella foto famosa divenne suo malgrado il volto dei separatisti croati, dovette patire mesi di torture ed ebbe la moglie serba stuprata e uccisa insieme al figlioletto dai compaesani serbi. Ma il loro non è uno scontro: nessuno dei due ha fretta, entrambi sono stremati e sconfitti e cercano risposte. Il loro dialogare è maieutico: "La pittura, come la fotografia, l'amore o la conversazione, assomigliava a certe camere di alberghi bombardati, con i vetri rotti e spogliate di tutto, che si potevano arredare solo con quello che uno tirava fuori dal proprio zaino".
Il baricentro è comunque sempre su Faulques, con il suo freddo concetto della pericolosa professione: "Per lui tutto si era ridotto a muoversi nell'affascinante reticolo del problema della vita e i suoi danni collaterali. Le sue fotografie erano come gli scacchi: dove gli altri vedevano lotta, dolore, bellezza o armonia, Faulques osservava solo combinazioni di enigmi". In modo intermittente affiorano soprattutto i ricordi del suo amore estetico e possessivo per la giovane ex modella italo-spagnola Olvido Ferrara, che lo segue al fronte perché in lui cerca un "Virgilio silenzioso", "una guida dall'aspetto piacevole, taciturno e duro come nei film di safari degli anni Cinquanta". Olvido, però, fotografa solo "i luoghi deserti, gli ingranaggi e gli oggetti rotti", un ponte crollato, la strada già percorsa. Un giorno, mentre mette a fuoco un quaderno rimasto al suolo dopo il passaggio dei combattenti, salta in aria su una mina. Faulques la ritrae morta. Markovic vede la scena da lontano.
Dopo trent'anni di foto di guerra in tutti i continenti, Faulques perde definitivamente la voglia davanti a un criminale serbo pluriomicida con la faccia volgare da pover'uomo. Conclude che la fotografia, oltre a non farcela a fissare la banalità del male, è sgomento venduto come arte, esercita violenza, strappa dalla realtà, costringe ad affrontare cose non previste, a volte anche a morire: "Adesso sapeva che nessuna fotografia era inerte, o passiva. Tutte incidevano sull'ambiente circostante, sulle persone che inquadravano. Su ciascuno degli infiniti Markovic delle cui vite si impossessava la lente. Per questo Olvido fotografava solo posti e oggetti, mai persone; lei stessa era stata troppo a lungo oggetto delle macchine fotografiche per ignorarne i pericoli. Le responsabilità. Mentre viaggiavano insieme nella guerra, lei era riuscita a tenersi al margine, lui no".
Faulques dedica allora molto tempo a cercare nei musei quadri di battaglie. Ne seleziona alcuni e li fotografa con e senza pubblico, realizza con le immagini migliori il suo ultimo album, "il percorso più breve tra due punti: dall'uomo all'orrore". Infine rispolvera la sopita passione giovanile per la pittura e passa a riprodurre, in uno stile geometrico, scene memorizzate, immaginate o riprese da artisti del passato. Sa di non avere un grande talento come pittore, ma sente di dover dipingere quel che ha visto prima di morire: "Nessuno dovrebbe andarsene senza lasciarsi alle spalle una Troia che brucia".
Markovic è il catalizzatore che gli fa capire di essere arrivato all'ultima pennellata di quel murale a trecentosessanta gradi, simile a "una trappola per topi impazziti". E chiedendogli della foto a Olvido morta spinge Faulques a rivelare che, pur avendo intuito la presenza della mina tra l'erba non calpestata, aveva tardato tre secondi ad avvertire la ragazza di fare attenzione, perché sentiva che lei era vicina alla meta e si stava staccando da lui e non sarebbero invecchiati insieme (e allora: "Che se ne andasse in un modo o in un altro non dipendeva da me. Forse la geometria aveva qualcosa da dire al riguardo"). Olvido aveva fatto un passo di troppo mentre lui guardava la scacchiera: questo il suo scarno senso di colpa, mentre in fondo non ne prova per la vicenda di Markovic.
La difesa progettata in extremis da Faulques con meticolosità professionale è inutile. A Markovic non interessa infierire su quell'uomo già finito. Allora Faulques si getta in mare nuotando in linea retta, con sotto la lingua una moneta di rame per Caronte.
Arturo Pérez Reverte (Cartagena, 1951) è scrittore d'azione, d'intrigo e d'avventura, con eccellenti doti di mimetismo linguistico e un'affabulazione assai ben congegnata. Questo è un libro atipico, il più intriso di elementi autobiografici, che danno nerbo e precisione al narrato, dove tornano tuttavia alcuni motivi caratteristici dell'autore, dalla sudicia atrocità della guerra ritratta fin dal romanzo d'esordio, L'ussaro (1986; Tropea 2006), alla suggestione per i quadri e gli scacchi cruciale in La tavola fiamminga (1990; Bompiani 1994, poi Tropea 1999). Purtroppo la cura redazionale di Il pittore di battaglie è deficitaria, perché lascia passare non pochi calchi e persino trascrizioni spagnole errate in italiano, come "miliziani chetnik", "un gruppo di chetnik", quando il termine četnik (plurale četnici) è stato reso lugubremente noto dalle vicende jugoslave.
L'ottimo spunto da cui prende le mosse il romanzo si sviluppa lentamente e staticamente, un po' appesantito dalle frequenti citazioni pittoriche, senza grandi picchi poetici o filosofici a riscattarlo. Le voci del protagonista e del narratore appaiono risentite e rassegnate a un sordo fatalismo, a un disincanto meccanicistico che vede il mondo imprigionato da una rete occulta di consequenzialità mosse da una logica amorale, una tragedia indifferente, "i passi del Caso su una rigorosa scacchiera", dove siamo tutti colpevoli: "Facciamo tutti parte del mostro che ci dispone sulla scacchiera". Olvido è una comprimaria che non decolla del tutto, trovata e persa come dietro una lente. Risulta alla fine più simpatico il disgraziatissimo autodidatta croato, che almeno gira i tacchi e forse da qualche altra parte andrà.   Danilo Manera

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La recensione di IBS

Una storia agghiacciante, che scricchiola ad ogni pagina, un libro come una ferita sulle labbra, che fa male ma che sanguinando lascia in bocca un sapore dolciastro.
Un fotoreporter di guerra di fama internazionale, vincitore di premi prestigiosi durante trent'anni di attività, si ritrova chiuso su una torre in una piccola isola del Mediterraneo. La sua ultima missione, nella ex Jugoslavia, ha sancito il suo divorzio definitivo dalla fotografia e ora, in questo luogo lontano dal tempo e dallo spazio, è intento a dipingere un murales enorme, che occupa tutto il perimetro circolare della torre. Il quadro vuole rappresentare tutte le battaglie della storia del mondo, dalla guerra di Troia ai missili intelligenti di oggi, un tributo al caos della guerra nella sua rappresentazione più sublime e totale.
Intento a portare a termine la sua opera, Falques si ritrova un giorno faccia a faccia con Markovic, un ex soldato croato che aveva immortalato molti anni prima mentre ripiegava dopo la caduta di Vukovar. Grazie a quello scatto Falques aveva vinto un prestigioso premio internazionale e Markovic era diventato il volto simbolo della sconfitta croata. Ora che il soggetto della foto era riemerso da un passato atroce e remoto, ora che l'immagine si era materializza davanti agli occhi del fotografo, la realtà cominciava lentamente e inesorabilmente a penetrare tra le pareti crepate della torre.
L'intento del soldato era quello di uccidere Falques, quella fotografia aveva infatti consentito ai serbi di riconoscere Markovic tra un gruppo di civili stipati su un camion, mentre tentava di uscire dall'inferno di Vukovar. La sua notorietà gli era costata giorni di torture, tre anni di segregazione in un campo di concentramento e la violenza e la morte di sua moglie e suo figlio. La vendetta lo aveva portato a scovare il pittore ai confini del mondo, ma, una volta giunto nella torre, al cospetto di quell'opera grandiosa che stava lentamente prendendo forma, Markovic aveva bisogno di parlare e di riflettere, di conoscere meglio l'uomo capace di mettere in scena la Cappella Sistina dell'Inferno.
Nei lunghi dialoghi tra i due reduci, vinti, disillusi, stanchi eppure profondamente lucidi, nasce il gioco dialettico della vita e della morte. Una serie pregnante di immagini che affiorano dalle pareti come i ricordi di entrambi, un alternarsi di luci e di ombre nella semioscurità di una stanza popolata di mostri. Scene di battaglie medievali, paesi incendiati all'orizzonte, corpi straziati e strazianti, la totalità dell'orrore e la sua rappresentazione caotica, alla ricerca di un ordine superiore che tutto spieghi e tutto giustifichi.
Un romanzo che avvolge e aggroviglia i pensieri intorno alle riflessioni di questi due uomini. Uno che lascia la fotografia, la sua parzialità e suoi frammenti per dedicarsi alla pittura, al processo di creazione di una realtà che la macchina non riesce più a cogliere. L'altro che porta nei tratti marcati del viso tutto lo sgomento dell'uomo al cospetto del caos. Nell'eterna querelle tra l'estetizzazione della guerra e la politicizzazione dell'arte, a prevalere non è mai la posizione intermedia, i mezzi toni, l'etica, ma piuttosto l'aporia. La rassegnazione dell'uomo di fronte a una realtà che non può più essere né colta né tanto meno descritta senza rimanerne tragicamente coinvolti. Un romanzo da leggere come si legge un quadro, immersi al centro della propria torre personale, alla ricerca di un dettaglio, di un particolare che possa ricordare in qualche modo la nostra esistenza, un dettaglio che testimoni il nostro coinvolgimento. Un libro che fa riflettere… "Se una farfalla sbatte le ali in Brasile, dall'altra parte del mondo si scatenerà un uragano"... qual è il nostro ruolo, siamo la farfalla o l'uragano?

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Conosci l'autore

Arturo Pérez Reverte

1951, Cartagena (Spagna)

Scrittore e giornalista spagnolo. Dopo aver conseguito una laurea in Scienze politiche e Giornalismo, Arturo Pérez-Reverte ha lavorato per circa vent'anni, dal 1973 al 1994, come reporter di guerra per i giornali, la radio e la televisione; spostandosi nei vari punti caldo del mondo ha seguito vari conflitti tra cui la guerra di Cipro, la guerra delle Falkland, la crisi del golfo, sino alla guerra in Croazia e a Sarajevo.Nel 1986 ha scritto il suo primo romanzo, El húsar, ambientato durante le guerre napoleoniche. Raggiunge il suo primo successo internazionale con la pubblicazione di Il maestro di scherma.  Un successo che è stato confermato nel 1990 con il suo terzo romanzo, La tavola fiamminga, segnalato dal "New York Times Book Review" come miglior romanzo...

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