Pomeriggio d'estate

Mi piace questa scelta di Adelphi di pubblicare microbook perché posso spulciare tra i modi di scrivere dei vari autori. In questo caso, Shirley Jackson, che in questi due racconti da, come al solito prova del talento nel rendere l'idea di luoghi e situazioni dove si svolge l'azione. Dei due racconti mi è piaciuto più il primo e se, la Jackson, è la scrittrice preferita di Stephen King, in questo caso non è tanto l'orrore ad essere presente quanto una sorta di fastidio che rende tutto un'attesa insieme a delle presenze, benevole niente di pauroso, che non è importante che siano davvero reali quanto che riescano ad essere centrali nella narrazione senza esserne protagoniste assolute. Belli, davvero tanto belli!

Nel primo dei due racconti qui presentati, “Invito a cena”, una giovane donna ingenua e pasticciona, una sorta di Bridget Jones ante-litteram (“Mi spiego, ogni volta che cerco di fare bella figura qualcosa va storto”), sfida in una gara culinaria un affascinante e vanesio giovanotto, noto per la sua abilità in cucina, invitandolo a cena. Assolutamente incapace di realizzare un qualsiasi piatto appena commestibile, la protagonista viene salvata in extremis dall’intervento di una vecchietta che si incarica di provvedere sia alle vivande sia alla presentazione della tavola. Ma l’umiliazione esercitata dall’ospite, attraverso quell’atteggiamento sfottente di “mansplaining” che molti uomini assumono quando vogliono far pesare la propria superiorità, la induce a un sano gesto di vendetta liberatoria. Le poche pagine di “Pomeriggio d’estate” introducono invece una vicenda del tutto differente, che ha per protagoniste due bambine di cinque anni, vicine di casa in un tranquillo ed elegante quartiere della middle class americana. Carrie e Jeannie giocano con le loro bambole, saltano alla corda, costruiscono “minuscole casette di foglie ed erba” a imitazione dei salotti delle loro villette borghesi, si invitano vicendevolmente nelle rispettive abitazioni, sotto la benevola attenzione dei genitori. A volte si spingono lungo i curati ed erbosi viali vicini, soprattutto per salutare una loro amichetta, Tippie, che non esce mai di casa, ma i cui giocattoli appaiono bene in vista sulla finestra, a ogni smuoversi delle tende. Come mai Tippie non esce mai di casa? Che sia malata, o in punizione, o abbia una mamma apprensiva? Shirley Jackson ama giocare con le ombre, schernire il perbenismo farisaico statunitense, ammiccare sornionamente a ciò che sopravanza realtà e fantasia insieme.