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Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino - Cristina Campo - copertina
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Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino
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Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino - Cristina Campo - copertina

Descrizione


Ci sono prosatori che proprio nelle lettere raggiungono una sorta di perfezione assoluta: riuscendo, nel breve volgere di una frase, a toccare vertici di bellezza e di intensità. Che la Campo sia uno di essi lo hanno dimostrato le "Lettere a Mita" e "Caro Bul": e ne è una conferma questo terzo pannello dell'epistolario, che raccoglie le lettere scritte agli amici del periodo fiorentino (e ad alcuni altri che a questi si riallacciano). Nel 1956 Cristina è costretta ad abbandonare Firenze per Roma; e gli anni romani saranno costantemente segnati dal ricordo struggente di quel giardino incantato che era la cerchia degli "amici d'infanzia": Piero Draghi, Anna Bonetti, Giorgio Orelli, Mario Luzi. A tutti loro scrive dal suo "esilio" parole di nostalgico affetto ("C'è con voialtri, nell'aria, odore di latte"), ma il più rimpianto è senza dubbio Gianfranco Draghi, quel Gian che guarda ai suoi stessi "fari" (i più luminosi: Hofmannsthal e Simone Weil), lo scrittore e il poeta di cui ammira sia la personalità sia l'opera, l'amico che "conosce sempre, sottilmente, il disegno del tempo, e trova la parola magica da incidervi". A lui una Cristina ancora dolente per una pena d'amore chiede di assicurarle "che la felicità esiste", ma anche di impegnarsi a favore di Danilo Dolci; con lui parla di Roma, che va scoprendo con meraviglia, delle sue letture, dei suoi momenti bui e dell'importanza della loro amicizia nella sua vita.
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Dettagli

2011
11 gennaio 2012
273 p., Brossura
9788845926440

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Cristiano Cant
Recensioni: 5/5

"Caro Piero, perché mi dice "o il cuore forse anche per lei non esiste più"? Sono cose che non si devono dire, sopratutto quando si sa già la risposta (se non fossimo in qualche modo allo stesso punto, ci scriveremmo queste lettere?)...Anch'io mi muovo nel caos - mio ed altrui - nel nuovo caos che è questa terra, che partorisce lune mostruose. Ed è autunno, e tutto crolla sordamente, ed è difficile, sempre più difficile, dire: "metamorfosi"....Si snodano così questi accenni d'anima, foglie staccate con rara delicatezza dai mutevoli rami della confidenza, nude e velate insieme dal terriccio inquieto dei giorni, piaga avara di requie: "Questo è solo per dirle che il filo è sempre teso, che io non taccio mai veramente con lei, ma che devo parlare senza parole per non dire parole che sembrino senza nesso". Periodo sublime e complesso, vaga scivolosa sembianza, ombra casta e imprendibile nell'animo di chi scrive, forse l'emblema perfetto della condizione di poeta. Non ondeggia un fruscio felice in questo carteggio; le lettere sono abitate spesso da silenzi, sospensioni, difficoltà e rimandi, simili a pedine sempre più fragili sulla scacchiera dei giorni, poche mosse ad alitare scioltezza sebbene i vicini, nello scambio epistolare, non manchino mai d'essere presenti con franchezza amorevole. Come un'aria di costante convalescenza, soffio tenue che pur sanguina in una sua forza nascosta, in una volontà pugnace, ma sempre nel destino della parola, scherno e prontezza, precisione e smacco, indovina smarrita in se stessa. Ma Cristina non lesina gioia nel suo inchiostro, non risparmia le sue monete di dentro, non esita, non trascura, unendo agli umili sfondi del taciuto la forza di confessioni potenti. Meraviglioso, nell'aggancio alla lettura del Zivago, quanto segue: "Potessimo noi creare molte dacie, molti piccoli occhi nella tempesta e preservare là dentro l'attenzione, la risposta alla vita". Se alcuni libri somigliano a carezze, qui siamo fra dita sceltissime.

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Meco Monster
Recensioni: 5/5

Cristina Campo era una fata da triplice sguardo, incandescente, quasi ancorata; scrisse poco e avrebbe voluto scriver meno, ma a me pare che non scrisse così poco come sembra, certo, queste corrispondenze, missive con amici come perle rendono pura testimonianza del suo essere così evidente spada che si trascende, così coerente con sé stessa e con gli altri. In questo volume abbiamo modo di scoprire una Campo ancora giovane e in fiore, ma con sogni e pensieri così alti che solo nei suoi famigerati saggi e nelle sue poesie si svilupperanno come duplice lama dal doppio taglio ed anche con incontri nuovi come quello con Mita, di cui le missive sono forse la cosa più bella che la letteratura italiana, in generale, ci abbia lasciato (vedi Lettere a Mita). Consiglio vivamente di farsi un tuffo in piscina con Cristina Campo, quando vedrete cielo e terra oscurarsi, tuffate le mani nell'acqua perché corso e radice primaria della vita, risana la mente, è corpo spirituale. Assolutamente da leggere!

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Ariele Horis
Recensioni: 5/5

Questi giorni di riposo,non scelti, forse concessi, si sono rivelati i più adatti per potermi dedicare ad un'autrice che più di altri, forse ha bisogno di attenzione e silenzio. Le lettere a Gianfranco Draghi- la cui amicizia va ben aldilà del periodo fiorentino e la cui voce sembra risuonare costante anche aldilà dell'assenza- rivelano tutta la tenera attenzione, la trepidazione di Cristina per le persone che ama. Sono lettere cifrate, che a noi, come terzi, non direbbero molto se non fossero sostenute dalla parallela lettura della sua biografia; pure, per noi lettori "terzi"anche così è difficile cogliere tutti i rimandi, le allusioni e il "non detto" . E' forse giusto così, del resto- che diritto abbiamo di leggere un epistolario privato? Eppure lo facciamo, tutti, con la presunzione che ci appaiano più accessibili gli autori che abbiamo amato. Ciò che appare, invece, è il meraviglioso ritratto di alcuni paesaggi, correlativi evidenti degli stati d'animo; la volontà d'azione, indomabile, frenata solo dalla convivenza penosa con il suo terribile male. Quale energia, quale forza in Cristina. Dice poco di sé e di questo continuamente si scusa. Per non potere o non volere dire altro(l'ellissi credo sia la più evidente cifra stilistica di Cristina, che di se stessa dice di aver scritto poco e che avrebbe voluto aver scritto ancora meno).

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Voce della critica

  Cristina Campo, che amava dire di sé "ha scritto poco e le piacerebbe avere scritto meno", non ha soltanto, in realtà, scritto moltissimo, ma come in un racconto di Borges ha sovrapposto a ogni piega della propria vita – a quel poco che la vita le ha concesso e che lei stessa ha permesso alla vita di concederle – la mappa in scala 1:1 della scrittura. C'è comunque del vero in quell'insegna che è insieme un epitaffio, e la sua opera saggistica e poetica, tutta racchiusa in tre volumi, sta appunto lì a dimostrarlo. Ma dopo che Adelphi ne ha fatto un caso editoriale e un oggetto di diffusa devozione, dalla memoria e dai cassetti degli amici è cominciata a uscire l'altra sua opera, quella "privata", ammesso che una distinzione simile abbia un senso per chi ha vissuto ogni esperienza, anche la più intima, come una realtà innanzitutto stilistica. E allora è apparso chiaro come la lucentezza di ghiaccio degli Imperdonabili e della Tigre assenza fosse solo la parte emersa di un blocco inseparabile dalla sua radice segreta, impossibile, impensabile, senza l'intimità e la disciplina della relazione. La Campo saggista ha imparato da Hofmannsthal che ogni autentico incontro tra un autore e un lettore produce una terza persona diversa da entrambi; dalle pagine della Campo epistolografa quel terzo fantasmatico si sprigiona naturalmente: è il respiro dell'opera a venire. Basta riprendere in mano le Lettere a Mita, ossia Margherita Pieracci Harwell, l'amica di una vita e anche, in certo modo, l'amica alla quale delegare la vita ("Il mio doppio etereo"), per accorgersi come i versi degli anni cinquanta, i saggi di Fiaba e mistero e del Flauto e il tappeto siano già tutti lì, vaganti in un campo di tensioni nel quale il nitore dello stile è ancora incrostato delle scorie della quotidianità e la desolazione della quotidianità aspira a essere santificata, più che riscattata, dallo stile. E la stessa cosa accade, sia pure più saltuariamente e con accenti diversi, in quelle a Leone Traverso (Caro Bul, Adelphi, 2007), a Maria Zambrano (Se tu fossi qui, Archinto, 2009), ad Alessandro Spina (Lettere a un amico lontano, Scheiwiller, 1989), fili multicolori di un unico disegno in cui tutto, alla fine, si deve tenere. A questo disegno tracciato con un furore inflessibile, le Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, e precisamente Piero Draghi, Mario Luzi, Anna Bonetti, Venturino Venturi, Giorgio Orelli, aggiungono poco, a parte quel molto che è il dono inaspettato di tre poesie finora inedite inviate ad Anna Bonetti: qualche lampo di giovinezza, con i suoi sodalizi assoluti, le sue intimità irripetibili, la sua infinita disponibilità mitopoietica ("E così passerà questo mezzogiorno stupendo, la nostra età perfetta, capisci Giorgio? Noi così giovani e saggi, disperati e attenti. Il mondo ci consuma in questa inutile resistenza"); la conferma dell'importanza della Posta letteraria del "Corriere dell'Adda e del Ticino" fondata da Gianfranco Draghi e del ruolo centrale, ancora da indagare a fondo, svolto da Campo nell'orientamento generale e nelle scelte particolari del supplemento; gli accenti risoluti e civettuoli della giovane Cristina, quando il suo modello di stile e di vita non era ancora Simone Weil ma la Pisana: una voce che porta con sé quell'"aria di tagliente, gelida Firenze, illuminata da una luce perennemente bianca", quel "disperato bisogno di fatuità e di frivolezza" così ben colti da Pietro Citati in uno dei suoi Ritratti di donne, e che risuona soprattutto nelle lettere anteriori al '56, le poche scampate alla tabula rasa degli anni fiorentini ("Ora rivoglio bianche tutte le mie lettere" si legge in una poesia di Passo d'addio, e non è una metafora) e alla cesura esistenziale e letteraria rappresentata dal trasferimento a Roma. Alcuni di questi dialoghi epistolari risultano loro malgrado reticenti a causa della frammentarietà. Dal tempo e dai traslochi sono riemerse soltanto sei lettere a Piero Draghi, sei a Mario Luzi, cinque a Venturino Venturi: troppo poche per documentare davvero rapporti di cui si intuiscono la profondità e la forza, ma le cui tracce andranno ricercate, con altri strumenti, in altri luoghi, magari direttamente nelle poesie e nei saggi, talmente labili sono quelle lasciate in queste pagine. In quelli quantitativamente più cospicui (con Gianfranco Draghi soprattutto, ma anche con la pittrice Anna Bonetti) è proprio la familiarità spartita nella giovinezza e ormai cristallizzata in rito ad aprire nel discorso ampi squarci di silenzio, oppure a concentrarne il dettato in clausole e immagini note, che i conoscitori di Campo hanno già incontrato altrove e a un grado di compiutezza espressiva più alto (non è un caso che Margherita Pieracci, nel suo apparato di note, rimandi di continuo ad altri epistolari, soprattutto alle Lettere a Mita, con una scelta poco comprensibile per un volume concepito come autonomo e che rischia così di essere destinato soltanto agli happy few, ma forse inevitabile, visto il ricorrere di fatti, figure, episodi, e considerata l'improbabilità che un nuovo lettore si inoltri nell'opera di Campo attraverso questa entrata secondaria). Si avverte infatti, nella diversità degli accenti, un'identica tensione – la volontà ostinata di far sopravvivere l'infanzia, di prolungare nella parola la giovinezza bruscamente recisa nell'esperienza − ma come depotenziata dal passare del tempo, dall'incalzare di nuove metamorfosi e dalla necessità di riservare ad altro, ed ad altri, le poche energie sottratte ai lutti, alla solitudine, alla malattia. Fra i toni spesso alti delle riflessioni condivise con Draghi (sugli amatissimi Hofmannsthal e Weil, ma anche sulla scoperta di Pasternak, Tomasi di Lampedusa, dell'esordiente Zanzotto) e gli splendidi frammenti descrittivi che sembrano una sfida e un controcanto alla tavolozza di Anna Bonetti, la trama compatta dello stile, con cui Campo ha moltiplicato la propria esperienza del mondo e insieme si è sottratta al mondo, si lacera spesso per la fretta e la stanchezza e lascia trapelare, in tutta la sua imperfezione, la nuda vita un momento prima della sua sublimazione. Se nelle lettere a Mita sembra di leggere la filigrana dei saggi, le lettere agli amici fiorentini sono da leggere nel controluce delle lettere a Mita. Quelle sono il rovescio dell'opera, queste ne sono la cera persa. La loro autrice ne esce meno compiuta ma anche meno irraggiungibile, più fragile e contraddittoria, in una parola: più umana. In una lettera del 1959 indirizzata a Gianfranco Draghi, Campo descrive la felicità come "portare in bilico sulla testa una preziosa pagoda, tutta di vetro soffiato, adorna di campanelli e di fragili fiamme accese; e continuare a compiere ora per ora i mille oscuri e pesanti movimenti della giornata senza che un lumicino si spenga, che un campanello dia una nota turbata", e al traguardo di questa preziosità e purezza, da preservare intatta dal corso dei giorni, ha aspirato a condurre non solo la propria opera, ma tutta intera la propria persona. Eppure pochi mesi prima si era concessa il lusso di contraddirsi anticipatamente, con un'immagine più banale e non per questo meno vera: "Ma pensi a me, che non sono una figurina cinese, impassibile e sorridente, ma un piccolo scoglio sempre sotto i marosi". La pagoda di vetro sta più in alto, ma proprio per questo è inabitabile. Beatrice Manetti

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Conosci l'autore

Cristina Campo

1923, Bologna

Scrittrice italiana. Pseudonimo di Vittoria Guerrini. Il padre Guido è musicista. La madre appartiene a una famiglia della buona borghesia bolognese.Trascorre la prima infanzia a Bologna, all'Istituto Rizzoli del quale lo zio materno, Vittorio Putti, è direttore. Il difetto cardiaco (che l'accompagnerà per tutta la vita) le impedisce di frequentare regolarmente la scuola («... fortuna immensa», dirà in proposito Elémire Zolla). Studia da autodidatta sotto la guida del padre e di alcuni insegnanti privati. Impara le lingue leggendo Cervantes, Proust, Shakespeare.Appassionata studiosa di Hofmannsthal, rivisita il mondo fantastico delle fiabe individuandone e decrittandone le simbologie. È traduttrice e critica, in entrambi gli ambiti riuscendo...

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