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In alto a sinistra - Erri De Luca - copertina
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Descrizione


"Le storie di questo libro stanno nel perimetro di quattro cantoni: un'età giovane e stretta, di preludio al fuoco; una città flegrea e meridionale; la materia di qualche libro sacro; gli anni di madrevita operaia di uno che nacque in borghesia. Il possedimento minimo per un passante, è stato immenso per chi si è fermato. Esso rinchiude per attrazione un me narrato più che un io narrante, qualche tu femminile scalzo e ben piantato in terra, un noi promessa di frantumi. I pronomi sono frutti che maturano in stagioni diverse. Qui sono colti acerbi, prima che si carichino di succhi e di sé. Avvengono dei colpi fortunati, qualche salvataggio. Si sbatte a zonzo tra i limiti del campo, come biglia di flipper..." (Erri De Luca)
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Dettagli

8
2002
Tascabile
10 marzo 2008
128 p.
9788807813481

Valutazioni e recensioni

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ALESSIO
Recensioni: 5/5

un capolavoro che pone una domanda (cosa ci sarà mai "in alto a sinistra"?) e fornisce una risposta che non si dimentica. diversi racconti e diverse scene per uno scrittore unico che attraverso la magia della parola e del sogno è in grado di accompagnarci oltre al dolore. inno alla vita e alla poesia. da portare sempre con e dentro di sè. grazie erri.

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lettore4
Recensioni: 5/5

In ogni racconto De Luca ti sorprende con l'amore per la parola. Mai un aggettivo banale, mai un luogo comune. Probabilmente c'è qualche virtuosismo, tipico di chi sa di essere bravo, ma se lo può permettere. Raramente la prosa riesce ad essere così lirica.

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Paolo Trucillo
Recensioni: 5/5

Secondo me è il miglior libro mai scritto da Erri De Luca. Ricco di speranza. Un inno alla vita che va celebrata attraverso il canto.

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Voce della critica


recensione di Carbone, R., L'Indice 1995, n. 4
recensione pubblicata per l'edizione del 1994

Ci sono libri che nascono da un'ispirazione unitaria, che li accompagna e li sorregge dalla prima all'ultima pagina, e nei quali il lettore trova, o crede di trovare, le ragioni evidenti di un impegno di scrittura, la volontà di proporre il frutto di un lavoro che solo in quell'opera ha modo di manifestarsi espressamente, e altri che, invece, si vengono a mano a mano formando, accogliendo testi scritti in periodi diversi, e di differente entità, e che vengono disposti, come carte da gioco da un mazzo (per usare una metafora cara a De Luca), in un ordine che conferisce loro un altro senso. In questo secondo genere di libri, la posizione dell'autore è insieme più occultata ed esposta: occultata, perché essi solo in un secondo momento si sono configurati come opere concluse; esposta, perché le sue singole parti rimandano a un universo di espressione più vario e quindi più ricco e incontrollabile, meno soggetto al vaglio di chi, a suo tempo, le aveva create.
"In alto a sinistra" di Erri De Luca appartiene a questa seconda famiglia di libri. Raccolta di racconti più o meno brevi, più o meno esemplari, offre al lettore un adeguato campionario di quella scrittura narrativa che egli ha imparato a riconoscere e ad apprezzare fin dalla prima, notabile prova dell'autore, "Non ora, non qui", apparsa sei anni fa. E tuttavia, si tratta di un libro che si presta a una fitta serie di riflessioni, giacché l'apparente confluenza di racconti di diversa origine e composizione, con il conseguente rischio di dispersione che ogni raccolta del genere comporta, a lettura finita lascia il campo a un'altra idea, che poggia al contrario su caratteri di forte unità di intenti.
Mi spiego. Il mondo di espressione letteraria proprio a De Luca si poggia su alcuni, solidi elementi, che lo caratterizzano dandogli un aspetto ben riconoscibile. Provo a enumerarne alcuni: l'idea di una saggezza che si tempera e si foggia solo a contatto con l'esperienza personale, quasi sempre colta al suo limite estremo, e resa poi, sulla pagina, emblema, quando non aperta metafora, di una condizione di esistenza più ampia, religiosa e creaturale; l'asciuttezza e la perentorietà del dettato narrativo, che se da una parte rimanda a suggestioni e suggerimenti veterotestamentari propri del De Luca scrittore, dall'altra è sempre pronta ad aprirsi a movenze e a immagini assai ricche da un punto di vista lessicale, apparendo dunque come una semplicità di scrittura sempre in movimento, sabbia e duna di deserto pronte a essere increspate da improvvise folate di vento arroventato; il continuo rimando a un orizzonte in cui i sensi, intesi nella loro sobria e scabra realtà fisica e corporea, sono strumenti e artefici di sapienza, di conoscenza degli uomini e del mondo (per De Luca, sono gli esseri umani tutto il mondo); la povertà come condizione esemplare per poter guardare dentro le cose del mondo (dentro le vite degli uomini, dunque), e altro ancora.
C'è un racconto, tra quelli di "In alto a sinistra", che mi sembra getti una luce netta sul modo con cui il narratore sente il rapporto con il proprio tempo, che è quello del secolo ora alla fine. Si tratta di "Primizia" ed è un racconto di guerra e di montagna, tra i pochi che accampano un personaggio lontano dall'identità del narratore. Un giovane soldato austriaco assiste al primo e unico attacco di alpini italiani che, sci ai piedi; si lanciano da un pendio, vestiti di bianco, accompagnati dalle loro alte ombre che macchiano il candore del ghiacciaio. Segue le loro evoluzioni ed è folgorato dalla gratuità di quel gesto e di quell'attacco, che votato al fallimento diverrà presto massacro, sangue rosso sulla neve. Credo che poche immagini come questa riescano a rappresentare allegoricamente la condizione umana del secolo degli orrori bellici, che oggi in Europa accompagnano la sua fine così come avevano marcato i suoi esordi. Si vive balestrati nel mondo, giù a picco in un'impresa senza speranza. Ciò che rimane è il gesto, l'atto dell'offrirsi, l'esporre il petto al piombo che lo squarcerà, quasi senza far rumore. "Ero poeta, guerriero e alpinista di un secolo nuovo che grondava sangue fin dalle cime dei monti, dove nessuno ne aveva sparso prima".
In "In alto a sinistra", De Luca offre al lettore una sorta di autobiografia per frammenti ed episodi, in cui il dato dell'esperienza del tempo trascorso e, con esso, delle illusioni, dei dolori e degli affetti che marchiano a fuoco una vita, viene assoggettato a una riscrittura, sempre ad alta temperatura, a contatto con gli emblemi, i temi e i motivi propri di un'identità letteraria. Così, gli anni di un'adolescenza acida e scontrosa in una città del Sud diventano un solco su cui deporre i segni di un ostinato credito, le idee importanti e le intuizioni necessarie perché squarci di esistenza diventino letteratura e con ciò rivelino il loro senso più veridico e riposto. È questo il valore che la voce narrante attribuisce alla parola scritta e ai libri che la custodiscono. Nel racconto finale, che dà il titolo all'intera raccolta ed è forse il suo esito più alto, storia dell'agonia e della morte di un padre ammalato e ferito, "sgarrettato" dagli inutili rimedi dispensati brutalmente contro il male ("Il primo dovere di un medico è chiedere perdono", ha scritto a suo tempo Ingmar Bergman), sta proprio all'uomo morente dare riposta a una simile domanda: i libri diventano "l'unico posto dove l'esperienza che uno fa nel mondo trova le parole d'accompagnamento". Per questo essi vanno letti; accuditi, se possibile amati; mai ripudiati.
Nei suoi "Notebooks" Francis Scott Fitzgerald, lucido cantore del fallimento e della straziante perdita di coscienza e lucidità che da esso deriva, scrivendo del proprio lavoro, fissò in una percentuale assai precisa, e in ciò commovente (cinquanta per cento) il quoziente di esperienza che uno scrittore può trarre dai libri, lasciando la rimanente metà a un altro genere d'esperienza, quello sugli uomini e sul mondo, appannaggio della propria vita, che non va mai dove si vorrebbe condurre. In ogni libro in cui l'esistenza diviene argomento e pretesto per la narrazione (in tutti i libri, vorrei dire) ogni autore stabilisce, volente o nolente, senza saperlo o sapendolo, la propria, personale proporzione tra questi due universi. Non saprei quantificare quale sia quella che appare nel libro di Erri De Luca. Ciò che mi sembra, come lettore, di poter garantire è tuttavia il fatto che essa sia giusta: vale a dire, adeguata al suo universo di espressione, e alle cose che il narratore vuole raccontarci. Vivere al cinque per cento rimane pur sempre il ragionevole obiettivo a cui aspirare.

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Conosci l'autore

Erri De Luca

1950, Napoli

Diciottenne, vive in prima persona la stagione del '68 ed entra nel gruppo extraparlamentare Lotta Continua. Poi sceglie di esercitare diversi mestieri manuali in Africa, Francia, Italia: camionista, operaio, muratore. Studia da autodidatta l'ebraico e traduce alcuni libri della Bibbia. È opinionista de «il Manifesto».Ha pubblicato con Feltrinelli: Non ora, non qui (1989), Una nuvola come tappeto (1991), Aceto, arcobaleno (1992), In alto a sinistra (1994), Alzaia (1997), Tu, mio (1998), Tre cavalli (1999), Montedidio (2001), Il contrario di uno (2003), Mestieri all’aria aperta. Pastori e pescatori nell’Antico e nel Nuovo Testamento (con Gennaro Matino, 2004), Solo andata. Righe che vanno troppo spesso a capo (2005), In nome della madre (2006), Almeno 5 (con Gennaro...

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