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L' odissea. Epos tra fiaba e romanzo
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1991
1 gennaio 1991
361 p.
9788871660349

Voce della critica

H”LSCHER, UVO, L'Odissea. Epos fra fiaba e romanzo, Le Lettere, 1991
CHIARINI, GIOACHINO, Odisseo. Il labirinto marino, Kepos, 1991
recensione Gianotti, G.F., L'Indice 1992, n.10

All'indomani di una guerra condotta da una formidabile alleanza multinazionale per restituire la legittima partner al progresso occidentale (Elena in forma di pompa di benzina), nello scenario apocalittico della dissoluzione di imperi ritenuti saldissimi, la nostra civiltà fa i conti con un passato che non passa, scopre la fragilità di barriere cronologiche che parevano garanzia di distanza da comportamenti remoti o inconfessabili, si interroga sulle ragioni delle guerre giuste - come se guerra e ragione e giustizia fossero predicati d'uno stesso discorso - e sui mezzi idonei a ripristinare equilibri infranti. L'inaccettabile paradosso della situazione sta nel fatto che esiste altra via, meno rovinosa, per dar corso a salutari revisioni del presente, senza attendere traumi collettivi che mettano in discussione tutto. Esiste infatti altro tipo di guerra incruenta, la guerra della Historia contro il Tempo (per dirla col dilavato manoscritto manzoniano), che permette all'uomo di vedere le proprie immagini di ieri, sceverare valori ed esperienze, accettare le diversità come cosa nostra senza timori e crudeli rimozioni
L'arsenale della storia non è sede di pratiche belliche, ma di esercizi tesi a comprensione più ampia: ascoltare la voce dei morti, fissare lo sguardo su assenze e lontananze, ridurre i margini dell'ignoto, esplorare i confini di una geografia umana e simbolica che si estende nello spazio e nel tempo. Chi voglia conservare dimestichezza con tali esercizi, e rinnovare il viaggio alla scoperta dell'uomo, può utilmente rimettersi sulle tracce del prototipo del '`viaggiatore sagace" che inaugura la nostra storia culturale, vale a dire sulle tracce di Odisseo. Succede infatti che in questa età antiepica il poema del travagliato ritorno a Itaca d'un reduce di guerra trovi nuova attenzione, grazie a cultori di antiche memorie capaci di resistere a mode e conformismi, e forse grazie anche ad attuali sindromi da dopoguerra. L'occasione è offerta da due opere uscite da case editrici recenti ma di salde radici: la fiorentina Le Lettere, nata da una costola della Sansoni; la romana Kepos, nata dalle Edizioni Abete (dunque nei pressi dei vertici confindustriali).
Il volume di Uvo Holscher è testimonianza della lunga fedeltà di un professore tedesco di letteratura greca (oggi emerito nell'Ateneo di Monaco) all'esegesi omerica che l'ha rivelato, più di quarant'anni or sono, alla comunità dei dotti come studioso impegnato nella scomoda battaglia a favore dell'unità di "Iliade" e "Odissea", e in difesa della personalità unitaria dei "due poeti" responsabili della composizione. In stagioni di studi omerici dominate prima dalle posizioni dei separatisti, poi segnate dagli studi su oralità e pluralismo rapsodico, Holscher ha percorso vie solitarie, insistendo sugli elementi strutturali dei poemi che, suo giudizio, provano l'azione unificatrice di un solo compositore. Certo, tornando ora sull'Odissea secondo l'ottica della storiografia letteraria, il professore di Monaco fa qualche concessione ai risultati della critica di quelle stagioni, almeno a proposito della dizione formulare e dei blocchi tematici attestati dalle tradizioni della narrativa orientale - dal "Racconto del naufrago" conservato da un papiro egizio del II millennio a. C. alla prova dell'arco affrontata da Arjuna nel Mabaharata -; ma sa trarre profitto coerente da filoni interpretativi disparati e talora decisamente antagonisti, mostrando come spunti di varia provenienza si compongano in un intreccio semplice, giocato sul ricongiungimento della coppia Odisseo-Penelope dopo lunga e dolorosa separazione.
In sostanza, all'autore dell'"Odissea" (distinto dal poeta dell'"Iliade") andrebbe riconosciuto il merito di fondare su materiali disparati una saga paradigmatica suscettibile di infinite riprese nella storia letteraria europea, da Virgilio a Joyce. Appunto la regia che fonde temi e inserzioni in trama unitaria sembra deporre a favore d'una forte (e unica) personalità in grado di disciplinare materiali e situazioni in forma coesa. Retto dalla mano sicura d'un unico narratore, il poema di Odisseo appare, nell'analisi di Holscher, come grandiosa e drammatica enciclopedia che organizza e classifica il sapere muovendo dall'esterno, dalla geografia del mondo conosciuto o immaginato, verso l'interno dell'uomo, verso la più riposta topografia degli affetti e dei sentimenti. Così il ritorno a Itaca mentre assicura il lieto fine alla storia e riporta ordine nel caos, si fa immagine della ricerca di se attraverso l'esperienza dell'altro e dell'altrove modello narrativo di "introspezione rovesciata" che pone la coscienza di se come traguardo della conoscenza del mondo.
Disegno unitario (e mano unica di regista) rivela l'"Odissea" anche nelle analisi raccolte da Gioachino Chiarini, valoroso docente dell'Ateneo senese, nel secondo volume che qui si vuole segnalare; e il disegno ha forma antica, la più intrigante delle forme antiche, quella del labirinto. Come ricordano i primi capitoli, dedicati a Dedalo e a Teseo -all'artefice mitico e al mitico trionfatore del labirinto -, antropologi e storici delle religioni insegnano che il labirinto è modello iniziatico di morte e rinascita presente in culture diverse a segnare i riti di passaggio che impongono superamento di ardue prove in vista di nuovi e più soddisfacenti stati sociali. In particolare, la forma del labirinto cretese a dodici anse si insedia nell'immaginario greco come metafora di ogni processo che ristabilisca l'ordine perduto o sappia instaurarne uno nuovo: riflesso terreno dei moti astrali, essa rivive nella danza eseguita a Delo da Teseo per celebrare la vittoria sul Minotauro ("a imitazione degli intricati meandri del Labirinto" dice Plutarco) e in ogni avventura "dedalica", in ogni percorso tortuoso (ma noto al dio e all'artefice umano, architetto o poeta che sia) che richieda superamento di prove per giungere alla meta e riaffermare identità negate o smarrite.
Ora - ecco la trouvaille, semplice e illuminante, di Chiarini - è appunto lo schema del labirinto cretese la traccia nascosta lungo cui si dipanano le peregrinazioni di Odisseo nel ritorno da Troia. Insomma, con buona pace della critica che ha tentato di ricostruire in chiave di 'Realien' la geografia omerica, il viaggio dell'"Odissea" appare ritmato secondo dodici grandi anse - sei occidentali e funeste, sei orientali e positive - che riproducono altrettante stazioni simbolico-iniziatiche del ritorno e portano l'eroe viaggiatore al centro dello spazio degli affetti, là dove l'attende l'ultima prova. Come Teseo, guidato dal filo di Arianna, nel cuore del labirinto affronta e vince il mostruoso figlio di Pasifae, così Odisseo, guidato da Apollo e Atena, stermina il mostro policefalo che occupa il cuore del suo regno (i Proci nella reggia), riconquistando sposa e regalità.
E non basta: il libro mostra come parallelamente alle peripezie dell'eroe lungo la tortuosa "danza" del ritorno, anche Penelope compia un "suo viaggio labirintico", viaggio della mente che si nutre di sogni e speranze ma reso visibile, nel suo "immobile andare", dal ritmico farsi e disfarsi della grande tela. E così, al termine di un fine (e gradevolissimo) discorso critico che sa orientare il lettore tra sovrapposizioni di piani e sostituzioni di immagini, ci accorgiamo che l'opera dell'instancabile tessitrice, mentre riproduce al femminile, nel chiuso delle stanze, l'oscillante procedere dei passi dell'eroe nel mondo esterno, anche rappresenta "l'arte del poeta, del tessitore della grande tela istoriata dell'"Odissea", la sua abilità nel far convergere i ritmi dei destini individuali in un unico punto, a partire dal quale essi si rivelano non più destini diversi, ma aspetti diversi di un unico destino".
Un'ultima considerazione: sia Holscher sia Chiarini si misurano con la sterminata letteratura critica accumulata sui poemi omerici, rinunciando tuttavia (in particolare il secondo) a pesanti apparati di note che allontanerebbero il pubblico dei non specialisti; entrambi, infine, hanno belle pagine sulle fortune, letterarie e iconografiche, del tema di Ulisse nel mare magnum della cultura occidentale. Pare allora opportuno segnalare, a integrazione di quanto si legge in questi volumi e a beneficio di eventuali lettori interessati, l'utile rassegna ragionata della bibliografia omerica allestita due anni or sono da Franco Montanari ("Introduzione a Omero", Sansoni, 1990) e il recente, stimolante saggio dedicato da Piero Boitani alle metamorfosi di Odisseo nel corso dei secoli ("L'ombra di Ulisse", Il Mulino, 1992, recensito qui a fianco ).

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