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Il caso Dreyfus e la nascita dell'intellettuale moderno - Agnese Silvestri - copertina
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Descrizione


Errore giudiziario, crisi nazionale, momento fondante la modernità politica francese del XX secolo, il caso Dreyfus ci rimanda l'immagine concentrata delle tensioni e degli interrogativi che da allora investono le società di massa occidentali e il ruolo degli uomini di pensiero. Questo volume ripercorre le tappe essenziali di quel celeberrimo caso, dalla condanna nel 1894 alla riabilitazione nel 1906, dando la parola ai protagonisti dell'epoca e presentando per la prima volta in traduzione italiana la gran parte dei documenti proposti. Emergono così, in modo diretto, giudizi e testimonianze contrastanti su uno stesso evento, le tensioni ideali e gli argomenti che allora contrapposero dreyfusardi e antidreyfusardi, le strategie discorsive utilizzate dagli uni e dagli altri. La battaglia di una minoranza per la revisione del processo a Dreyfus è l'occasione storica in cui i ranghi prestigiosi dell'università e dell'arte reclamano il loro diritto di parola su una questione che non attiene né alla conoscenza specialistica né all'estetica. Li chiamano con disprezzo "intellettuali". Al principio di autorità contrappongono lo spirito critico, all'idea di una patria fondata su una fantomatica "razza" quella di una nazione formata da cittadini, all'ossessione per l'ordine sociale l'esigenza della verità e della giustizia, all'ingerenza della Chiesa le virtù della Repubblica laica.
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Dettagli

2013
8 marzo 2013
416 p., Brossura
9788820405953

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Fabrizio Porro
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Fu una figura straordinaria quella di Bernard Lazare che ancor prima di Émile Zola si attiva in quel ruolo che fu di Voltaire e di Victor Hugo e che sarà poi anche di Jean-Paul Sartre: quella dell' intellettuale engagé, dell'uomo di cultura che agisce all'interno della società in cui vive , che prende posizione e interviene per affrontare questioni solo apparentemente estranee alla sua professione. Charles Pierre Péguy lo definisce "uno dei più grandi profeti d'Israele". Sí, perché si tratta di un "combattente per la dignità e i diritti individuali dell'uomo" che difendendo il capitano Alfred Dreyfus ha voluto difendere anche e soprattutto la libertà e la giustizia sociale in accordo alle tesi profondamente anarchiche e libertarie. Purtroppo non riuscì a condividere la gioia della riabilitazione di Dreyfus: mori nel 1903, dimenticato dai molti intellettuali che hanno preferito esaltare e valorizzare maggiormente la figura del suo successivo "erede" (legittimo, beninteso) verso il quale aveva per cosi dire "spianato la strada".

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Fabrizio Porro
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Non solo l'anarchico lodigiano Camillo Berneri, amico di Salvemini e corrispondente di Gobetti, fu tra i primi, dall'esilio parigino, a denunciare il crescente razzismo mussoliniano degli anni trenta. Anche l'anarchico ebreo francese Bernard Lazare si dedicò esclusivamente al caso Dreyfus, molto prima di Émile Zola. Ha pubblicato il suo primo articolo, "L'Affaire Dreyfus - Une erreur judiciaire" in Belgio nel novembre del 1896; era in effetti una completa riscrittura di un testo precedente che aveva scritto su richiesta di Mathieu Dreyfus, fratello di Alfred Dreyfus, nell'estate del 1895. Basandosi su un articolo de "L'Eclair" dal 15 Settembre 1896, edizione che ha rivelato l'illegalità del processo del 1894, Bernard Lazare ha confutato punto per punto l'accusa e ha chiesto che la sentenza di condanna fosse rovesciata. Questa tattica conforme più ai desideri della famiglia Dreyfus, come la prima versione del testo era un attacco selvaggio agli accusatori, che termina con la storica frase "J'accuse", poi resa famosa da Émile Zola.

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Voce della critica

  L'+le du Diable, che si trova al largo della Guyana francese (Sud America), è oggi deserta. Quando vi fu recluso per alto tradimento il capitano francese, di origine ebraico-alsaziana, Alfred Dreyfus, verso la fine del XIX secolo, essa ospitava un rigido penitenziario dell'Empire colonial français, incubo dei galeotti. Ripercorrendo la storia del processo e della campagna di stampa che portarono l'ufficiale, in seguito riabilitato, a quella condanna, si getta ora nuova luce sul contesto entro cui si svolsero i fatti e sul loro epocale impatto in merito al rapporto fra intellettuali e politica in Europa. Le varie sezioni del volume vertono sulle singole fasi dell'Affaire, con una ricca scelta di articoli di giornale o discorsi ad affiancarne la dettagliata ricostruzione. Dopo la messa in stato d'accusa di Dreyfus per spionaggio a favore dei tedeschi, la Francia si spaccò in colpevolisti e innocentisti: capofila dei primi era la stragrande maggioranza dei quotidiani come dei settimanali, e in genere della "letteratura da marciapiede", esperta nelle facili mitologie da offrire in pasto ai meno istruiti o ai nazionalisti più aggressivi; il foglio antisemita "La Libre Parole" toccava da qualche anno le centomila copie. Furono invece in minoranza, restando però instancabili e ostinate anche quando tutto sembrava perduto, le pubblicazioni a sostegno di Dreyfus, pubblicazioni che sarebbero infine riuscite a squarciare, dati alla mano, la cortina fumogena dei pregiudizi antisemitici e antirepubblicani, grazie al traino di una combattiva élite illuminata: quella di Zola, France, Mirbeau, Monod, Durkheim, Clemenceau e Jaurès. Il clima divenne infuocato. Alcuni dreyfusardi, come il senatore Sheurer-Kestner, vennero aggrediti fisicamente. Ben presto, su Dreyfus si era stretta una morsa: l'antigiudaismo della "Croix", di profilo cattolico, si era saldato con l'antisemitismo dei fanatici à la Drumont e dei nazionalisti come Barrès. Non secondari si dovevano rivelare poi l'apporto del plebeismo di un pugnace ex comunardo quale Henri Rochefort e di settori socialisti ostili al mondo ebraico, in cui semplicisticamente si coglieva il rispecchiamento dell'ombra dei Rothschild e dell'alta finanza. Nemmeno i giornali moderati furono esenti da ambiguità, soprattutto quando si riferivano con accenti critici al secolare "internazionalismo" ebraico. Un aiuto determinante per comprendere la portata storica dell'Affaire viene fornito dagli articoli di Georges Clemenceau qui riprodotti. Politico di rango, egli più di ogni altro denunciò come, a latere del complotto per trasformare la più classica montatura giudiziaria in micidiale collante antidemocratico, si collocasse una ragion di stato che ostacolava il diritto a una reale difesa per la vittima in nome di quella, necessaria e imperativa, dell'esercito, "Arca santa" della patria; specularmente, se è vero che Alfred Dreyfus non ritenne mai l'antisemitismo all'origine dei propri tormenti, è altrettanto vero che i suoi stessi partigiani identificavano la sua causa con quelle, più alte, della repubblica e della democrazia.Per questa via, il caso si configurò, scrive l'autrice, quale "momento di lacerazione sociale, di chiarimento dei referenti etici e ideologici della Repubblica, di discussione degli assetti istituzionali".   Daniele Rocca  

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