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Guerra è pace
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Guerra è pace - Arundhati Roy - copertina
Guerra è pace - Arundhati Roy - 2
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Descrizione


Le pagine di "Guerra è pace" sono dedicate agli ultimi eventi che hanno sconvolto il mondo intero: l'attacco dell'11 settembre alle Twin Towers di New York e la risposta americana del 7 ottobre. La sua voce forte, polemica, piena di rabbia ma anche di compassione per le vittime, di qualunque bandiera e religione, si leva anche per condannare in modo lucido e documentato i rischi della globalizzazione dell'economia mondiale; della privatizzazione delle risorse energetiche; del divario tra Oriente e Occidente; della guerra nucleare, in cui il nostro nemico sarà la Terra stessa i cui elementi si volgeranno tutti contro di noi. Arundhati Roy sottolinea con forza la necessità a riprendere in mano il proprio futuro.
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Dettagli

2002
18 gennaio 2002
208 p., Rilegato
9788882464479

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giuseppe grasso leanza
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Nella Valle indiana della Narmada sulle rive dell'omonimo fiume che l'attraversa con i suoi boschi e le sue foreste, è cresciuta un'altra resistenza non violenta... Da lontano (lontano dall'Occidente), giunge la sua voce di rivolta, un'altra coscienza critica contro il sistema sregolato del mercato globale. Sullo sfondo, la crisi argentina e la bancarotta della Enron, che confermano i rischi della democrazia dopo la dissoluzione dei vincoli di legalità e trasparenza dei comportamenti mercantili...

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Voce della critica

"Immaginate una notte buia, senza neanche una luce a parte le stelle. E anche quelle si vedono a fatica, in mezzo a squarci di nuvole". Sono parole di Mahasveta Devi che, in una delle sue storie dedicate ai ragazzi adivasi, così descrive il momento che precede un'ingiustizia, un oscurarsi della natura o del tempo o della ragione che precede certi interventi dell'uomo, interventi brutali, miopi o addirittura ciechi, il cui obiettivo è il vantaggio di pochi, l'oppressione, la povertà di moltissimi. Leggendo questi saggi di Arundhati Roy, in parte già noti al pubblico italiano (Un mondo senza immaginazione, sui test nucleari indiani del 1998, e Per il bene comune, sul progettato sistema di dighe sul fiume Narmada, 1999, erano già stati raccolti in volume, sempre da Guanda, con il titolo La fine delle illusioni; mentre i due saggi scritti dopo l'11 settembre, L'algebra della giustizia infinita e Guerra è pace sono usciti su "Internazionale" nell'autunno 2001), si ha costantemente la sensazione di una scrittura che tenta di far luce, di opporsi alle tenebre che si addensano sull'esistenza degli esseri umani.

E direi che l'autrice del bestseller mondiale Il Dio delle piccole cose dimostra di avere pieno titolo a raccogliere il testimone impugnato per decenni dalla "devi" della letteratura indiana. Come scrittrice e come attivista, tanto più che proprio in questi giorni Arundhati Roy, accusata di oltraggio alla Corte per aver partecipato a pacifici presidi di protesta contro la sentenza sulla diga di Sardar Samovar lungo quel fiume bellissimo che è la Narmada, si è vista condannare a tre mesi di reclusione - scontati con una notte di carcere e il pagamento di una consistente pena pecuniaria. Da quella ridicola accusa Roy ha voluto difendersi con una splendida arringa contenuta in questo volume, Sui diritti dei cittadini a esprimere il proprio dissenso. In essa Roy pone una questione cruciale, peraltro al centro della riflessione di quanti, dopo Seattle, Praga, Genova, lungo la Narmada o a Porto Alegre, hanno deciso di contestare, a proprio nome, un processo di globalizzazione che, come le dighe, appare economicamente insostenibile, ecologicamente distruttivo e profondamente antidemocratico: "Come libera cittadina indiana ho il diritto di partecipare a qualsiasi dimostrazione o marcia di protesta pacifiche (...). Come scrittrice ho il pieno diritto di usare il mio punto di vista, tutte le mie competenze e i miei talenti, oltre a tutte le cifre e i dati di cui dispongo per convincere le persone ad adottare il mio punto di vista".

Il tema dell'impegno dello scrittore, e più in generale dell'artista, è uno dei fili conduttori di questi saggi. Ove l'argomentazione, politicamente forte e quasi sempre convincente, è sostenuta dalla scrittura di chi, sentendo "il linguaggio come la pelle dei suoi pensieri" e pensandosi innanzitutto come cittadina del suo paese e del mondo, opta per la prosa saggistica - "per uno scrittore di romanzi non c'è niente di più umiliante che ripetere argomentazioni già sostenute nel tempo da altre persone (...), sono disposta a strisciare, a umiliarmi perché in queste circostanze il silenzio sarebbe imperdonabile" - senza rinunciare alla poesia e all'ironia - "essere scrittrice, presumibilmente 'famosa', in un paese dove ci sono milioni di analfabeti è un onore piuttosto dubbio" - per farne un'arma pacifica da mettere nelle mani di tutti. A proposito della sua decisione di affiancare nella loro lotta gli abitanti dei villaggi minacciati dai progetti di sbarramento della Narmada, Roy scrive: "L'istinto mi indusse a mettere da parte Joyce e Nabokov e a rimandare la lettura del librone di De Lillo per dedicarmi a rapporti di bonifica e irrigazione, diari, libri e documentari sulle dighe", quindi si inoltra tra le cifre relative a investimenti, costi e profitti, raccolti, andamento demografico e produttivo; sciorina metri cubi e megawatt, facendo di tutto ciò materia narrativa. Documento come racconto, racconto come documento, dedicato "alle marmotte e ai topi campagnoli, e a tutto quello che sulla terra viene minacciato e terrorizzato dalla razza umana".

I meccanismi del mercato culturale, le imposizioni di un sistema di informazione che tendono a occupare l'immaginario del singolo omologandolo fino alla sua cancellazione, sono l'oggetto del testo, finora inedito e molto interessante, di una conferenza tenuta nel febbraio 2001 allo Hampshire College di Amherst, Massachusetts: Le signore sono tanto emotive, allora... dovremmo lasciar decidere agli esperti? Titolo dagli echi woolfiani per un saggio che sarebbe piaciuto alla poeta di Amherst, colei che scriveva: "La Speranza è quella cosa piumata / che si viene a posare sull'anima"). Roy smentisce con forza i luoghi comuni sulla libertà dell'artista, tenta, a mio avviso con successo, di saldare una dicotomia che le viene imposta dall'esterno: "Mi sono chiesta perché chi ha scritto Il Dio delle piccole cose sia chiamata 'scrittrice', e chi ha scritto i saggi politici sia chiamata 'attivista' (...). La mia tesi è che mi abbiano appioppato questo doppio appellativo, questa orrida etichetta professionale, perché nei miei saggi, che vertono su argomenti molto controversi, scelgo da che parte stare. Prendo posizione". Scelta stimolante se non altro per quei lettori e lettrici che condividono il bisogno della scrittrice di sentirsi cittadini, a buon diritto pensanti e schierati, e come lei desiderosi di mantenere al linguaggio il ruolo che gli spetta, di veicolo di comunicazione e bellezza, rifiutandone il massacro disinvoltamente praticato da molti organi di controllo e di governo.

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Conosci l'autore

Arundhati Roy

1961, Assam

(Assam 1961) scrittrice, saggista e attivista indiana. Ha esordito sulla scena letteraria nel 1997 con il romanzo d’ispirazione autobiografica Il dio delle piccole cose (The god of small things, vincitore del Booker Prize), ambientato nel Kerala degli anni ’70, dove convivono intoccabili, comunisti, indù, cattolici, intellettuali, turisti e imprenditori; attraverso le vicende di una famiglia la narrazione ricostruisce quelle più generali di una nazione, le tradizioni culturali e i cambiamenti portati dal contatto con l’Occidente, e spostandosi di continuo dal presente al passato assume tratti epici. Il suo secondo romanzo è Il mistero della suprema felicità, edito nel 2017.Indirizzatasi all’attivismo politico e pacifista, è diventata...

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