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Romanzo di formazione (forse anche autobiografico) che dopo un inizio appena un po’ difficoltoso prende il largo e ci racconta, attraverso le vicende di Sara, che è la protagonista ma riesce a stare molto bene sullo sfondo, ci racconta, dicevo, un paio di decenni cruciali della nostra storia recente, anni ’60 e ’70 soprattutto (ma non solo). Lo fa con garbo e forza narrativa, ironia, sincerità, nitidezza, sapendo interessare il lettore pur nel racconto di vicende personali che spesso, in altri contesti letterari, stufano e basta. Ottimo lavoro, di grande pregio anche intellettuale.
Recensioni
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Ininfluente l'esperienza del sesso nella storia di Sara per definire "romanzo di formazione" quest'ultimo libro di Carpi, come il risvolto editoriale vorrebbe; eppure del Bildungsroman esso conserva la rappresentazione dei contrasti (pochi o evitati), degli accordi, dei compromessi tra protagonista e realtà. Irrispettoso del patto con il lettore (che si aspetterebbe l'identità del nome dell'eroina con quello della scrittrice) per essere un'autobiografia; eppure del genere delle vite adotta lo scrivere di sé ("È da un pezzo ormai che neppure fra amici si parla più di se stessi, di come si è o del proprio destino": così l'incipit) e il continuum biografico, dalla nascita, collocabile da vari indizi intorno al 1938, al film di Benigni La vita è bella. Troppo poco autonomo rispetto al disegno paterno il percorso della protagonista per essere letto in chiave "selfhelpista"; eppure vicino al modello autoaffermativo il racconto dell'essersi fatta da sé, lavorando duramente e affiancando fin dai tempi dell'università l'insegnamento allo studio.
All'origine vi è il diario che il dominante "impresario" ha consigliato/imposto alla figlia tredicenne di tenere e che lei ha compilato per anni, tesaurizzando le esperienze quotidiane e impratichendosi nella scrittura: "Era il genere più semplice, il primo gradino, quello che nella musica è il flauto dolce". La sua è una "storia d'obbedienza" a un'istanza maschile ormai introiettata (il "principe scarlatto"); eppure lungo la traccia predisposta si muove in modo eccellente questa donna, "anima forte e carattere debole", priva di vocazioni nette - fatta eccezione per il disegno, coltivato da dilettante che tuttavia partecipa a mostre; e per il teatro, scoperto tardivamente come possibile alternativa al mestiere di germanista - eppure così duttile (troppo?) da portare a buon fine qualsiasi scelta intrapresa. Il soggiorno in Germania, poi in Unione Sovietica, la cattedra universitaria, il primo libro costituiscono le tappe del successo professionale di Sara - Anna Maria; sullo sfondo l'attraversamento del Sessantotto e del femminismo, l'impegno politico. E molti personaggi, alcuni riconoscibili, tra Milano, Torino e Macerata. A parte la parentesi femminista e l'esperienza narrata nelle pagine conclusive, che apre su una collettività di donne, le relazioni importanti sono giocate con uomini, prevalenti nel mondo della cultura e poco stimati dalle loro mogli. Freddo il rapporto con la madre, della quale Sara descrive la morte in un numero di pagine pari a quelle in cui piange la fine del gatto Luis. Forse proprio nel distacco dalla genealogia femminile si comprende il disinteresse per il biologico e la scelta di non rimarcare i principi dell'identità sessuale. L'io di Sara si profila per differenziazione dalle altre (e dagli altri), non per affinità.
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