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Pastorale americana
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Pastorale americana - Philip Roth - copertina
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Pastorale americana

Descrizione


Un libro che demolisce ogni stereotipo sulla grandezza dell’America e getta una luce sinistra sui suoi valori fondanti. La guerra, la famiglia, il fanatismo, la crisi, sono raccontati da Philip Roth con profondo acume. Un libro che è stato definito da tutti “Il grande romanzo americano”. E lo è.

Nei suoi libri Philip Roth ha spesso descritto il bisogno negativo che l'uomo ha di distruggere, sfidare, contrastare, lacerare. In questo ultimo lavoro concentra la sua forza narrativa sull'energia contraria, sullo spasmodico desiderio di una vita normale: "Pastorale americana" è un libro sull'amore e sull'odio per l'America, sul desiderio di appartenere a un sogno di pace, prosperità e ordine, e sul rifiuto dell'ipocrisia e della falsità celate in quello stesso sogno.
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Dettagli

1998
1 gennaio 1996
423 p.
9788806147389

Valutazioni e recensioni

4,25/5
Recensioni: 4/5
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Hodor
Recensioni: 3/5

Tutto il romanzo gira intorno agli stupidi sensi di colpa di un padre per la deriva prima terrorista poi mistica di una figlia idiota. Inoltre Roth seppellisce i suoi personaggi sotto decine e decine di pagine piene di divagazioni fastidiose e logorroiche e trattati sociologici al limite della sopportabilità. Questo sarebbe il romanzo cardine della recente letteratura americana?

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Cristiana
Recensioni: 5/5

Ok: sembra inutile recensire un libro così meraviglioso, unirsi al peana degli altri adoratori, ma voglio farlo se non altro per giustificare a me stessa il fatto che poi ho letto tutti gli altri libri di Roth e non sempre ne valeva la pena....

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Davide
Recensioni: 4/5

Riflessione importante sulle contraddizioni della società americana/capitalista, dove si rivelano i fragili equilibri e le responsabilità dei rapporti, con le relative conseguenze sui singoli appartenenti alla stessa.

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Recensioni

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Voce della critica


recensione di Bacigalupo, M., L'Indice 1998, n.11

Grande affresco o polpettone, il penultimo romanzo di Roth (premio Pulitzer 1998), rivisita gli anni di piombo, dal 1967 dei tumul-
ti razziali di Newark al 1973 di Watergate, dalla prospettiva del 1995: sempre però dall'esterno.
Nathan Zuckerman, "alter ego" di Roth, ritrova un compagno di scuola già campione sportivo, Seymour Levov, detto "Svedese" per la prestanza e i capelli biondi. Levov è l'ebreo americano che scommette sull'assimilazione e fa propri in tutto e per tutto i valori delle stelle e strisce: "gli bastava recitare i nomi dei 48 stati per sentirsi esaltare". Una persona senza storia, idolo inattaccabile.
Succeduto al padre nella direzione di una prospera fabbrica di guanti di Newark, sposa nientemeno che Miss New Jersey, cattolica, la divorzia, si risposa, ha tre maschi... Sembra un "idillio" o un'"egloga" americana (come più esattamente tradurrei il titolo inglese "American Pastoral"), ma quando Levov settantenne muore di cancro nel 1995 Zuckerman scopre casualmente il segreto che forse l'amico voleva confidargli. Dal primo matrimonio ha avuto una figlia, Merry, che nel 1968 ha fatto saltare il negozietto - ufficio postale del villaggio uccidendo un bravo medico, e da allora vive nella clandestinità, forse è morta. Merry era il grande amore di Levov, tanto che una volta egli ha acconsentito a baciarla "come baci la mamma". Donde (sembra di capire) il rapido declino psicofisico della giovane, che diviene obesa, balbetta, vomita odio ideologico, e infine passa ai fatti, in realtà mettendo in pratica un consiglio datole incautamente da papà: se vuoi fare la rivoluzione non parlarne nelle tue comuni di New York, portala a casa.
Così, dopo l'avvio ai giorni nostri (1995), le parti II ("La caduta") e III ("Il paradiso perduto") tornano ossessivamente al passato, diventano la storia di Levov, oscillando fra terza e prima persona, e Zuckerman scompare, creando un certo scompenso strutturale. I modelli sono le grandi biografie presunte di Lord Jim e Jay Gatsby, che però ammaliano in quanto l'eroe è sempre narrato, non narratore. In "American Pastoral" invece Levov viene in primo piano e diventa quasi indistinguibile dall'intellettuale Zuckerman, che dichiaratamente ne reinventa la storia basandosi su pochi elementi certi.
Per raccontare la latitanza di Merry e le reazioni dei genitori, Roth si vale di flashback dentro a flashback. Introduce una misteriosa emissaria di Merry, Rita Cohen, in realtà un suo doppio narrativo, insieme alunna diligente, vomitatrice di slogan terroristici, ninfomane. Nel 1968 Levov le dà del denaro per la figlia, poi ne perde le tracce fino al 1973, quando inaspettatamente arriva una sua lettera (il più vecchio trucco del romanziere). Merry, apprendiamo, vive sotto falso nome non lontana da casa, e conduce una vita miserabile da convertita al jainismo. Levov la incontra di nascosto e ne raccoglie la storia di terrorismo e degradazione.
Gli eventi di per sé non sono troppo improbabili, ma Roth ha il vizio di concentrare in apertura di un capitolo o di un paragrafo, in frasi ad effetto, i più succulenti bocconi narrativi, salvo poi ammannirci decine e decine di pagine di contesto e riepilogo, prima di fornirci un altro tassello consistente della vicenda principale. Così il capitolo 5 si apre con la lettera della fantomatica Rita Cohen, e ci vogliono cinquanta pagine (in gran parte, chissà perché, sulla moglie Dawn) prima che Levov arrivi al luogo dove vive Merry. Roth sembra voler riempire a tutti i costi le fatali quattrocento pagine del "grande romanzo".
La parte III (centoquaranta pagine) è la cronaca minimalista di una cena a casa dei Levov subito dopo l'incontro con la figlia jaina, nel corso della quale il povero Svedese ha la sorpresa di scoprire la moglie che amoreggia con l'amico architetto Wasp in cucina (un luogo poco adatto, si direbbe, per amanti di mezz'età). Ha buon rilievo la figura di Levov padre, l'unico degli ospiti a scandalizzarsi del successo mondano del film "Gola profonda", che però finisce simbolicamente infilzato dalla forchetta di una megera alcolizzata (la moglie dell'architetto). Qui, stranamente, il romanzo finisce, "in medias res", tanto che il lettore per un attimo si chiede se nella sua copia non siano saltate delle pagine. È la Caduta, e dei vent'anni successivi della vita di Levov e della sua nuova famiglia standard nulla ci viene detto, per fortuna.
Nelle ultime pagine Levov ricorda il serrato interrogatorio fatto dal padre alla futura cognata cattolica, che ha la colpa di avere crocifissi e sacri cuori in casa... C'è sempre in Roth l'ossessione dell'ebraismo, da cui per quanto laici non si esce, e infatti la morale del romanzo, se c'è, è che il tanto desiderato matrimonio con la bella cristiana provoca solo disastri. Roth non sa cogliere, come i suoi fratelli maggiori Malamud e Bellow, l'universalità nell'ebraismo, e rimane a un livello di risentimento parrocchiale, di liti fra ragazzi di scuole ebraiche e cristiane. Ciò non toglie che egli sia stato altrove un umorista grottesco di valore ("Lamento di Portnoy, "1969), e che pochi anni or sono ci abbia dato un libro profondo, "Patrimony" (1991), storia vera e sofferta della morte del padre, dove non c'è bisogno di mezzucci per evocare gli aspetti dolenti dell'idillio americano.

recensione di Sarti, A., L'Indice 1998, n.11

Miltoniani i titoli interni ("Paradise Remembered", "The Fall", "Paradise Lost") impareggiabilmente ebraica la coscienza di voler leggere fin dentro il "dybuk", il tabù, il putrido-proibito di una delle realtà più tormentate (e del suo autore): l'americanicità - l'ultimo romanzo di Philip Roth è il racconto di un'ennesima dissacrazione. Il rovesciamento tocca ora al decoro della "normalità" o sognata tale. La normalità, infatti, non esiste: è idillio. E quell'idillio "pastorale" - presunto ritratto dell'America fine anni quaranta - partorirà mostri, per ribellione. In un libro di proporzioni epiche, Roth rivela come in cinquant'anni l'ebbrezza di un idealismo apparentemente irriducibile, ebbra esplosione di un'età dell'innocenza progettata con cura ("Vi ricordate l'energia? Gli americani che governavano non solo se stessi ma altri duecento milioni di persone in Italia, Austria, Germania, Giappone. I processi per i crimini di guerra stavano ripulendo la terra di tutto il male una volta per sempre (...) L'esplosione di energia era contagiosa, attorno a noi non c'era niente che fosse senza vita. I sacrifici erano finiti, la Depressione scomparsa"), abbia potuto sbriciolarsi nel suo tremendo contrario ("Pensi di sapere com'è questo Paese? No, non ne hai idea. Questo Paese è" spaventoso""). Un idealismo deflagrato dal rombo di una bomba a Newark nel New Jersey nel 1969, Newark come il Vietnam, che sgretola per mano della figlia sedicenne (il "mostro") l'esistenza del mito "Swede", il bellissimo Seymour Levov, ex campione di baseball ed ex-marine, nonché marito della splendida Miss New Jersey 1949 e successore nell'ardua impresa manifatturiera del padre ebreo dagli Stati Uniti alla Cecoslovacchia a Puerto Rico. La rivolta estrema della figlia contro l'imperialismo e il conformismo del padre, affiancati al silenzio della coscienza americana di fronte all'orrore della guerra vietnamita, una rivolta combattuta da Merry con atti terroristici, fame, e subiti stupri fisici e psicologici, lascia lo "Swede" nudo di ogni certezza, costruita per anni sul buon senso della "normalità": scorticato. Come non fare riferimento, a questo punto, all'intramontabile tema nella letteratura ebraica del rapporto con il padre - la paura del volto del padre, la ribellione cieca alla sua bellezza e perfezione? Tema mai risolto, forse irrisolvibile, come quello del citato "dybuk", il desiderio della possessione (e di un corpo), del rito proibito, del male. Ma per esorcizzare che cosa? Viene fatto chiedersi dopo che tanto orrore è diventato realtà quotidiana trascendendo persino l'amalgama di inventività comico-grottesca che è propria di Roth: è ancora il peso della tradizione che si vuole esorcizzare, una colpa ancestrale che è rimorso? E forse proprio qui trae origine quella necessità-vocazione che ha la letteratura, e quella ebraico-americana in particolare (come per Guido Fink, "Il Recupero del Testo", Clueb, 1992) di riscrivere, sempre, comunque, di riraccontare per sopravvivere: "tradurre per non tradire", ha commentato Harold Bloom. Di raccontare cioè la medesima storia infinite volte, riproducendo il libro dentro il libro (in "American Pastoral" il narratore è lo scrittore Zuckerman, dallo "Zuckerman scatenato", Bompiani, 1981), quasi come un'esegesi biblica, un "midrash", per riscattarsi, o riscattare.

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La recensione di IBS

All'inizio degli anni Settanta, nell'America rabbiosa del Vietnam e dello scandalo Watergate, la vita di Seymour Levov è apparentemente perfetta: campione sportivo, imprenditore di successo, marito fedele, padre esemplare. Ma cosa si nasconde dietro questa facciata di ordine e tranquillità? Quale tragedia è celata tra le pieghe dell'idillio che lo unisce all'amatissima figlia?
Merry, bambina delicata e intelligente, si è trasformata in un'adolescente intollerante e dogmatica. Ha un solo obiettivo, quello di "portare la guerra in casa", e lo farà con un gesto sanguinoso e disperato.

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Conosci l'autore

Philip Roth

1933, Newark, New Jersey

Philip Roth (Newark 1933 - Manhattan 2018) è stato uno scrittore statunitense. Figlio di ebrei piccolo-borghesi rigorosamente osservanti, ha fatto oggetto della sua narrativa la condizione ebraica, proiettata nel contesto urbano dell’America dell’opulenza. I suoi personaggi appaiono vanamente tesi a liberarsi delle memorie etniche e familiari per immergersi nell’oblio dell’attualità americana: di qui la violenta carica comica, ironica o grottesca, che investe anche le loro angosce. Dopo un primo, felice romanzo breve, Addio, Columbus (1959), e i meno incisivi Lasciarsi andare (1962) e Quando Lucy era buona (1967), Roth ha ottenuto la celebrità con Lamento di Portnoy (1969).Dopo Il grande romanzo americano (1973, riedito in Italia da Einaudi nel...

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