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Nascere. Storie di donne, donnole, madri ed eroi
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Nascere. Storie di donne, donnole, madri ed eroi - Maurizio Bettini - copertina
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Nascere. Storie di donne, donnole, madri ed eroi

Descrizione


Come nasce un eroe? I Greci raccontavano che Eracle aveva rischiato addirittura di non venire al mondo. Un eroe infatti non nasce quando capita, ma quando il volere di un dio, o una certa congiunzione astrale, decidono che la sua eccezionalità deve manifestarsi. Questo libro attraversa i cieli stellati della mitologia e dell'astrologia antica, e prosegue il proprio cammino soffermandosi a Tebe: qui la futura madre di Eracle, Alcmena, soffre doglie mortali finché una fanciulla non riesce a ingannare le nemiche della partoriente e permettere la nascita dell'eroe. Solo che la liberatrice di Alcmena viene trasformata in donnola. Bettini compie un viaggio attraverso la mitologia per spiegare il perché della scelta di questo animale.
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Dettagli

423 p.
9788806141806

Voce della critica


recensione di Raffaelli, R., L'Indice 1998, n.10

Il libro parte dai vari racconti che gli antichi ci hanno lasciato sul "mito" della nascita di Eracle. Il più famoso, quello di Omero, narra come Era, anticipando la nascita di Euristeo e ritardando quella di Eracle ("Iliade", 19, 119), riuscisse a ingannare Zeus facendo sì che appunto il primo, e non il figlio adulterino di Alcmena e Zeus, regnasse sugli Achei, secondo l'incauto editto del re degli dèi. Su come poi siano procedute le cose, su come alla fine il parto di Alcmena si sia sbloccato - perché infine Eracle è nato - il testo di Omero non dice nulla. "Omero avrebbe potuto benissimo farlo, solo che non ha voluto", chiosa Bettini; non ha "voluto", si può ulteriormente chiosare, perché un prosieguo della vicenda, in ogni caso, era per lui fuori fuoco, in quanto il centro del suo racconto è sulla precedenza della nascita di Euristeo rispetto a quella di Eracle: in altre parole, lo scopo di Era, qui, appare soltanto quello di far nascere Euristeo "prima" di Eracle, e dunque di frenare, piuttosto che non bloccare del tutto, il parto di Alcmena. Ma proprio queste considerazioni ci portano a non escludere che Omero, più che "non aver voluto", possa addirittura "non aver potuto": nel senso che la vicenda a lui nota e da lui narrata poteva davvero finire lì dove lui la conclude, non implicando il racconto alcun'altra conclusione se non quella della nascita anticipata di Euristeo e presentandoci Era non come la moglie gelosa che a tutti i costi vuole "impedire" la nascita del figlio della rivale, ma come la moglie che vuol mandare a vuoto il progetto dello sposo e che soltanto per questo, per ritardarla, impedisce, attraverso il suo controllo delle Ilitie, la nascita del figlio di Alcmena.
Altri racconti, diversamente da Omero, ci descrivono invece la vicenda del parto di Alcmena, secondo Bettini rispecchiando in qualche modo interessi e punti di vista femminili. Non so quanto sia vero o verosimile: mi pare comunque che la reticenza di Omero circa il "sofferto" parto di Alcmena sia da ascriversi non tanto al maschilismo dell'"epos" omerico, ma, più semplicemente, alla ragione di opportunità e di funzionalità su cui ci siamo appena soffermati. I racconti del parto, oltre a distaccarsi da quello di Omero circa le motivazioni di Era, sono separati dal racconto omerico da un lungo giro di secoli: essi infatti appartengono a Pausania (II d.C.), Ovidio (I a.C. - I d.C.), Libanio (IV d.C.), Antonino Liberale (II d.C.), Eliano (II-III d.C.) e Istro (III a.C., ma attraverso uno scolio a "Iliade", 19, 119).
In questi racconti, con alcune varianti, noi troviamo finalmente la storia della risoluzione del parto di Alcmena. Pausania, ad esempio, ci informa che a Tebe, nella casa di Anfitrione, ci sono tracce di figure femminili in rilievo: "I Tebani le chiamano le 'Pharmakídes'. Dicono infatti che fossero state mandate da Era per ostacolare il travaglio di Alcmena, per questo loro le impedivano di partorire. Ma Historís, figlia di Tiresia, escogitò un trucco per sconfiggerle. Si avvicinò tanto che le streghe potessero udirla e poi si mise a gridare che Alcmena aveva partorito. Le streghe, ingannate, se ne andarono, e Alcmena poté finalmente partorire" ("Periegesi", 9,11,12; trad. Bettini).
Gli altri racconti, con le variazioni che vedremo, seguono lo stesso cliché, nel quale cogliamo immediatamente una differenza fondamentale rispetto a Omero. Non c'è più la concorrenza tra "due" nascite, e quindi il comportamento di Era non è più quello della protagonista che ha la meglio, grazie a un'astuzia sottile, sui piani del merito: ella diventa, al contrario, l'antagonista il cui piano crudele non di ritardare, ma di impedire "tout court" il parto della nuova protagonista, Alcmena, è mandato a vuoto da un astuto stratagemma ideato da una "aiutante", che, in Pausania, è la figlia di Tiresia: l'astuta ingannatrice di Omero diventa, al contrario, la vittima di un inganno sottile. Rispetto a Omero, dunque, i racconti postomerici rappresentano non una parte omessa, ma una versione "diversa" dalla stessa storia, e sui rapporti tra le due versioni si potrebbero fare ipotesi anche molto differenti: fondate tutte, però, sul fatto che nel racconto omerico il blocco del parto ha una motivazione che è funzionale al meccanismo narrativo, costituendone il fulcro (è grazie a esso che Era può ingannare Zeus), mentre in quelli postomerici la motivazione del blocco è, per così dire, "esterna" (la crudeltà quasi da strega di Era) e il blocco stesso costituisce semplicemente il "danno iniziale", la premessa per lo svolgimento degli avvenimenti successivi.
Rispetto a Pausania, il racconto di Ovidio ("Metamorfosi", 9, 281-323) è più diffuso, e la sua prospettiva narrativa è piuttosto interessante: è infatti proprio Alcmena che, dopo tanti anni, racconta alla giovane nuora Iole, che per l'appunto è incinta, il suo parto travagliato. La dea Lucina, spinta a ciò da Giunone, invece di favorire la partoriente la blocca, intrecciando dei nodi. A questo punto una delle assistenti al parto, di nome Galanthis, vedendo la dea con le dita intrecciate sulle ginocchia, le annuncia che Alcmena ha appena partorito: la sorpresa fa sciogliere le mani a Lucina e la liberazione dei nodi fa sì che anche Alcmena si possa immediatamente liberare e sgravare. Troppo soddisfatta del buon esito del suo stratagemma, Galanthis ride: e la dea, inesorabile, si vendica su di lei, trasformandola in una donnola. Oltre che della metamorfosi, secondo Ovidio la storia dà conto anche di una diffusa e singolare opinione antica circa il modo di partorire delle donnole: "poiché aveva aiutato una partoriente con bocca menzognera, partorisce con la bocca".
In Libanio ("Narrationes", 39, 6-15 Foerster), a parte il fatto che Era vi opera direttamente, senza intermediari e che la ragazza vi è chiamata Akalanthís, troviamo la medesima vicenda: la ragazza si mette a correre simulando gioia per il parto avvenuto, ingannando così la dea che "colta dalla sorpresa, aprì il ventre di Alcmena". Anche in Libanio la ragazza viene punita e trasformata in donnola. La medesima trasformazione ci è narrata da Antonino Liberale, in cui le aiutanti di Era sono le Moire e Ilitia (che se ne stanno sedute, con le mani intrecciate) e la ragazza si chiama Galinthiás: anche qui la ragazza inganna le Moire con il falso annuncio ed è trasformata in donnola, animale dalla "vita sessuale ripugnante. Concepisce infatti dalle orecchie e partorisce il nuovo nato facendolo uscire attraverso la gola" ("Metamorfosi", 29). Estremamente sintetici sono gli altri due racconti, di Eliano e di Istro, in cui l'inganno non c'è più e la liberatrice è direttamente una donnola.
Come si vede, i racconti postomerici sono tutti molto simili. Possono, tuttavia, essere ripartiti in due sottogruppi: quello in cui la liberatrice è una ragazza e quello in cui è invece un animale, la donnola.
Bettini si avvia dunque attraverso un lunghissimo percorso, esaminando prima le varie manifestazioni della figura della "partoriente" (Alcmena), e poi quella della "Nemica" (Era e le sue varie complici); passa quindi a trattare dei "Nodi", della loro "Risoluzione" e, infine, della "Liberatrice". È questa - dedicata alla donnola e alle sue caratteristiche, nella realtà e nella cultura - la parte del libro in cui Bettini allarga ancor più gli spazi della sua analisi, mettendo a frutto tutti i settori della conoscenza - dalla storia naturale alla linguistica, dalla filologia all'antropologia - utili a ricostruire le complesse e ricche valenze simboliche di questo animale nella cultura antica. Un animale che, come sappiamo, occupava un posto in qualche modo paragonabile a quello che nella nostra cultura occupa il gatto: un animale, insieme, domestico ed estraneo, familiare e inquietante. Delle capacità di evocazione e di significazione della donnola nella cultura greco-romana sono prese in esame approfondito e penetrante tutte quelle che, anche solo di striscio, possono riguardare la vicenda del parto di Alcmena e le caratteristiche della sua "Liberatrice": le strane credenze sul suo modo di partorire (e di concepire), la sua straordinaria agilità e sveltezza nell'entrare e uscire dai luoghi più angusti, la sua vicinanza al mondo delle streghe e del maleficio, le sue connotazioni di animale lussurioso e particolarmente astuto.
Negli ultimi capitoli, dopo aver riannodato sapientemente i fili della ricerca, Bettini ci riserva la sorpresa finale: la presenza di racconti molto simili in ambiti del tutto diversi da quello classico. Ciò che lega fortemente tutti questi racconti, oltre alla situazione di partenza del parto bloccato da un maleficio, è naturalmente il modo della "risoluzione", che consiste sempre nell'inganno di far credere all'antagonista che il parto è già avvenuto. Alcuni di questi racconti, inoltre, presentano anche la caratteristica del blocco ottenuto attraverso il "nodo" delle mani intrecciate sulle ginocchia. Sulle ragioni della presenza di questi racconti "simillimi" in tempi e culture lontani e diversi, Bettini propende decisamente per l'ipotesi del "nodo culturale": "Siamo sempre più convinti del fatto che il racconto di Alcmena non è semplicemente quello che ci danno le fonti antiche o ci testimoniano le sue reincarnazioni moderne. È qualcosa di più, è un racconto vissuto, una storia psicologica e sociale oltre che narrativa. In questo sta la ragione della regolarità dei tratti morfologici con cui si presenta, e della sua straordinaria fortuna".

Maurizio Bettini, docente di Filologia classica all'Università di Siena, ha pubblicato i seguenti volumi: "Studi e note su Ennio", Giardini, Pisa 1979; "Antropologia e cultura romana", La Nuova Italia Scientifica, 1986 (cfr. "L'Indice", 1988, n.1; tradotto in inglese da J. Van Sickle, Johns Hopkins University Press, Baltimore 1991); "Verso un'antropologia dell'intreccio", QuattroVenti, 1991; "Il ritratto dell'amante", Einaudi, 1992 (cfr. "L'Indice", 1993, n.7;) tradotto in inglese da L. Gibbs-Wichrowska, University of California Press, Berkeley - Los Angeles, in corso di stampa); "I classici nell'età dell'indiscrezione", Einaudi, 1994. Ha curato la pubblicazione di varie raccolte di saggi ("La maschera, il doppio e il ritratto", Laterza, 1991; "Lo straniero, ovvero l'identità culturale a confronto", Laterza, 1992; "Maschile/femminile. Genere e ruoli nella cultura antica", Laterza, 1993; "I signori della memoria e dell'oblio", La Nuova Italia, Firenze 1996); ha diretto la pubblicazione di una storia della letteratura latina in tre volumi ("Letteratura Latina. Storia letteraria e antropologia romana", La Nuova Italia, 1995). Nel 1998 ha pubblicato un volume di narrativa ("Con i libri", Einaudi, 1998; cfr. "L'Indice", 1998, n. 7).

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Maurizio Bettini

1947, Bressanone

Classicista e scrittore, insegna Filologia classica all'Università di Siena dove ha fondato il Centro Antropologia e Mondo antico. Per Einaudi ha pubblicato i romanzi In fondo al cuore, Eccellenza (2001), Le coccinelle di Redún (2004), Con l'obbligo di Sanremo (2013), oltre a numerosi saggi, tra cui i celebri Il ritratto dell'amante (1992), Voci. Antropologia sonora del mondo antico (2008), Vertere. Un'antropologia della traduzione nella cultura antica (2012), Con l'obbligo di Sanremo (2013), A che servono i Greci e i Romani? (2017) e Il mito di Medea (2017).Nel 2014 pubblica per Il Mulino Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche, cui seguono Il grande racconto dei miti classici (Il Mulino, 2015) e Radici. Tradizioni, identità, memoria...

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