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Il menu - Sergio Sozi - copertina
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Descrizione


2046. L'Italia è una leggenda metropolitana. Viviamo tutti in Buruguay, capitale Washington. Parliamo una neolingua conosciuta come angloitalo. Solo qualche nostalgico - letterato, naturalmente - scrive ancora in italiano, consapevole di non avere più referenti e di non avere più pubblico. New Miami è il nome di ciò che rimane dell'antica Roma: una città ridotta a 5647 abitanti, stando alle statistiche più rassicuranti. Difficile credere che in passato la pizza fosse una specialità italiana, tutti sanno che è il piatto per eccellenza dei newyorchesi e che nello Stivale è proibita per legge. Difficile credere che in passato esistessero giornali: oggi come oggi, abbiamo solo tre testate, di quattro pagine l'una. Romantico pensare che un tempo i cittadini parlassero al telefono, guardassero la televisione, guidassero addirittura automobili. Tutte cose sinceramente poco credibili. Eppure tutto questo si legge nel diario di un vecchio poeta, Cesare Menicucci. Il diario è stato composto nel 2003, proprio l'anno in cui l'ultima biblioteca italiana, malinconicamente, dovette chiudere i battenti. A romanzare questa storia un letterato nato a Roma, oggi italiano all'estero: Slovenia. Curioso.
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Dettagli

2009
8 luglio 2009
105 p., Brossura
9788876153303

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Renzo Montagnoli
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Sergio Sozi, che ha innati il senso e il sentimento dell’italianità, non poteva rimanere indifferente alla situazione di un’Italia i cui abitanti hanno abiurato inconsciamente le loro origini, gettandosi, nel servilismo più totale e masochista, fra le braccia di altre civiltà, in primis quella americana. Ha così ideato e scritto un romanzo fantastico, in una versione distopica, immaginando il nostro paese nel non così lontano futuro 2050. La visione catastrofica, di una nazione che non è più nazione, viene abilmente stemperata da un atteggiamento satirico, che muove anche al riso per le nostre disgrazie, e proprio per questo resta l’amaro in bocca. La scoperta di un diario del vecchio poeta Cesare Menicucci, ormai scomparso, offre all’io narrante, tale Lukin Philipucci, i resti archeologici di quella che fu una grande civiltà, estintasi nel 2003 quando venne chiusa l’ultima biblioteca italiana. Dopo quella data si entra in una nebbia letteraria, in cui predominano strani linguaggi, tutto fuorché l’italiano, e cessa la memoria, non tramandata alle nuove generazioni, con una perdita così dell’identità nazionale, ma anche della personalità individuale. E’ forse superfluo che dica che la visione dell’Italia, effettuata a ritroso, sulla scorta di questo diario, in cui i versi di Menicucci scandiscono gli eventi, come fossero le portate di un vero e proprio menu, è quella, pari pari, che abbiamo sotto i nostri occhi, con una popolazione avulsa dalla realtà e che vive di apparenza, in cui ritmi e comportamenti sono scanditi da mode sì imposte, ma a cui ben volentieri ci si adegua, insomma una società di quasi decerebrati. Ma come è potuto accadere uno scempio del genere? Leggete questo “divertente” romanzo e lo saprete, con un’avvertenza, però: è vero che si tratta di fantasia, ma è purtroppo ben ancorata alla realtà. Ah, un’ultima annotazione: state attenti alla lingua in uso nel 2050, perché è una vera chicca.

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