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La scienza negata. Il caso italiano
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La scienza negata. Il caso italiano - Enrico Bellone - copertina
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scienza negata. Il caso italiano

Descrizione


La negazione della scienza come rifiuto dell'inedito, come paura del sovvertimento di un ordine, come crisi di valori: un pregiudizio che viene da lontano e che si è radicato in maniera più o meno forte in diverse epoche e in diverse società. L'Italia più di altri paesi continua su questa strada di "rivolta della ragione", di strenua e ottusa resistenza. Con "La scienza negata" lo storico della scienza Enrico Bellone riprende il racconto di questo rifiuto scavando nelle sue cause e nelle sue conseguenze, analizzando il ruolo non secondario che schiere di intellettuali, moralisti, religiosi e politici hanno avuto nel presentare un quadro della conoscenza deformato e pericoloso.
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Dettagli

2005
3 maggio 2005
IX-124 p., Brossura
9788875780234

Valutazioni e recensioni

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Marc78
Recensioni: 3/5

Da tempo voci autorevoli come quelle dello storico della scienza(prematuramente scomparso) Enrico Bellone o di Piero Angela, esortano a riflettere sul ruolo che scienza e tecnologia rivestono nelle nostre società in termini di qualità della vita, ricchezza e possibilità di sviluppo. Queste problematiche sono sovente affrontate in termini quantitativi, citando percentuali del PIL destinate alla ricerca, numero di ricercatori ogni mille abitanti, ecc., con il fine di dimostrare l'inadeguatezza di questi parametri nel nostro Paese, rispetto agli altri Paesi industrializzati o emergenti. Bellone in questo libro cerca di andare oltre tale impostazione, risalendo alle motivazioni profonde di queste problematiche. Motivazioni che vanno ricercate nella filosofia, tanto in quella del passato (i filosofi del '500 che tanto infastidivano Galileo con la loro ricerca della verità nei testi degli antichi a discapito dell'osservazione del reale) quanto nel dibattito accademico più recente che ha visto svilupparsi correnti di pensiero fortemente prevenute nei confronti della scienza e della tecnologia, spesso disprezzate a prescindere senza però una reale comprensione dei contenuti essenziali oggetto di critica da parte di pensatori indotti a ricercare nelle teorie scientifiche (soprattutto quelle più rivoluzionarie di Einstein o Newton) significati "profondi" del tutto fuori luogo. Fino a che punto un dibattito accademico possa, tuttavia, influenzare le scelte di politici ed imprenditori è un quesito che non trova risposta ma certo è che tali impostazioni della "cultura alta" hanno contribuito al proliferare di immagini negative della scienza e della razionalità, così generando timori infondati riguardanti i supposti pericoli derivanti dalla natura stessa della conoscenza scientifica e sovente trovando riscontro nelle simpatie popolari, complici uno scarso livello educativo nelle scuole e, per lungo tempo, una carente propensione alla divulgalzione da parte degli scienziati.

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vitaliano bacchi
Recensioni: 3/5

Lo scienziato di professione non ha una idea chiara della "Ragione" concetto filosofico che Parrini nei suoi scritti identifica (e chi se non Lui?) con un ideale regolativo utile allo scrimine fra il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato. Più prosaico nel suo commento su L'Indice il prof. Boniolo che, pur estraneo al lessico filosofico puro di Parrini, assiomatizza la Ragione come idea che distingue le "monate" dalle verità. Le "monate" sono le fesserie che, puntualmente il volume di Bellone esamina e liquida come prove infami di una cultura fatalmente deviata dal carattere mistico religioso del fondo antropologico di una civiltà mediterranea in ritardo scientifico causa la sua vocazione letteraria. Manca al curriculum di Bellone una sufficiente cultura giuridica per aver nozione che la causa specifica del ritardo intellettuale italiano si iscrive nella radice archetipica della sua cultura giuridica. La "sua" cultura, perchè il mediterraneo archetipo culturale italiano è romano e quindi nel mito di Roma e nella sua cultura che fu solo giuridica (un popolo che contava con le aste e privo di algebra)ha declinato coi suoi autori più importanti il verso di una ideologia che dovette ricorrere alla kultur sia per la formazione di categorie giuridiche astratte incognite alla romanità, sia e a fortiori per farsi una idea non rurale della astrazione della Ragione, patrimonio della metafisica tedesca. Liquidare Marcuse come dicitore di "monate" è facile per Bellone; meno facile è capire quale sia la "ratio" del suo "re nudo" e cioè della regula rationis con la quale ride di certe teorie. Il mestiere di censore del mito e di teorico della ragione è mestiere da filosofi, non da scienziati: Bellone quindi potrebbe essere censurato in funzione della stessa "idea regolativa" con la quale censura le sue vittime senza aver nozione della origine e del significato della regula censoria impiegata nella scepsi dei teorici del mito che deride senza averne reale nozione epistemica.

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ldfwiki
Recensioni: 5/5

Da noi si definisce imprenditoria il trasformare osterie in ristorantini alla moda, si considera normale sprecare miliardi di ore l'anno su ferrovie ed autostrade inefficienti, si ritiene sicuro comprare energia elettronucleare a soli 150 km oltre il confine, eccetera. E’ la “modernizzazione senza innovazione”, di un popolo che vuole il benessere e un welfare generoso, che vuole aumentare la sua mobilità sul territorio, i suoi consumi di energia, eccetera. Ma non vuole cambiare il suo sapere, i suoi sistemi tecnologici, le sue tradizioni produttive, perché non comprende o disprezza o teme la scienza e la tecnica. E così facendo si scava da la fossa da solo. Chi vuole capire alcune cause fondamentali di questa bizzarria nostrana troverà un valido aiuto in questo volumetto del professor Bellone, fisico di formazione e storico della scienza di professione (Wikipedia, libro). E' scritto in un linguaggio comprensibile, per quanto lo consentano gli argomenti, e senza eccessi critici, e con una padronanza del pensiero filosofico che fa ricordare l'osservazione di Charles Percy Snow sul maggior numero degli scienziati interessati alla filosofia rispetto ai filosofi interessati alla scienza. Alla fine il libro può stimolare nel lettore una domanda: chi non è scienziato, ma condivide il punto di vista che la scienza sia amica dell’umanità, cosa può fare nel suo piccolo per contribuire a sostenerlo ogni giorno nel Paese? Grazie Prof. Bellone.

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Voce della critica

Com'è ormai usuale, Enrico Bellone, direttore della rivista di divulgazione "Le Scienze", anche in questo suo ultimo lavoro ci offre due libri in uno. Il primo riguarda fatti , ora divulgati ora inseriti in un quadro storico. Il secondo concerne aggettivi e avverbi che hanno per oggetto i fatti del primo. Come sempre il primo libro è corretto e amabile da leggersi: Bellone sa scrivere, aspetto non trascurabile in questi tempi. Il secondo, invece, come sempre urta per le prese di posizione e per le non del tutto non volute forzature, che sebbene - sarebbe ingiusto negarlo - svelino verità, non vengono certo scritte con l'innocenza del donchisciotte, ma con la parzialità di un Catone che sa come va il mondo: chi sono i buoni e chi sono i cattivi, chi sono color che possono e chi sono color che non possono.
Entriamo ora nel pamphlet che, urge dirlo, dovrebbe essere letto per la piacevolezza dello stile e per la posizione che difende: la validità della ricerca scientifica contro i suoi nemici italici. Però dovrebbe essere letto, specie la seconda parte, avendo cura di avere a disposizione un leggero antidoto, altrimenti si potrebbe incorrere in qualche controindicazione.
Il libello apre con una prima parte in cui l'autore, traendo spunto da dati statistici e da alcuni momenti della politica culturale del dopoguerra, abilmente traccia l'amaro e apparentemente inarrestabile declino della ricerca scientifica in Italia. Si potrebbe accusarlo di disfattismo, soprattutto ora che una parte politica vorrebbe far finta che in Italia tutto va bene. In realtà basterebbe avere un po' di occhi aperti per rendersi conto che l'ottimismo è solo un modo demagogico per nascondere il baratro in cui stiamo precipitando.
Bellone è come un picador nell'arena e infigge con grande precisione le sue picche: da un lato fatti e dall'altro aggettivi e avverbi che aiutano a leggere i fatti e a rendere piacevole, anche se rattristante, la loro comprensione. Si conosce così come destra e sinistra sembrano essere state, ma sembrano tuttora, accomunate dal desiderio insano di pensare che se di scienza si deve parlare, lo si debba fare solo in subordine alle proprie esigenze di convenienza politica.
Amaldi, Ippolito, Mattei, Buzzati-Traverso, Marotta: nomi che diranno poco al diciottenne italiano, più uso a conoscere le fidanzate dei calciatori che non la sua storia recente; ma nomi che hanno tentato di togliere l'Italia del dopoguerra dal pantano e di farla diventare un paese di punta nel campo della ricerca scientifica. Eppure, e Bellone lo ricorda con giusta stizza, il loro tentativo è stato affossato: non era gradito al potere politico dell'epoca (ma non lo sarebbe neppure a quello attuale). Meglio la parrocchia autocelebrativa di qualche accademia italiana in cui qualcuno racconta qualcosa di piacevole al politico di turno che una seria, e quindi come tale non politicamente controllabile, ricerca scientifica.
Sia i fatti raccontati, sia gli strali aggettivali e avverbiali di questa prima parte non possono non suscitare, in una persona moralmente sana, che risentimento verso una classe politica incapace di portare il nostro paese su lidi non da terzo mondo, sui quali ora - è inutile negarlo - siamo approdati, anche se qui e lì si fa della buona ricerca scientifica e qui e lì ci sono degli istituti di livello internazionale, come la Sissa di Trieste per la fisica-matematica e l'Ifom di Milano per la medicina molecolare.
Veniamo alla seconda parte, quella che dovrebbe essere letta con qualche avvertenza. Parla delle ora aberranti, ora ridicole, ora patetiche, ora pazzesche interpretazioni della scienza che alcuni filosofi (veri o falsi) e intellettuali (veri o falsi) hanno offerto. Qui Husserl, Rifkin, Morin, Bloor, Tilgher, Croce, Caramella, Gargani, Galimberti, Severino, Deleuze, Feuer, Di Trocchio ecc. sono presi nei loro momenti di maggior ebbrezza (alcolica?), in quelli in cui hanno sentito la necessità di scrivere, come si dice in Veneto, "monade".
Certo le hanno scritte e devono essere giustamente stigmatizzati e messi alla berlina, eppure forse qualche distinguo avrebbe dovuto essere fatto, anche per rendere un doveroso servizio al lettore. Per dirne una, un Husserl è ben diverso da un vuoto Morin e da un culturalmente dannoso e autoreferenziale Severino. Basti pensare che il grande matematico italiano Gian Carlo Rota riteneva che proprio Husserl fosse un filosofo da cui trarre ispirazione. E sempre su Husserl logici di grande spessore, sia italiani che stranieri, continuano a lavorare. Ma la belloniana furia polemica non fa prigionieri, né distingue gli alleati ( collateral damages ?).
Bellone offre delle gustosissime "perle della saggezza" di certa filosofia o pseudo-filosofia; tuttavia, forse, non bisognerebbe generalizzare, né usare troppo frettolosamente i termini "filosofia" e "filosofi". Non tutti coloro che considera filosofi lo sono. Molti di quelli che sono oggetto della sua filippica sono "filosofi" solo per autodefinizione, o perché il popolo italico ha deciso così (ma si sa che l' argumentum ad populum è fallace).
Certo l'insipienza scientifica di molti "filosofi" è ben nota. Chi non ricorda, per rimanere nei nostri pomposi lidi, di colui che parlando di catastrofi sdottrineggiava intorno al fatto che esistono funzioni continue (e qui mostra il grafico di una funzione monotona crescente) e funzioni discontinue (e qui - ahimé e ahinoi - mostra il grafico di una funzione con massimi e minimi!), oppure di colui che, come segno della crisi dei fondamenti della matematica fra Ottocento e Novecento, porta a testimonianza la funzione a gradino, sostenendo che la sua costruzione è il segno della crisi della continuità! Certo ci sono persone così; e sono in cattedra. Chi li ha messi lì? Per alcuni si è adoperato il Partito, per altri il Padrino, per altri la Follia Concorsuale Italica che fa diventare scientificamente ottimi i propri passacarte e pessimi coloro che amano essere spiriti liberi: chi è senza peccato scagli la prima pietra! Tuttavia, perché non ricordare che vi sono filosofi del passato che hanno avuto grande competenza scientifica (Leibniz, Kant, il su citato Husserl ecc.) e che vi sono filosofi contemporanei, anche italiani, che hanno grande competenza scientifica? Svelare le imposture significa anche ricordare questa faccia della medaglia, altrimenti si corre il rischio di creare una contro-impostura.
Un'ultima osservazione. Nella prima parte del suo scritto polemico, Bellone ravvisa giustamente che una delle cause della disastrosa situazione scientifica italiana è da rintracciarsi in una vergognosa politica culturale. Nella seconda parte, sempre giustamente ma un po' troppo generalizzando, rintraccia un'altra causa nell'antiscientifica e automutilante cultura filosofica italiana. Ma c'è un fatto : non c'è più una vera cultura filosofica italiana! A testimonianza ne sia che mentre esistono istituti scientifici italiani, come quelli ricordati, che hanno una reale presenza internazionale, non esistono istituti filosofici di pari livello. Mi riferisco non alla storia della filosofia, ma alla filosofia come produzione di pensiero innovativo, che praticamente in Italia non c'è. Per rendersene conto è sufficiente accendere un computer e andare in rete a vedere chi ha pubblicato su riviste filosofiche di alto prestigio internazionale con arbitraggio. Ci troviamo filosofi morali? Non penso più di uno. Filosofi della storia? Non penso più di uno. Filosofi politici? Non penso più di uno. Filosofi della religione? Non penso più di uno. Filosofi dell'arte? Non penso più di uno. C'è qualche filosofo del linguaggio e soprattutto filosofi della scienza. Altrimenti il panorama è disastroso. Certo i filosofi stranieri vengono volentieri in Italia: buon cibo, bel sole, belle donne, bei monumenti; ma non certo per la buona filosofia. Eppure sembra che in Italia la filosofia imperversi. Ci sono festival "filosofici" affollatissimi, articoli "filosofici" su tutti i giornali e riviste. La verità è che il re è nudo. Come se non bastasse, la mancanza di una massa critica di filosofi di statura internazionale è accompagnata dall'appestamento di ex scienziati che, al meglio forti di essere stati nel loro lontano passato abili a fare qualche buona ricerca sui geni dei ricci giapponesi o sulla superfluidità, si arrogano il diritto di proferire "monade" (sempre per ricorrere al dialetto veneto) filosofiche colossali. Anche questi sono un danno.
Per avere una buona ricezione della scienza si deve certamente avere una buona politica culturale, ma anche una buona cultura umanistico-filosofica. E in Italia mancano entrambe.
Assieme alla "scienza negata" di cui ci parla Bellone, c'è anche una "filosofia vilipesa e gonfiata". Questo, può ribattere Bellone, è affare dei filosofi. E ha ragione. Adesso abbiamo avuto il suo provocatorio libello in cui vengono fatte le pulci a "filosofi" che emettono fonemi scientificamente vaganti, però aspettiamo con trepidazione un libello in cui qualcuno faccia le pulci ai fonemi filosoficamente vaganti di molti italici ex scienziati o para-filosofi, e magari lo faccia senza cadere nella fallacia della generalizzazione indebita.
Giovanni Boniolo

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