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Descrizione


In una stazione climatica, un incantevole resort lungo le Sponde del fiume Nila, l'anziano e famoso danzatore Koman racconta a Christopher Stewart, che sta scrivendo un saggio su lui, la sua storia, come abbia dedicato l'intera vita alla danza, sua vera signora e padrona. In quella atmosfera incantata il destino ha però approntato un evento imprevisto e tra Chris e Radha, la giovane nipote di Koman, nasce improvvisa e inesorabile la passione.
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Dettagli

2006
26 gennaio 2006
336 p.
9788854500501
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Indice


Le prime frasi del romanzo:

Prologo

DUNQUE, DA DOVE DEVO INIZIARE?
Dal volto. Sì, iniziarne dal volto, che indica il mutare del cuore. È grazie al volto che decodifichiamo i pensieri, traducendoli in una lingua priva di suoni. Sei perplesso? Ti chiederai come possa esistere una lingua priva di suoni. Non negare. Te la leggo negli occhi questa domanda.
Mi rendo certo conto che conosci molto poco del mondo in cui sto per condurti. Capisco che tu sia preoccupato che tutto questo possa andare oltre la tua comprensione. Ma voglio che tu sappia che fallirei nel mio scopo se non ti trasmettessi almeno una stilla dell'amore che nutro per la mia arte. Quando avrò finito, sono convinto che proverai i miei stessi sentimenti. O almeno, quasi.
Fidati di me. È tutto quello che ti chiedo. Fidati e ascolta. E fidati della tua intelligenza. Non lasciare che siano altri a decidere per te quello che è o non è alla portata della tua comprensione. Sei in grado di assimilare questo e molto di più. Te lo assicuro.
Guardami. Guarda la mia faccia. La faccia nuda, quando è priva di colori e trucco, di lustrini e ornamenti. Che cos'abbiamo qui? La fronte, le sopracciglia, le narici, la bocca, il mento e trentadue muscoli facciali. Sono questi i nostri strumenti ed è con questi che creeremo quella lingua senza parole. I navarasa: amore, scherno, dolore, ira, coraggio, paura, disgusto, meraviglia, pace.
Nella danza, come nella vita, non ci servono più di nove modi di esprimerci. Li puoi definire i nove volti del cuore.
Col tempo, ciascuno l'avrebbe ricordato in modo differente. Ma, per il resto della loro vita, mai sarebbe svanito; il ricordo di quell'istante di grazia. Di luce che scivolava lungo la scala di alluminio, proiettando come ombra un alone bianco; di una brezza che s'era rinfrescata sopra le pozze d'acqua disseminate lungo il letto del fiume. Di Chris in attesa, un'isola di immobilità su quel binario così affollato.
Stava immobile, incurante degli sguardi curiosi dei ragazzini che gli si erano fatti intorno con gli occhi famelici e le mani tese, dei venditori che lo incitavano a comprare la loro mercé. Ignaro del fatto che il suo bagaglio stesse bloccando l'accesso alle scale, strappando mormoni e borbottii alla gente che inciampava nelle sue valigie.
Chris si guardò intorno, mentre spirali di luce rimanevano impigliate nei suoi capelli; il peso di quella che pareva una gigantesca custodia di violino gli piegava il corpo da una parte. Quasi a compensazione, la bocca era tirata a formare una linea storta, dubbiosa.
Rimasero lì per un istante, a osservarlo. Poi lui alzò lo sguardo e li vide fermi in cima alle scale. Un vecchio, una giovane donna e un uomo non giovanissimo. Esitanti, incerti, eclissavano il fascio di luce e rallentavano la fiumana dei passi.
La linea della bocca si addolcì in una curva, un gesto in cui la contentezza era così trasparente e così scevra della consapevolezza di quanto sarebbe accaduto in seguito, che ciascuno ebbe la sensazione che un'ala di farfalla, vellutata ed eterea, avesse sfiorato loro l'anima. Una carezza breve e incantatrice: subito, come fu svanita, ne sentirono la nostalgia. Tale fu la grazia di quell'istante.
Poi, come volesse accampare un primo diritto, la giovane donna si fece avanti. «Salve, lei deve essere Christopher Stewart», disse. «Io sono Radha. Benvenuto».
Aveva teso la mano verso di lui proprio mentre Chris univa le sue nel riamaste, come la sua guida suggeriva di fare quando si saluta una donna in India.
Radha lasciò cadere la mano, come le fosse stato mosso un rimprovero. Lui le tese la sua, come a chiedere scusa. Con quell'annaspare di gesti, modi e tentativi maldestri, Chris si installò in una nuova terra.
«Salve, io sono Chris. Piacere di conoscerla, Radha». Pronunciò il suo nome attardandosi sulle sillabe, affidandole alla memoria, assaporando ogni gruppo di suoni.
Radha rabbrividì. Radha era un soffio lieve alla base della spina dorsale. Per rompere l'incantesimo, si volse verso l'uomo non giovanissimo. «Questo è Shyam», disse.
Lui sorrise e gli tese la mano.
«Scem», quasi guai Chris, con la sensazione di aver infilato le dita in un mangano. Ma che razza di nome era quello? O, per meglio dire, che tipo di animale era quello? si chiese districando le dita dalla stretta. Nascose le mani dietro la schiena e prese ad aprire e chiudere lentamente le dita intorpidite.
Ignorando il disagio di Chris, l'uomo protestò: «Scemo, non sono uno scemo. E S-h-y-a-m».
Ma Chris si era già diretto verso il vecchio. «E lei, signore», disse lentamente. Gli era stato detto che l'anziano parlava un po' d'inglese. «Lei deve essere Mr. Koman».
L'anziano fece un cenno con la testa. Chris sorrise, incerto. Nei pochi giorni che era stato in India, aveva già avuto a che fare con quel modo di annuire e non riusciva ancora a decifrare se significasse un sì o un no.
Radha si avvicinò al vecchio. «Zio», disse, «questo è Christopher Stewart».
Chris disse lentamente, non del tutto certo di quanto l'uomo lo comprendesse: «II suo amico, Philip Read, mi ha parlato molto di lei. Sono onorato che abbia accettato di incontrarmi».
Il vecchio gli prese le mani tra le sue e sorrise. Il calore del suo sguardo intenso gli si insinuò dentro. Chris esaminò furtivamente il volto del vecchio, alla ricerca di qualche tratto o curva familiare. Vide delle zampe di gallina che increspavano gli occhi sotto le sopracciglia cespugliose. Osservò che gli zigomi alti distendevano la pelle dell'anziano, conferendogli un aspetto quasi giovanile e poi vide la fossetta sul mento e sentì una vampa di luce. Fissò intento le loro mani intrecciate.
Ciao, disse fra sé. Ciao, vecchio al di là del mare. Ciao, padre... forse. Ciao, ciao, ciao...

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Francesca
Recensioni: 4/5

Lettura scorrevole che ti porta nell'atmosfera di un paese affascinante quale l'India rappresenta. Semplicemente bello.

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Vincenzo
Recensioni: 3/5

Classico triangolo: marito possessivo (Shyam), moglie assetata d’indipendenza (Radha) e straniero fascinoso (Chris); questa è, tutto sommato, l’ossatura del romanzo. Il terzo incomodo giunge in India allo scopo di intervistare un anziano danzatore di Kathakali (Arte che è insieme: teatro, danza, cultura, religione e scelta di vita), ma con la reale intenzione di sapere se questi, vecchio amante di sua madre, è suo padre. Questa impostazione da modo alla Nair, narratrice impareggiabile, di tessere un incantevole ordito che, partendo dalla giovinezza dei genitori di Koman, il danzatore, giunge fino all’incontro col giovane Chris L’autrice utilizza, come già in altre opere, la narrazione ciclica per punti di vista dei diversi personaggi, alternandoli alla storia di Koman. Il metodo, stavolta, ha il suo punto debole nel divario temporale tra le vicende, cosa che allenta l’attenzione. I cicli vengono poi classificati ed esposti secondo le diverse fasi del Kathakali, la cui anima, o anche il senso, per quanti sforzi compia la Nair, risulta troppo difficile da penetrare. In sostanza il romanzo, pur di grande fascino, somiglia quelle canzoni la cui linea melodica, semplice ed essenziale, viene sovrastata da un arrangiamento esuberante che finisce col relegare sullo sfondo il filo conduttore. L’archittetura narrativa è, infatti, talmente complessa da risultare, a tratti, forzata e nuoce all’economia della narrazione. Uno tra gli effetti più evidenti di tale ridondanza della cornice, appare nel tratteggio psicologico dei personaggi, non all’altezza delle capacità dell’autrice; nessuno di essi, tranne forse Shyam, acquista reale consistenza e risultano innaturalmente preponderanti i caratteri negativi. I personaggi esterni (Chris e l’amante di Koman, Angela), poi, risultano del tutto privi di spessore. Chiuso il romanzo ci si accorge di avere, in realtà, letto due storie diverse non bene intrecciate, il cui fascino potenziale è decisamente superiore al risultato. Romanzo comunque godibile.

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giovanni
Recensioni: 4/5

Bello. Non è facile dare un giudizio a questo libro, ti immerge in una realtà distante anni luce dalla nostra ma ti ci mantiene in costante contatto, grazie ad una narrazione accattivante.

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Recensioni

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Voce della critica

Padrona e amante è un romanzo ambizioso e monumentale che fa sfoggio di un'audace tecnica narrativa nell'intrecciare tematiche multiple e complesse: si spazia dalla solitudine dell'artista al rapporto uomo-donna nella società indiana fino allo scontro culturale tra Oriente e Occidente. L'arte della danza Kathakali funge da collante metaforico nonché strutturale del libro suddiviso in nove capitoli corrispondenti alle nove navarasa le espressioni facciali che il danzatore assume per esprimere “i nove volti del cuore”. Episodi del Mahabharata e del Ramayana chiosano la narrazione divenendo pietre di paragone delle vicende dei protagonisti. Ambientato in un tourist resort nel Kerala il romanzo si avvia con l'arrivo a Shoranur di Chris Stewart un giovane americano apparentemente alla ricerca di fonti d'ispirazione per un libro di viaggi ma che in realtà è sulle tracce del suo presunto padre indiano. Ad accoglierlo alla stazione ci sono Komar un vecchio maestro danzatore Kathakali sua nipote Radha e il marito Shyam. Come nel mito Chris metonimia di Krishna diviene ben presto l'amante di Radha gettando nella desolazione il marito tradito. Intanto Komar spiega la sua arte raccontando se stesso attraverso la storia della sua famiglia. La voce narrante del danzatore si alterna a quella di Radha e di Shyam che a turno danno libero sfogo a pensieri e sensazioni in stralci di racconto in forma di monologo drammatico. Il punto di vista multiplo e l'estensione temporale del racconto frammentano la realtà in tanti tasselli offrendone una visione variegata ma poco profonda. La psicologia dei personaggi risulta a tratti sin troppo semplificata e i rimandi al passato più che far luce sulla problematicità del reale evidenziano la fatalità del ripetersi di colpe dei padri che ricadono sui figli. Il metodo mitopoietico risulta alquanto inefficace e artificioso tanto che alla fine di oltre cinquecento pagine di prosa lenta viene da chiedersi perché Nair abbia scomodato il dio Krishna per raccontare un banale ménage à trois.


Susanna Battisti

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La recensione di IBS


“Koman andò in camera sua. Le mani gli tremavano per l’eccitazione e il nervosismo.
Avrebbe recitato per la prima volta un katthi vesham. Sarebbe stato un uomo arrogante e malvagio, riscattato solo dal sangue nobile che gli scorreva nelle vene. Con i segni rossi e bianchi sul viso, avrebbe rappresentato tutti quelli che disdegnano la raffinatezza e l’eroismo.”


“Nell’arte, vedi, l’individuo non esiste”, recita l’epigrafe di Oscar Wilde in apertura del romanzo Padrona e amante della scrittrice indiana Anita Nair. E “l’arte è un’amante gelosa” è la citazione da Waldo Emerson da cui deriva il titolo originale del libro, Mistress. Perché “Padrona e amante” è una storia d’amore per l’arte- amore assoluto e totale che richiede impegno e dedizione e annullamento di sé, che non lascia spazio ad altre forme d’amore, che modella il suo adepto secondo le sue necessità.

La trama è semplice: Chris Stewart, scrittore di libri di viaggio, arriva in un villaggio turistico del Kerala, in India, per intervistare un famoso interprete della danza kathakali. Mentre l’anziano Koman racconta la storia della sua vita interamente dedicata all’arte, Chris vive una breve e intensa relazione amorosa con la bella Radha, nipote di Koman e moglie insoddisfatta di Shyam. Si intrecciano così la finzione nella vita reale con la finzione sul palcoscenico, la passione sessuale e quella per l’arte, in una reinterpretazione dei miti indiani.

Il kathakali di cui si parla nel libro della Nair è uno stile di danza tipico dell’India del Sud in cui vengono rappresentate gesta di dei e di eroi, leggende e miti narrati nei maggiori poemi epici indiani, il Ramayana e il Mahabharata, che offrono (come i poemi epici del mondo occidentale) gli archetipi di tutti i comportamenti umani. Il fascino del romanzo di Anita Nair è in parte dovuto all’esotismo dell’ambientazione e alla novità di una forma d’arte di cui non sapevamo nulla, ma soprattutto all’architettura del romanzo stesso, racchiuso in una doppia cornice che delimita ed esalta le storie raccontate.

Seguendo lo schema di un dramma, un prologo introduce i quattro personaggi principali, Chris e Koman, Radha e il marito Shyam, seguono tre libri, come fossero tre atti, chiusi da un epilogo che tuttavia non è una conclusione, con Rhada che, seduta su una sedia a dondolo, riflette che ha abbastanza tempo per pensare a quello che vuole fare della sua vita. Dentro questa prima cornice se ne apre una seconda: ognuno dei tre libri contiene tre capitoli dedicati alle nove navarasa, le nove emozioni che il volto deve esprimere nella danza, “i nove volti del cuore”, l’intera gamma dei sentimenti umani- amore, disprezzo, dolore, ira, coraggio, paura, disgusto, meraviglia e infine la pace che porta alla serenità e al distacco dalle cure materiali, quella che Rhada prova alla fine.

Di tutte le storie raccontate che seguono la falsariga delle navarasa, la più banale è quella del triangolo amoroso- lo straniero che si innamora dell’indiana insoddisfatta suscitando la gelosia del marito-, la più complessa e ricca di suggestioni è quella della famiglia di Koman e di Koman stesso che ci introduce al kathakali, la danza in cui il veshakaaran non è un semplice attore che ricopre un ruolo ma è il dio o l’eroe di cui simula le sembianze, la più colorata e fantastica, cangiante e multiforme, è data dall’insieme delle leggende e dei miti che rivivono sul palcoscenico. E, tra i personaggi, quello per cui finiamo per provare più simpatia è proprio Shyam, il marito cornuto che ha sempre sofferto di un complesso di inferiorità, che, con il suo senso pratico e l’occhio attento ai desideri dei turisti, si sente rozzo e inadeguato di fronte alla moglie e allo zio danzatore, frustrato nella consapevolezza della sua sterilità. E tuttavia così umano e generoso e “amante” nella sua fallibilità. Al paragone appare scialbo lo straniero Chris che aveva anche un altro motivo per venire a conoscere Koman, e leggermente irritante l’irrequieta Radha che ha qualcosa di Emma Bovary e qualcosa di Candida e qualcosa della Nora di Ibsen.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Anita Nair

1966, Shornur (Kerala - India)

Anita Nair vive a Bangalore, in India. Il satiro della sotterranea. Racconti urbani e gotici è il suo primo libro. Nel 2001, ha pubblicato il suo primo romanzo, Un uomo migliore, che ha ottenuto un notevole successo di critica e di pubblico. Nel 2002, Cuccette per signora, il suo secondo romanzo, si è imposto come uno dei maggiori bestseller internazionali. Tra gli altri suoi libri ricordiamo: L'arte di dimenticare, La ferocia del cuore, Padrona e amante, Il custode della luce, L'ira degli innocenti.Neri Pozza e Guanda pubblicano i suoi libri in Italia.

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