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Anno edizione: 2010
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Non conoscevo l'autrice prima, grave peccato, questo libro si lascia leggere in un batter d'occhio ed è uno splendido racconto basato su testimonianze reali, lo consiglio
Niente di che come libro. Ho letto le 13 rose di Fonseca, Il Quaderno di Madrid di Domenico Del Coco e sicuramente superano le aspettative. Un libro banale sulla guerra civile spagnola quasi inutile.
I fatti storici prettamente inerenti la guerra civile spagnola sono visti solo in maniera estremamente marginale. Viene romanzata molto la parte emotiva, emozionale e la sofferenza della vita di carcerate, in modo se vogliamo anche romantico, cosa che rende più intensa la lettura. Le vere atrocità avvenute in quel periodo rimangono tuttavia non presentate, non dando di conseguenza un'idea precisa di ciò che è successi. Libro piacevole e in parte informativo, rimane da precisare che per una conoscenza di uno degli avvenimenti più cruenti e spietati della storia del novecento, bisogna orientarsi su testi di profilo storico.
Recensioni
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Testimonianza di un periodo complesso e in parte oscuro (gli anni dopo la guerra civile, quando l'Europa era prima sconvolta dal conflitto mondiale e poi bloccata dalla guerra fredda, e poco o nulla si indagava sulla Spagna, lasciata all'arbitrio dei vincitori e della loro vendetta, con gli ultimi fuochi di guerriglia antifranchista e l'istaurarsi di un regime sordido e oppressivo), Le ragazze di Ventas si nutre di relazioni orali o scritte di eventi reali, chiacchierate con sopravvissuti, letture di saggi e ricerche d'archivio (il tutto ricordato in appendice). Ma non si nota. O meglio: si nota soltanto nella precisione e nel rispetto dovuto a un racconto terribile come questo, però non si nota nel racconto in sé, che scorre vivido e spontaneo, serenamente umano o visceralmente angoscioso, in un intrecciarsi coinvolgente di destini e ribellioni. Il ritmo affannoso di chi s'inoltra il tanto dolore e in tanto amore e in tanto coraggio è reso alla perfezione in capitoli brevi, a volte brevissimi, come per riprendere spesso fiato.
Hortensia, miliziana comunista prigioniera con altre compagne nel carcere femminile di Ventas, a Madrid, è incinta. Prima di fucilarla gli aguzzini aspettano che dia alla luce la figlia. L'adotterà la sorella Pepita, che partecipa senza entusiasmo alla lotta clandestina, fin quando vi conosce il suo grande amore, Paulino, poi costretto a rifugiarsi in Francia, da dove le scrive per anni. Una di queste lettere porta Pepita in prigione. La fa uscire un ex dottore che l'ha assunta come domestica, don Fernando. Personaggio contraddittorio, costui ha rinunciato alla professione per orrore della guerra, ma è stato salvato dai repubblicani in un massacro e perciò cura di nascosto un capo guerrigliero. Per salvare Pepita si affida al padre, influente uomo di regime, che crede si tratti di un'amante e acconsente, purché il figlio allontani la giovane e riprenda a fare il medico. Don Fernando finisce così nel carcere di Ventas, contribuendo a migliorarne un poco le orribili condizioni sanitarie. Paulino, arrestato mentre tenta di tornare in patria, è mandato in gattabuia a Burgos. Lui e Pepita riescono a sposarsi anni dopo, durante il trasferimento in Andalusia in libertà condizionata. Pepita è ormai quarantenne, ha vissuto una vita come parcheggiata, ma anche incapace di rassegnazione. Questa linea portante si dirama in tante vicende secondarie, episodi di solidarietà, di resistenza, di paura, di dignità, ma anche gesta romanzesche, come quando si progetta una fuga e due comunisti si presentano in carcere con uniformi falangiste cucite dalle stesse detenute e un falso ordine per portarsi via (come avveniva spesso a scopo di sevizie) due delle recluse.
La narrazione è intrisa di approcci femminili, attenti al corpo, al quotidiano, al profondo e durevole, alla cura materiale e spirituale degli esseri che devono tirare avanti nonostante tutto, compresi i nemici brutali e gli ideali impossibili. Basti come esempio il gesto di Celia, che ogni giorno va al cimitero a corrompere il becchino per poter lavare il volto dei fucilati e tagliar via, di nascosto, pezzetti di abiti da portare ai famigliari, cui la polizia impedisce di seppellire i propri defunti. Rispetto a tanti libri scritti da uomini (soldati o no) su guerre, prigionie e repressioni, questo si distingue: non dirà forse niente di nuovissimo, ma lo dice in modo ben diverso. Leggere di queste donne significa asciugarsi con le pagine una lacrima. Perché sono donne che non potevano permettersi nemmeno la consolazione del pianto. E l'autrice riesce invece a piangere finalmente quei morti a occhi asciutti, con umile epicità, scacciando la follia e riempiendo il silenzio con la loro storia. In Spagna, a parte la catalana Mercé Rodoreda, sono pochissime le opere di questa portata e consapevolezza, anche se è noto che durante la Repubblica fiorì uno slancio utopistico femminile inedito in una tradizione che voleva le spagnole conservatrici e bigotte.
Molto più che una denuncia delle atrocità franchiste, questo romanzo sa diventare una voce collettiva non sepolta, né zittita, ma solo addormentata, come vuole il titolo originale, La voz dormida . Parallelamente a un sempre più ampio dibattito sulla memoria tradita o rimossa, la narrativa sulla guerra civile vive una stagione straordinaria in Spagna. Sono usciti da poco capolavori come Capital de la Gloria di Juan Eduardo Zúñiga, Las trece rosas di Jesús Ferrero e 2004 Santo diablo di Ernesto Pérez Zúñiga, ancora inediti da noi. È arrivato però in Italia l'eroismo sottovoce delle prigioniere di Dulce Chacón, estremegna classe 1954, purtroppo scomparsa nel 2003. Ed è un libro sonoro e commovente, imprescindibile.
Danilo Manera
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