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Il ponte del Corno d'Oro - Emine Sevgi Özdmar - copertina
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Il ponte del Corno d'Oro
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Descrizione


Questo è il viaggio coraggioso di una viandante fra due mondi, una giovane turca che vuol fare l'attrice e non trova altro modo, per pagarsi la scuola di recitazione, che emigrare in Germania. è vergine, sprovveduta, non sa una parola di tedesco, ma è curiosa, caparbia, intelligente e decisa a farcela. La sua storia, intensa, dolcissima, divertente, è l'arguto racconto di una ragazza che rifiuta di mettere la testa a posto, della sua passione per il teatro, il cinema, la poesia, la politica, di un periodo incredibile vissuto tra Berlino e Istanbul alla fine degli anni sessanta. Attingendo a una grammatica tutta interiore, che scardina le regole per dar vita a un idioma speciale, potentemente suggestivo e cadenzato, Emine Sevgi özdamar compone nella sua nuova lingua madre, il tedesco, un vero e proprio inno alla tolleranza. Costruendo quel ponte ideale che unisce culture tra loro distanti, quella occidentale e quella orientale, l'autrice sottolinea il privilegio di poter contare su due lingue e due paesi, perché "due lingue sono due persone".
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Dettagli

2010
295 p., Rilegato
9788862200424

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 2/5
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Pablita
Recensioni: 2/5

Dalla recensione mi aspettavo molto di più. Avrà anche ricevuto premi ed elogi sia da Occidente che da Oriente però io ho faticato non poco a leggerlo... La storia non è di certo avvincente, il racconto è molto lento e il linguaggio è molto ripetitivo... Non è un incontro tra due punti cardinali diametralmente opposti: è una storia strampalata e stiracchiata. Mi spiace ma più di 2 non riesco a dare

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Recensioni

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Voce della critica

Una raccolta di racconti dal titolo programmatico, La lingua di mia madre (1990; Palomar, 2007; cfr. "L'Indice", 2008, n. 3) era stato il libro d'esordio di Emine Sevgi Özdamar, una tra le più famose esponenti della letteratura tedesca contemporanea. Nata in Turchia, la scrittrice fa parte di quella cerchia di autori che non scrivono nella loro madrelingua. Özdamar ha scelto il tedesco, e non a caso: nel 1965, a diciotto anni, arriva a Berlino e lavora in fabbrica, poi torna a Istanbul, frequenta l'accademia d'arte drammatica e – in seguito al pericoloso sviluppo politico in Turchia – nel 1976 è di nuovo a Berlino per far parte del Berliner Ensemble, la troupe teatrale fondata da Brecht. Nella Berlino degli anni settanta Özdamar vive una vita del tutto particolare, passando da una parte all'altra della città divisa, abita infatti nell'Ovest ma lavora nell'Est. Dal 1979 al 1984 è attrice al Bochumer Schauspielhaus, sotto l'egida di Claus Peymann. Nel frattempo inizia a scrivere testi teatrali, ma è attraverso la narrativa che si afferma come una delle voci più originali della letteratura tedesca. A Mutterzunge segue l'importante trilogia a sfondo biografico Sonne auf halbem Weg (Sole a metà strada): il primo volume è Das Leben ist eine Karawanserei (La vita è un caravanserraglio), del 1992, in cui racconta l'infanzia e per il quale riceve, prima autrice non di madrelingua tedesca, il prestigiosissimo premio Ingeborg Bachmann; il secondo volume segue nel 1999, appunto Il ponte del Corno d'oro, e infine nel 2003 Seltsame Sterne starren zur Erde (Strane stelle fissano la terra), in cui ricostruisce, con diari e disegni, gli anni passati al Berliner Ensemble e gli spostamenti tra Est e Ovest. Seguono altre onorificenze, tra cui, recentemente, il Fontane-Preis (2009) e la Carl-Zuckmeyer-Medaille. È inoltre membro della prestigiosa Accademia di lingua e letteratura di Darmstadt.
Si è parlato di "svolta turca" (Leslie A. Adelson) nella letteratura tedesca contemporanea, perché dalla fine del Novecento in poi gli scrittori di origine turca hanno posto la questione se emigrare significasse migrare non solo in territorio tedesco, ma anche nella storia tedesca. Özdamar non dà una risposta diretta, sfuggendo a una retorica di impegno esteriore, anzi è tra le prime a distanziarsi del tutto da etichette quali "letteratura della migrazione", che non fanno distinzione tra le varie provenienze. È vero che i testi di Özdamar vivono dalla capacità della scrittrice di passare da una lingua all'altra, ma soprattutto coinvolgono i lettori con uno stile ricco che coniuga il filo narrativo con una lingua polifonica e altamente godibile proprio per la capacità di giocare su registri stilistici diversi.
Il ponte del Corno d'oro offre quindi al pubblico italiano un testo che per certi versi potrebbe sembrare intraducibile. Il romanzo racconta la storia di una giovane donna turca venuta a Berlino a metà degli anni sessanta come Gastarbeiterin, "lavoratrice ospite". Ma sin dall'inizio si intuisce che la protagonista è incantata dalle sue compatriote, che scopre come esponenti di linguaggi a lei stessa sconosciuti, in quanto il plurilinguismo interno della Turchia è stato soffocato dalla politica culturale di Atatürk. La vita della protagonista si snoda quindi intorno a una duplice traiettoria, che racconta da una parte la vita nella Berlino ancora divisa, l'apprendimento della lingua tedesca, tra integrazione e nostalgia per la lingua madre e, dall'altra, tratta di un viaggio nella propria identità di donna, straniera e artista. Sarà proprio questa identità a riportare la protagonista a Istanbul, dove frequenta la scuola di recitazione, diventa attrice, vive la passione per lo spettacolo, il cinema, la poesia e fa parte della bohème libertaria dei primi anni settanta. Ma la parola "ponte" del titolo allude alle lacerazioni politiche di quegli anni: il desiderio di una vita diversa riporta la protagonista in Europa, in Francia, ma soprattutto a Berlino, che diventa il luogo dal quale costruisce un ponte ideale tra due paesi, lingue e parti di se stessa. Il ponte del Corno d'oro si configura dunque come un Bildungsroman al femminile, ma incentrato non su una education sentimentale, che porta spesso al fallimento dell'eroina, bensì su una education linguistique e le possibilità che da questa vengono per dare voce a se stessa.
I testi di Özdamar sono caratterizzati da una sorta di "magia linguistica" che porta a uno sdoppiamento di prospettiva. La costruzione del testo è essenzialmente polifonica, tramite costruzioni sintattiche orientate a una tradizione orale che si rifà a racconti, favole e preghiere, anche integrando diverse varietà linguistiche, nonché un sottile gioco di riferimenti a letture sottostanti, sia in lingua tedesca sia turca. Tutto questo trova una sua espressione proprio nel gioco delle immagini, spesso create a livello lessicale, per esempio con neologismi, composti legati alla percezione visiva o corporea; sono forme ibride, quindi, che sorprendono, come accade per l'uso assolutamente libero dei modi di dire e per le molteplici metafore.
Alla luce di tale complessità linguistica la traduzione di Umberto Gandini appare come un piccolo miracolo. Gandini riesce a riportare i giochi linguistici, come la resa delle parole a seconda della pronuncia – errata – che crea l'effetto di un tedesco sbagliato, "corrotto", come ad esempio la parola Wonayma nella lingua delle operaie della fabbrica, ossia Wohnheim (convitto, pensionato), a rendere il suono e anche il senso di tante forme simili, senza mai appesantire il testo. Gandini intreccia mirabilmente anche tutte le forme di intertestualità a cui l'autrice ricorre creando un testo molto godibile e con una coesione quasi più forte che nell'originale, ricco di slittamenti tra varietà linguistiche e piani d'immaginazione. Con tutto ciò l'autrice crea una sua "grammatica interiore": la grammatica di una nuova lingua madre che porta in sé anche i riflessi di uno dei più incisivi cambiamenti linguistico-culturali avvenuto durante gli ultimi decenni nel mondo tedescofono, e cioè l'espressione di un plurilinguismo sottostante alla scrittura in tedesco da parte di chi ha eletto il tedesco come lingua d'espressione.
Eva-Maria Thüne

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