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Non è un segreto che le guerre d'oggi esistano, di fatto, solo quando sono ospiti dei massmedia. In caso contrario, affondano nei trafiletti dei quotidiani, scorrono carsicamente per mesi al disotto delle distese della grande storia e infine, se giunte a livelli pericolosi per la comunità internazionale, riaffiorano per ingenerare lo scandalo e lo sdegno. Ma si tratta spesso di fuochi fatui. Tale è stato il caso del Ruanda e del Congo. E lo stesso vale per la Cecenia. La gaffe "europea" di Silvio Berlusconi intorno a questa tragedia da duecentomila morti e centocinquantamila rifugiati dice molto sul grado d'ignoranza che avvolge il conflitto, anche ai massimi livelli istituzionali. Olivier Dupuis, segretario del Partito radicale transanazionale, rileva un'equazione: "niente televisioni occidentali uguale niente guerra". A meno che non si possa far passare - teatro Dubrovka, ottobre 2002 - come affiliati di bin Laden i terroristi ceceni; eppure solo ultimamente la componente islamista si è affermata su quella laica nella guerriglia contro le armate di Mosca, e i suoi legami con al Qaida paiono del tutto evanescenti. I russi hanno intanto respinto più volte il piano Akhmadov per la democratizzazione della Cecenia sotto l'egida dell'Onu. Le guerre per gli oleodotti sono ormai ancor più imprescindibili di quelle per il petrolio? Nel libro, l'attenta cronologia finale e le cartine costeggiano un j'accuse che oggi come non mai, dopo la trionfale rielezione di Putin, deve indurre a riflettere.
Daniele Rocca
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