Principi, poeti e visir. Un esempio di convivenza pacifica tra musulmani, ebrei e cristiani

Testo molto interessante che racconta come nella Spagna medievale, cristiani, ebrei e musulmani vivevano assieme e collaboravano assiduamente, uniti in una sorta di mitica età dell'oro. Tutto parte attorno al 750 quando il gruppo degli Abbasidi, una dinastia califfale che rivendicava la discendenza da Maometto tramite un suo zio, tale Abbas, rovesciano a Damasco gli omayyadi, la dinastia al potere, trucidando gli esponenti della famiglia; tra i pochi superstiti c'è Abd al-Rahman, che fugge in Occidente(musulmano fino oltre i Pirenei)e pochi anni dopo diventa governatore di Cordova. E' l'avvio di una stretta interazione tra Occidente-Oriente, tra musulmani-cristiani-ebrei durante la quale soprattutto i cristiani apprenderanno una serie di conoscenze e opportunità fino ad ora sconosciute, che saranno alla base della trasformazione che porterà l'Occidente ad imporsi sull'Oriente dall'inizio dell'età moderna in poi. Una storia raccontata non attraverso gli avvenimenti direttamente accaduti, ma tramite l'analisi delle personalità che a Cordova, in Spagna e nei confini dell'Europa allora musulmana si sono succedute, da Pietro Alfonso a Pietro Abelardo, da al-Gazali a Cervantes. Un testo che non può non far riflettere per quello che gli europei hanno poi fatto, dall'espulsione alla "reconquista". Leggerlo porterà forse ad avere una diversa considerazione non tanto sulla religione musulmana, quanto sui suoi orizzonti e conoscenze, che non abbiamo colto appieno nemmeno oggi.

Il motivo ispiratore di Principi, poeti e visir in realtà non è tale, la convivenza pacifica non esiste più. Esso è un duro monito, dopo i tragici fatti dell' 11 settembre 2001. Gli attentati dei martiri Shahīd dell' 'Islam contro l'intero Occidente per raggiungere prontamente le 72 vergini che, in Paradiso, bramose e bramate attendono i kamikaze. Quattro attacchi suicidi da parte di terroristi di al-Qāʿida contro obiettivi civili e militari nel territorio degli Stati Uniti ancora vivi nella memoria collettiva. Maria Rosa Menocal racconta un sogno, un mondo che non c'è più, ma soprattutto mette il dito nella piaga: là dove le variabili culturali e sociali si cristallizzano per sottolineare una forzata appartenenza, creando confini rigidi anziché frontiere da sfondare, l'intolleranza e la incivile conflittualità sono in agguato, presentandosi sotto forma di patologia sociale. Un altro mondo, un'altra storia. Trascinata ed alimentata, durante i diversi secoli di luce culturale ai quali Menocal fa riferimento, da eventi di particolare eccezionalità: la migrazione verso terre lontane, la circolazione agile di intellettuali e la loro viva interazione, il potere di condizionamento che il califfo assunse attraverso il sostegno e la valorizzazione dell'interculturalità. Snodi concettuali non estranei all'analisi del mondo contemporaneo, del quale sono un calco. Perché gli uomini, in fondo, sono sempre gli stessi. Eppure concetti portati all'estremo «limes» del sangue, quando l'appartenenza ghettizzata nell'hic et nunc di aspettative e prescrizioni reciproche dimentica la Storia. «Che cos'è il presente? Nell'infinito della durata, un punto minuscolo che sfugge senza posa; un istante che, appena nato, muore». Così, Marc Bloch.