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Musei effimeri. Allestimenti di mostre in Italia (1949-1963) - Anna C. Cimoli - copertina
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Musei effimeri. Allestimenti di mostre in Italia (1949-1963) - Anna C. Cimoli - copertina
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Descrizione


Nel dopoguerra italiano, attraverso una virtuosa concomitanza di fattori culturali, politici e sociali, prende forma una nuova arte dell'allestimento. Il fenomeno investe tanto le occasioni "commerciali", come le fiere campionarie, quanto l'ambito delle mostre d'arte, fino ad allora poco sensibile ai nuovi codici di comunicazione che andavano emergendo dai pionieristici interventi di sistemazione dei musei. Grazie all'opera di quei maestri dell'architettura e del design che fin dal ventennio fascista avevano coniato un linguaggio allestitivo dirompente, le mostre d'arte richiamano per la prima volta anche un grande pubblico di non specialisti. Quali sono state le ragioni di tale eccellenza tutta italiana? Da quale tessuto culturale sono nate quelle mostre? Quali istanze "politiche" hanno veicolato? Il volume si pone questi interrogativi cercando le risposte nel cuore di quell'officina culturale che è la preparazione di una mostra: attraverso i carteggi, i documenti d'archivio, le fotografie. Dalle voci dei protagonisti emerge un quadro complesso, segnato dalla polarità museo-mostra, da una riflessione profonda sul tema dell'effimero come avamposto di un "permanente" museale, dalla fatica di impaginare e consegnare al pubblico una storia dell'arte tutta da rileggere alla luce delle perdite belliche e del nuovo sfondo culturale.
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Dettagli

2007
22 novembre 2007
243 p., ill. , Brossura
9788842813347

Voce della critica

"Musei effimeri: così si intitola il volume, in omaggio all'ultimo saggio di Francis Haskell": con queste parole Anna Maria Cimoli apre il libro che, consacrato agli allestimenti di mostre d'arte nell'Italia del secondo dopoguerra, è ospitato nella collana "Museologia"curata per Il Saggiatore da Maria Gregorio.
Fra i diversi aspetti che interessano una mostra, Cimoli sceglie di seguire il filo degli allestimenti, intesi come "gesti complessi che stratificano significati, responsabilità, strumenti di comunicazione", e attraverso l'affermarsi della figura dell'architetto allestitore ricostruisce la fortunata stagione che vide le esposizioni guadagnare uno spazio riconosciuto nella vita sociale e culturale italiana. Osserva Fulvio Irace nell'introduzione che "gli allestimenti erano il terreno ideale su cui innestare l'ossessione didattica di un ordine nuovo capace di celebrare lo straordinario evento della modernità", frutto di "profonde riflessioni prima di approdare alla concretezza del cantiere", ovvero della disposizione delle collezioni permanenti, allora di impellente attualità.
I due laboratori più vitali della rinascenza espositiva del dopoguerra sarebbero stati Venezia e Milano. Per quest'ultima Roberto Longhi curò la Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi del 1951, il primo della memorabile sequenza di allestimenti a Palazzo Reale. Dalla mostra successiva, dedicata a Van Gogh, a quella di Picasso, la Sala delle Cariatidi ferita dalla guerra divenne il fulcro di un'ininterrotta riflessione espositiva, simbolo di altissima valenza anche morale nel caso dell'allestimento di Guernica. A Venezia, invece, Rodolfo Pallucchini già nel 1945 aveva voluto Cinque secoli di pittura veneziana e nel 1949 curerà la Mostra di Giovanni Bellini. L'allestimento in Palazzo Ducale era di Carlo Scarpa, che "lavorò a partire dallo spazio dato per reinventarlo interamente (…) attingendo a elementi linguistici propri degli artisti con cui si confronta", così come avrebbe poi fatto per la mostra di Antonello da Messina e per quella di Piet Mondrian del 1956 alla Galleria d'Arte moderna di Roma.
A seguire gli argomenti e i molteplici percorsi che Cimoli ci propone, e restituisce attraverso un corredo fotografico tanto eloquente quanto suggestivo, non potremmo non parlare di Genova, di Albini e della generazione di architetti che discende dalle sue riflessioni museografiche, ma anche di Architettura misura dell'uomo, la raffinata mostra manifesto immaginata da Ernesto N. Rogers per la IX Triennale di Milano. Le belle fotografie soccorreranno le parole nel descrivere l'interesse di queste e delle altre mostre analizzate e, come in una visita reiterata, ci faranno illudere che la loro effimera e specifica temporaneità sia divenuta permanente. Alessio Monciatti

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