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Il ritorno del principe Rama ad Ayodhya, la capitale del suo regno, e’ ormai prossimo, il suo viaggio sta per finire: ha gia’ raggiunto le sacre montagne dell’Himalaya, tra le quali si erge il mitico monte Meru, axis mundi, origine dell’energia della terra, luogo d’incontro e dimora degli dei, come il monte Olimpo, il Kilimanjaro e il Fujiyama. Sulla sua vetta precipita la Ganga celeste, che poi si divide in quattro fiumi terrestri che scorrono verso i quattro punti cardinali. Nelle tradizioni popolari il concetto di punto centrale dell’universo, chiamato con vari nomi e differenti metafore nei Purana, si identifica con l’una oppure con l’altra delle vette himalayane. L’idea del sacro ha permeato il peregrinare di Rama nei paesi illuminati dai versi del Ramayana portato dai viaggi e dalle migrazioni della cultura hinduista, che dall’India e’ giunto sino alle lontane terre del Giappone. Nei paesi che ha toccato ha lasciato segni indelebili nei diversi aspetti della societa’, della religione, della cultura e dell’arte, ma si potrebbe anche affermare nel fluire stesso della vita. Sono queste tracce che ho cercato e sto cercando, assieme a quelle autoctone e a tutti gli altri incontri/scontri che hanno permesso la costruzione di quello straordinario e polisemico corpus che e’ il mondo asiatico. Di questo universo solo apparentemente imperscrutabile ho cercato di studiare il teatro, un momento cioe’ del suo incessante divenire, nella consapevolezza che l’azione performativa possa essere solamente compresa qualora sia stata simbioticamente connessa con la storia di quei paesi. Ho chiesto aiuto all’antropologia e ai suoi teoremi, sempre in discussione, sempre perfettibili e mutevoli, che proprio nelle insite contraddizioni trovano la forza e l’importanza delle loro affermazioni.
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