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è il più bel libro giallo che abbia mai letto, e non parlo del colore della copertina ottima anche la lingua e lo stile equilibratissimo
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Com'è noto, la scoperta del meccanismo delle maree viene generalmente attribuita a Newton, che riuscì a spiegarlo correttamente dopo la scoperta della teoria della gravitazione universale. Qualche anno prima ci aveva provato anche Galileo, ma la sua spiegazione non era corretta.
Riprendendo un tema a lui caro, l'importanza delle scoperte degli antichi - e non solo dei greci -, tema ampiamente trattato in La rivoluzione dimenticata (Feltrinelli, 1996; cfr. "L'Indice", 1997, n. 6), in questo volume Russo ricostruisce le teorie sviluppate sin dall'antichità e fino a Newton a proposito delle maree: i flussi e i riflussi, appunto. L'analisi si concentra sui tentativi di spiegare l'andamento delle maree attraverso i fenomeni astronomici, tentativi che coprono circa duemila anni di storia. Del resto, lo stesso Newton spiegava che le sue scoperte erano dovute al fatto che "si era seduto sulle spalle dei giganti", riprendendo così una famosa frase di Bernardo di Chartres ("Noi non siamo che nani arrampicati sulle spalle dei nostri predecessori").
I punti di partenza sono la forma della Terra e il sole che la illumina durante il giorno: dove finirà la sua luce di notte? Il primo a dare una spiegazione ragionevole fu Anassimandro (VI secolo a.C.), che immaginò la Terra come un cilindro con le due facce piane equivalenti: quella abitata da noi e quella illuminata di notte e abitata dagli "antipodi", ovvero dagli uomini che hanno i piedi diretti verso l'"alto". Dopo pochi anni venne introdotta, probabilmente da Parmenide (V secolo a.C.), la tesi che la Terra aveva un forma sferica. Parmenide sostenne che anche la luna aveva una forma sferica, e le sue tesi furono riprese in seguito da Platone e da Aristotele. Nelle loro opere, il centro della Terra è il "luogo naturale" verso il quale tendono tutti i corpi "pesanti", mentre i corpi "leggeri" (per esempio il fuoco) tendono ad allontanarsi da esso. Queste ipotesi introducevano già il fenomeno della gravitazione, anche se non le sue leggi; la scoperta di Newton è infatti importante proprio perché spiega che la mela cade sulla Terra ma "anche che la Terra cade sulla mela".
Fu Eratostene (III secolo a.C.) a misurare con ragionevole precisione il raggio terrestre, Archimede riprese le tesi di Aristotele sulla sfericità della Terra. Secondo lui, infatti, se gli oceani non avessero una superficie sferica, due punti vicini posti sott'acqua al medesimo livello sarebbero sovrastati da diverse quantità d'acqua e perciò sottoposti a compressioni diverse: quindi non potrebbero rimanere in equilibrio. La forma sferica è del resto usata anche da Tolomeo (ad esempio per spiegare l'ombra circolare che si vede durante le eclissi di luna), che già impiega sistematicamente le coordinate sferiche. Queste cose sono praticamente sparite dalla vulgata comune, che vede lo scopritore della sfericità della Terra solo in Cristoforo Colombo; in realtà è solo dopo la sua scoperta che il concetto della sfericità della Terra riprese vigore.
Un'altra antica ipotesi, che risale addirittura ad Aristarco di Samo (IV secolo a. C.), prevede che la Terra e i pianeti siano dotati di un moto circolare uniforme intorno al sole e che la Terra sia anche animata da un moto di rotazione diurno attorno al suo asse, inclinato rispetto al piano della sua orbita. Oggi si tende ad attribuire queste scoperte a Copernico e a Galileo, ovvero - come afferma l'autore - a riscoprirle solo dopo molto tempo, quasi fossero "fossili scientifici".
Per quanto riguarda specificamente le maree, ovvero i "flussi e riflussi" del titolo, esse possono presentarsi in maniera diversa a seconda del luogo e possono verificarsi "una, due o quattro volte al giorno". Un esempio classico, famoso nell'antichità, è rappresentato dal flusso della corrente nello stretto di Euripo (tra l'isola di Eubea e la Grecia) che, durante il suo ciclo mensile, inverte la sua direzione da quattro a quattordici volte al giorno. Per esempio la marea non si avverte a Taranto, mentre a Venezia - a parte la cosiddetta "acqua alta" - è attorno al mezzo metro; nella Baia di Fundy, nella Nuova Scozia, raggiunge addirittura i tredici metri ogni mese circa. Queste "stranezze" resero difficile formulare una valida teoria delle maree; però ci provarono in molti - da Cartesio a Stevino a Wallis - suscitando accese discussioni.
Però anche gli studi sulle maree risalgono agli antichi greci, per esempio a Posidonio (c. 135-50 a.C.), o a Tolomeo e a Galeno, che però ne diedero spiegazioni solo in chiave astrologica. Lo studioso arabo Albumasar attribuì le maree agli influssi della luna attraverso posizione, distanza, fase e velocità. Le sue tesi furono riprese più avanti da Roberto Grossatesta e poi dai maggiori pensatori europei del XIII sec.: Ruggero Bacone, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Giovanni Duns Scoto.
Leonardo da Vinci pensava invece che la luna non avesse nulla a che fare con le maree ("la luna non po muovere il mare ch'ella moverebbe i laghi") e, nei suoi scritti, prese in considerazione le cause più diverse. Stevino ne diede invece una spiegazione matematica abbastanza precisa, anche se i suoi risultati sono limitati dalla semplicità del modello. Molti altri scienziati moderni (come Cartesio, Keplero e Galileo) riconobbero l'influenza della luna anche se l'attribuirono a cause diverse. (La spiegazione delle maree data da Galileo avrebbe secondo lui costituito "la prova fisica dell'eliocentrismo").
Queste ipotesi, note genericamente come "teorie luni-solari", risalgono in realtà a molti secoli prima e furono formulate da personaggi quasi sconosciuti (quali Crisogono o De Dominis), e una delle probabili cause di questo fenomeno è la scarsa rilevanza che le maree hanno nel Mediterraneo. Per esempio, Aezio ci informa che Eraclito e Solone attribuirono le maree a venti solari; Erodoto parlò di "flussi e riflussi", ma solo a proposito del Mar Rosso, mentre il marsigliese Pitea fu il primo a parlare delle maree dell'Atlantico settentrionale, maree di dimensioni mai viste nel Mediterraneo. La cronologia finale, che spazia da circa il Seicento a.C. al Novecento, serve appunto a chiarire la successione temporale dei personaggi citati, ma anche a scoprire di chi erano le spalle su cui si sedette Newton.
La conclusione dell'autore riprende chiaramente quella idealmente già formulata in La rivoluzione dimenticata : si tende a dimenticare il passato e quindi le scoperte vengono in genere attribuite a personaggi che hanno goduto dell'autorità sufficiente per associarvi il proprio nome. Si tratta di una prassi usuale nella storia della scienza, e ne è un classico esempio il caso della legge sulla rifrazione, in genere attribuita a Cartesio (il che accade ancor oggi in molti libri francesi) che ne parlò nella sua Dioptrique (1637), anche se in realtà la legge, formulata da Snell, era già nota almeno dal 1621.
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