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Anno edizione: 2002
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Quello che è stato la Bibbia dei new global, interessante la lettura che permette di capire la frustrazione che serpeggiava a quei tempi fra il così detto “Popolo di Seattle” e capire come milioni di persone siano scese in piazza a lottare ,alcuni anche a costo della vita,” durante le proteste di inizio millennio.
Non lessi il libro al momento della sua uscita perché non ritenevo di avere competenze adeguate a leggerlo in modo “critico”; oggi l’ho letto reputandomi preparato, e ne sono rimasto deluso, forse complice il fatto che mi aspettavo molto di più da un libro ritenuto (a torto o a ragione) uno dei manifesti dell’antiglobalismo. Il libro è contro il brand che soppianta il prodotto, ma non è affatto antiglobalista e nemmeno adeguatamente critico con la modernità restando limitato nella sua nicchia del “marchio” e dei suoi effetti negativi su società ed economia. Estremamente di parte, non considera alcun vantaggio (e comunque ce ne sono) che deriva dai modelli economici dominanti, e la smaccata partigianeria abbassa ancora di più il valore dell’opera che manca di una visione ampia (economia oltre il brand) ed equilibrata (aspetti positivi della globalizzazione). Troppo lungo e ripetitivo fino a sfiorare a tratti la noia: per esprimere un solo concetto non servono 10 esempi per attaccare (i soliti) 10 marchi; ha il pregio di fondarsi su esempi concreti, ma questo diventa un difetto accorgendosi che più che un’analisi è una raccolta di casi aneddotici (indubbiamente umanamente molto toccanti), che nel loro insieme delineano un quadro più o meno preoccupante secondo la propria visione del mondo, ma che, in assenza di adeguate analisi e confronti con l’economia standard, non riesce ad assumere valenza scientifica ed a pesare come farebbe un testo di scienza economica. In sostituzione a questo mattone, in larga parte populistico e pleonastico, suggerisco Held-McGrew, “Globalismo ed antiglobalismo”; e per approfondire il binomio Stiglitz/Beck, rispettivamente “La globalizzazione che funziona” e “La società del rischio”.
Gran bel libro; un pò "pesantino" forse, ma assolutamente da leggersi. Viene però erroneamente presentato come "la bibbia del movimento no-global", ma in realtà non ha nulla di "anarchico". Non è un libro di sinistra, ma una profonda analisi oggettiva (e circostanziata) del fenomeno del branding in tutte le sue forme. Interessante.
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