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Il rumore sordo della battaglia
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Il rumore sordo della battaglia - Antonio Scurati - copertina
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rumore sordo della battaglia

Descrizione


La sanguinosa epopea delle armi da fuoco in un affresco storico sull'eclissi dell'età eroica. La fine del mondo cavalleresco e l'avvento della guerra moderna nel Rinascimento dei Borgia, di Savonarola e degli ultimi grandi capitani di ventura. Una misteriosa confraternita di uomini in armi che si oppone con ogni mezzo al tramonto delle aristocrazie guerriere e alla marcia inarrestabile della storia.
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Dettagli

2006
Tascabile
3 maggio 2006
396 p., Rilegato
9788845256349

Valutazioni e recensioni

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Liliana
Recensioni: 5/5

Ambientato tra il 1476 e il 1525, la fine del Medio Evo e l'inizio del Rinascimento, dove uomini come Ferdinando II de Aragon, Papa Alessandro VI detto il Borgia, Carlo VIII Re di Francia e un'infinitá di citta-stato Italiane che combattono fra di loro, descrive la fine del mondo cavalleresco e l'arrivo delle armi da fuoco. Mi è piaciuto molto, ben scritto, un libro che scorre in mezzo alla Storia.

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viator1495
Recensioni: 4/5

Trasportato dal susseguirsi degli emozionanti (e ben descritti) eventi, battaglie comprese, sono arrivato alla fine del libro senza accorgermi di tabacchi non importati e Granducati ancora da fondare. Romanzo storico di alto livello. Da segnalare l'avvincente descrizione della battaglia di Fornovo.

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elelia
Recensioni: 3/5

L'ho letto dopo "Il sopravvissuto", ed ho avuto conferma del fatto che il Canetti di "Massa e Potere" è una delle fonti cui Scurati attinge; il Dellanotte in molti passi è ispirato al potente che sopravvive agli altri e, addirittura, l'episodio degli uomini intorno al fuoco, che hanno amici al proprio fianco e nemici alle spalle, è preso pari pari dal paragrafo inziale del capitolo sulla muta del volume di Canetti, così come tutti i riferimenti al concetto, ed ai tipi, di muta. Non ho ben capito se si tratta di adesione profonda ai temi di Canetti, o di mero utilizzo di alcuni suoi elementi di analisi. I primi due terzi del libro sono più interessanti del resto; la scelta finale della modernità da parte di Sebastiano, per mezzo delle armi da fuoco, non mi sembra ben spiegata. Anche questa volta, ho avuto l'impressione che l'autore abbia problemi a sostenere "moralmente" i suoi personaggi. Nell'ultimo capitolo (ho letto la versione recente, quella con i tagli del livello della contemporaneità, e con aggiunta del capitolo finale), è resa più evidente la paranoia del sopravvissuto Dellanotte; ma l'autore abbandona il suo personaggio "letterariamente" più forte, anche in questo caso - almeno così si ha l'ìmpressione che sia - per un non autentico giudizio di riprovazione. Leggendo il breve saggio finale sulla letteratura dell'inesperienza, non so bene perché, ma ho avuto conferma del suo timore di giudizi di ingenuità. Forse, con un maggiore coraggio di restare al fianco dei suoi personaggi più riusciti, Scurati potrebbe fare opere più compiute e sue; dovrebbe, però, trovare il coraggio di disinteressarsi del rapporto letteratura/esperienza (che altro non è che quello opera/autore), che tanto sembra legargli le mani.

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Voce della critica

L'ipermetropia è difetto della vista per cui si riesce a vedere molto meglio del comune ma solo ciò che è grande, mentre le cose piccole risultano difficoltose da mettere a fuoco. O almeno così è descritta la patologia oculistica del "professore" nella prima versione del romanzo Il rumore sordo della battaglia di Antonio Scurati. I "piccoli sgorbietti" confondono la vista del personaggio, mentre le grandi lettere cubitali gli appaiono nitide più che mai.
Questo difetto è metafora di un anti-minimalismo estetico che rifiuta la microscopia e l'understatement per collocarsi senz'altro nelle regioni dei grandi problemi, delle grandi questioni cruciali e soprattutto del tragico: c'è poco da ridere, soprattutto oggi. E il saggio sulla Letteratura dell'inesperienza ci descrive il mondo che viviamo in chiave agghiacciante, non meramente e vacuamente apocalittica. Il fatto è che Scurati, studioso di mass media e di guerra, nonché autore dell'avvincente romanzo Il sopravvissuto, si presenta oggi come uno delle poche figure di intelligenza davvero tagliente della sua generazione in Italia. Con uno stile altrettanto tagliente, da sala settoria, e della morgue (penso a Benn) conserva l'odore di squartamento e di cadavere aperto.
L'età postmoderna è segnata, per Scurati e anche per noi, dall'annullamento del confine tra reale e irreale, o meglio dalla derealizzazione del reale più atroce rappresentato sullo schermo televisivo. Il presente è un flusso, un magma, dove non ha più valore veritativo nessuna testimonianza, dove ogni immagine è copia conforme solo di se stessa, dove fuori un mondo non c'è. L'inesperienza è la "condizione trascendentale dell'esperienza attuale", oggi noi non viviamo più, o meglio, "più viviamo più siamo inesperti della vita". Che cos'è la vita per Scurati? Non mi è agevole rispondere. Non dovrebbe essere lo slancio vitalistico mortuario di chi cerca l'esperienza integrale nello scontro fisico e nel sangue, come il giovane eroe cinquecentesco del Rumore sordo o lo studente assassino del Sopravvissuto. O forse sì, ma allora entriamo nel territorio di una suprema ambiguità scuratiana su cui dovremmo lavorare saggisticamente per pagine e pagine, e prima o poi andrà fatto. Per ora diciamo di no. E allora? La vita sarà avere esperienza fattuale delle cose, e soprattutto delle cose ultime, fondamentali (sesso, mortalità, aggressività, amore), distinguendole dalla fiction? È già qualcosa. Vita sarà esperire le grandi cose della vita, vivere da ipermetrope e non da minimalista affogato in un quotidiano sciapo, fatto di mediazioni che non mediano nulla e abituano al nulla pieno di inutile continuità? Forse. Un vivere eccellente, insomma, piuttosto che un vivere mucillaginoso e distratto, ma magari questo è addirittura impossibile nella nostra società. Ci è negato anche comprendere cosa sia veramente la vita autentica.
E cosa si può scrivere in questi frangenti depressivi? Si può essere narratori oggi? Scurati sembra suggerire almeno due antidoti al presente. Uno è quello di resistere comunque alla cultura di massa e quindi non perdere il senso del tragico. Soprattutto non perdere il senso della morte, rimossa proprio da quella "sfocatura tra realtà e finzione" che ci invade. In questo Scurati è vicino alla schiera di tanatologi che hanno descritto in chiave socio-antropologica la marginalizzazione della morte nelle culture occidentali moderne. Ma oltre a fare "critica della società", si può ancora fare narrativa, e sarà, per Scurati, il romanzo storico a salvarci, come recupero di un dialogo con i morti, peraltro peculiare dell'umanesimo classico che abbiamo rinnegato. Certo, la citazione che in chiusa Scurati fa del Nome della rosa di Eco mi pare sconcertante: non si apriva proprio lì il postmoderno italiano, quella rosa non era il primo grande fiore della cultura di massa? Comunque, a parte ogni canone, il romanzo storico per l'autore è la cura.
Mi viene da aggiungere, ma sarà mia fissazione, che in Scurati sembra visibile una posizione tradizionalista "di destra", con segni per me inequivocabili quali l'antiscientismo, l'anticontemporaneità (Nietzsche e Spengler più che Evola o Guénon), il senso del moderno come declino e quindi l'implicito antiprogressismo, l'anticomunismo viscerale, la difesa del tragico e dell'alto, il rifiuto della cultura di massa anche come sintomo di un aristocraticismo trascendentale e perenne, la tensione verso la vita, il rimpianto dell'umanesimo come cura dei morti e dei posteri, e quant'altro.
Naturalmente Scurati è uno che vuole guardare in faccia Medusa. E questo è di destra? Se sì, come temo, allora destra e sinistra sono componenti dell'antropologia di ognuno di noi. E se noi che scriviamo stiamo un po' con Scurati, un po' no, alla fine vorrà dire qualcosa. Certo vuol dire che Scurati nella palude getta il suo sasso e l'effetto si sente. Questo basta a far sì che valga la pena di ascoltarlo, comunque ci si senta, euforici o avviliti, integrati o disintegrati.
  Roberto Gigliucci

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Conosci l'autore

Antonio Scurati

1969, Napoli

Antonio Scurati è uno scrittore e accademico italiano. Nato a Napoli nel 1969, è cresciuto tra Venezia e Ravello per poi trasferirsi a Milano. Docente di letterature comparate e di creative writing all'Università IULM, editorialista del «Corriere della Sera», ha vinto i principali premi letterari italiani. Esordisce nel 2002 con Il rumore sordo della battaglia, poi pubblica nel 2005 Il sopravvissuto (Premio Campiello) e negli anni seguenti Una storia romantica (Premio SuperMondello), Il bambino che sognava la fine del mondo (2009), La seconda mezzanotte (2011), Il padre infedele (2013), Il tempo migliore della nostra vita (Premio Viareggio- Rèpaci e Premio Selezione Campiello). Del 2006 è il saggio La letteratura dell'inesperienza, seguito da...

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