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Uno dei pochi saggi che si facciano leggere senza apparie un saggio, senza apparire noioso, con la voglia di girare pagina una volta finita la prima, e così con la seconda, e ancora con la terza, e tutto il libro sugli occhi senza un attimo di stanchezza.
Recensioni
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In letteratura è sempre tempo di bilanci: prima delle consacrazioni antologiche si muovono le avanguardie critiche a stabilire steccati e confini, a suggerire mutamenti di rotta, a ignorare - anche - ciò che si presenta come scenario di inutile polemica. E qui entrano in gioco gusti
recensioni di Pent, S. L'Indice del 1999, n. 10
Poiché di generazione si discute - quella più recente, talora ai primi passettini letterari - nell'esaustivo saggio-conversazione di Fulvio Panzeri, che tra i giovani critici è uno dei più attenti ai nuovi fermenti, alle proposte anche all'apparenza minori che mostrino comunque prospettive di crescita. Anziché una panoramica sulla recente narrativa, Panzeri ha optato per una sua personale preselezione antologica, cancellando volutamente una buona fetta di proposte - anche di successo - a vantaggio di una provincialità riscoperta nelle sfumature spesso post-industriali di una generazione che sa ancora scegliere i ritmi lenti della riflessione e della solitudine.
Oltre la logica del culturista s'intitola il saggio d'apertura a queste conversazioni tematiche con ventidue autori giovani o addirittura nuovi: si va dal 1974 di Davide Bregola - un'offerta promozionale più che una frettolosa consacrazione - alla protratta gioventù di un genuino Proust di provincia come Gilberto Severini, che pur è del 1941. Ma ciò che colpisce - e può far discutere - in questa ben motivata introduzione, è la selezione personale che sollecita Panzeri in negativo nei confronti di tutta una letteratura "urlata" che ha caratterizzato questi anni. Ciò che il critico condanna è la generale "sensazione di finzione o di moda letteraria che il 'pulp' rappresenta": una moda, in effetti, quasi in via d'esilio, con autori che già annaspano per riciclarsi, e Panzeri cita la Ballestra, che dai fragorosi scompigli verbali dei primi libri ha tentato la carta di un azzardo cechoviano da fotoromanzo. Panzeri critica altresì il giovanilismo esasperato, protratto fino alla pensione, di tutti quegli epigoni post-tondelliani che di Tondelli hanno però colto solo l'apparenza finto-hard. E infine giù mazzate per tutto ciò che è finzione, letteratura mascherata da intenzioni serie o moralistiche, che ha comunque la freddezza, o l'inutilità, di un prodotto senz'anima.
Se tutto questo può risultare discutibile agli occhi dei cultori di novità anche fini a se stesse, non si può dire che le scelte di Panzeri non siano oculate: la sua rivalutazione della narrativa "umanistica" passa attraverso la provincia, non quella circoscritta al bozzettismo, ma quella che, nei casi migliori - da Bilenchi a Mastronardi - ha saputo diventare ricca lettura della realtà. Fedeltà alle tradizioni, dunque, con predilezione per chi, da questi autori - e da altri come Pavese, Cassola, Pasolini e il pluricitato, e forse sopravvalutato, Testori - ha saputo cogliere la lezione per proseguire su una rotta modificata solo dai mutamenti sociali. La provincia quieta e malinconica di Piersanti, Severini o Ferracuti, quindi, ma anche gli svolazzi ricchi di fermenti fantasiosi di Lodoli, Romagnoli o Carabba, per arrivare ad autori che, attraverso la pura narrazione di storie - di arpiniana memoria -, cercano comunque una consacrazione personale che li identifichi: Conti, Tamburini, Riccarelli, Montanari. E poi i più giovani, con tutte le loro già percettibili premesse di maturazione: Rossetti, Giartosio, Barilli, Bregola. Sfide al futuro.
Panzeri ha il pregio di condurre ogni scrittore a confessarsi senza remore, e ne emerge una panoramica davvero nuova e racchiusa nelle scelte, negli arrivi, nelle partenze o negli stalli di una generazione che scrive. "Senza rete", come una vecchia trasmissione televisiva di Mina "rigorosamente dal vivo". Si potrebbe confrontare questo studio già determinante di Panzeri con un altro - meno approfondito - lavoro similare di Luca Beatrice - Stesso sangue (minimum fax, Roma 1999, pp. 186, Lit 20.000) - dove compaiono, quasi in contrapposizione, molti di quegli autori ridimensionati da Panzeri, da Ammaniti alla Ballestra, da Nove agli eternamente giovani come Scarpa, Montrucchio, Demarchi, Piccolo. Ci sarebbe già di che discutere, o disputare. In un caso o nell'altro, ciò che va difeso - e questo diventa giustamente soggettivo - è "il piacere di leggere".
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