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Lo scrittore invisibile. Alfonso Berardinelli recensito e intervistato - copertina
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Lo scrittore invisibile. Alfonso Berardinelli recensito e intervistato - copertina

Descrizione


Perché scrittore invisibile? Anzitutto perché uno scrittore mascherato da critico non è facilmente riconoscibile. Ma l'invisibilità o la scarsa visibilità può essere una scelta sia consapevole che istintiva. Berardinelli, come ha osservato Enzensberger, non frequenta "la piazza" e non lo si trova "negli uffici". Evita sia le istituzioni che la società dello spettacolo. Attraverso un'ampia selezione di articoli, questo libro documenta che cosa si è detto di lui, le opinioni di chi lo apprezza e quelle di chi sopporta poco le sue idee e le sue polemiche. E non manca certo la voce dello stesso Berardinelli che, in numerose interviste, torna a discutere sul ruolo della critica e sulla situazione della letteratura contemporanea.
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Dettagli

2013
29 gennaio 2014
526 p., Brossura
9788861651388

Voce della critica

 
Anche di Alfonso Berardinelli, come dello zio marinaio, anarchico e autodidatta, evocato in una delle interviste raccolte in questo libro, si potrebbe dire che “possiede solo quello che ha indosso”: è cioè un “critico senza potere”, salvo quello dell’intelligenza, e pertanto un uomo più libero, meno visibile, forse, ma certo nient’affatto marginale, addirittura più felice nell’esercizio del suo ruolo.
Emerge, da questa raccolta d’interviste e recensioni, il ritratto di un intellettuale onesto e coraggioso, strenuo difensore di una precisa idea della critica, esercitata di volta in volta come idiosincrasia, energia polemica, ma anche rapporto dialogico, apertura all’altro: un intellettuale in cui chiarezza e gusto del paradosso sono il risultato di un impulso mai sopito alla razionalità e alla verifica, un intellettuale che, pur avendo rifiutato il ruolo sociale del maestro, non ha mai rinnegato la fede nella sua funzione etica, convinto che per agire politicamente non sia necessario essere in molti. Il suo impegno è infatti fondato su spregiudicatezza, immaginazione, coraggio, memoria, prima e più che su una concreta prassi politica, a cui Berardinelli (testimone e censore della sessantottina ubriacatura ideologica) chiaramente non affida più alcuna destinazione risolutiva.
All’orizzonte politico, deludente, si sostituisce un’attività intellettuale, fondata (come ha visto Giulio Ferroni) su verità, onestà, realtà dei rapporti: figlio dell’illuminismo, ma di un illuminismo “critico, laicamente spregiudicato, sostenuto insieme da passione e scetticismo”, Berardinelli coniuga Adorno e Orwell, ma soprattutto guarda con rinnovata energia propulsiva a un’idea già leopardiana del saggio, in cui prosa malinconica e l’ironia procedono fianco a fianco nel segno di quel “gusto della conversazione” che alla società italiana ancora manca del tutto, come mancava all’inizio del XIX secolo.
È singolare che la principale accusa rivolta a Berardinelli si riveli essere anche il suo principale punto di forza: quella chiarezza adamantina del pensiero che i suoi detrattori riducono a banale buon senso, senza avvertire che si tratta invece della settecentesca “ragione ‘minima’ e discreta”, sicura del proprio rigore e indispensabile, già nella definizione offerta da D’Holbach, per “conoscere le verità più semplici, per rifiutare le assurdità più manifeste, per rimanere colpiti da contraddizioni evidenti”. È la voltairriana sensibilité, dunque, è cultura divenuta istinto, spiega lo stesso Berardinelli, o ancora “dissenso comune”, attitudine socratica “a seminare dubbi sulle sorti progressive”.
Farsi carico di un rischio, questo sembra essere il vessillo sotto il quale Berardinelli ritiene ancora praticabile una forma d’impegno intellettuale: non si tratta più dell’engagement volto a un inconsistente pensiero del futuro, bensì dell’impresa solitaria di chi affronta la critica dell’ideologia dal punto di vista del presente, pur essendo ispirata dal senso del passato. In questo specchiarsi di ora e allora emerge la connessione tra il critico letterario e il critico della società: quest’appassionante cavalcata nella vita culturale italiana dagli anni settanta ad oggi, oltre che specchio fedele di come la critica letteraria sia (debba essere) anche autobiografia letteraria, è anche il resoconto di una fede “che fu combattuta” in cui la dimensione etica, sia pur racchiusa nei più modesti spazi dell’entomologia (è Massimo Onofri a usare questa categoria), non possa in alcun modo venir meno. E non solo perché l’intellettuale, pur privato di aura, non può rinunciare ad offrire un’immagine sintetica del mondo, ma anche perché il critico è “anche moralista in senso classico: cioè osservatore partecipe, interessato al comportamento umano”. Senza la preoccupazione per l’altro da sé, in effetti, avremo il semiologo, il neo-avanguardista, l’esperto di comunicazioni, certamente non quell’“illuminista sgomento” che è il saggista nell’acuta definizione di Massimo Raffaeli.
Il moralista solitario, l’intellettuale intruso, non disdegna mai tuttavia il dialogo, sia nelle forme amichevoli della conversazione (su tutte, quella datata 1988 con Grazia Cherchi, e quella più recente con Matteo Marchesini, il cui valore non è solo nel consuntivo di un’esperienza intellettuale ma anche e soprattutto nell’apertura verso le nuove generazioni), sia in quelle più acri, ma altrettanto schiette e appassionanti della polemica (come quelle che lo opposero a Cataldi e Barilli).
“Epoca della mutazione”, è stata la categoria evocata da Berardinelli per descrivere questi tempi post-postmoderni in cui le teorie hanno alzato bandiera bianca e il sodalizio intellettuale/politica ha rivelato tutta la sua povera fragilità: l’eroe che pensa (Amleto, Alceste, Andrej) non meno del saggista, è consapevole della propria irrilevanza e tuttavia non teme i gesti minoritari: nella sua eccentricità sta la sua forza, perché oggi “impegnarsi vuol dire avere il coraggio dell’irrilevanza” e perché, come ci ha insegnato Wisława Symborska, tanto più bisogna credere in ciò che si fa, quanto più il ruolo pubblico che si esercita è quasi nullo.
 
 
Chiara Fenoglio
 

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