La sartoria di via Chiatamone

A Natale mi è stato regalato questo romanzo e l’ho letto con molto interesse. Ambientato a Napoli negli anni immediatamente prima della seconda guerra mondiale, poi durante la guerra stessa, si narra della vita di una donna, Carolina, che da ragazza impara a cucire fino ad aprire una sua sartoria , elemento centrale della sua vita. Carolina è la protagonista con il suo carattere forte e determinato, ma molto legata alla famiglia. Le vicende sono vivaci e interessanti, e purtroppo lo è anche il racconto dei bombardamenti subìti dalla popolazione civile e delle privazioni derivanti dalla guerra. Il romanzo è scorrevole ed é pieno di umanità e di episodi di solidarietà, fino ad arrivare alla vicenda della ribellione della popolazione verso gli invasori tedeschi, sfociata nelle epiche quattro giornate. Inoltre è stato per me un po' come ritrovarmi a casa, perché i fatti sono ambientati nel quartiere Chiaia, dove sono nata e cresciuta. Nella narrazione i dialoghi sono scritti in lingua “napoletana” e dico lingua perché il napoletano si può considerare come una vera e propria lingua: sono molto simpatici e pittoreschi, ma esprimono appieno ciò che il personaggio intende dire, senza giri di parole. Il libro mi è piaciuto molto e lo consiglio vivamente.

Che donna forte è Carolina, sposa a 35 anni e solo perché innamorata perché fino ad allora aveva pensato a se stessa come libera e indipendente. Quattro figli, si sobbarca la gestione di una famiglia numerosa, affronta la seconda guerra mondiale con la memoria ancora viva della Prima Guerra e affronta il presente pensando sempre a sistemare per sé e per i suoi il futuro. Nulla la abbatte, anche se qualche volta si lascia andare alla malinconia, ma solo quando è ben certa che nessuno possa vederla. Sarta di professione “Veste mezza Napoli e dall’altra metà è copiata” e non rinuncerà mai al suo lavoro perché senza si sente inutile. Donna moderna e avanti rispetto ai tempi , ama smisuratamente suo marito e lo amerà anche dopo la sua morte, ma non evita di “battibeccare” quando vuole far accettare una propria idea. Il tutto in una Napoli viva e sempre bella, anche sotto le bombe, in un romanzo in cui la lingua napoletana la fa da padrona ( quanti ricordi, nella mente mia nonna e il suo modo di parlare, mio padre e le battute in vernacolo) e rende viva l’intera narrazione. Leggendo, ho avuto l’impressione di essere lì, in quel palazzo di Via Chiatamone.

Splendido