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recensione di Concilio, C., L'Indice 1997, n. 5
Sardine: nome comune, femminile, plurale. Come plurale è il coro di voci femminili che si affollano nella scatola-libro, o nel ripostiglio-libro, a seconda dei significati attribuibili al titolo del romanzo - come spiega nell'introduzione la studiosa di letterature anglofone Jacqueline Bardolph. E una volta aperta la scatola o il ripostiglio ci si trova ad addentrarsi in quella grammatica fitta fitta di metafore - come quella ricorrente dei nodi che si formano e si sciolgono e di cui bisogna dipanare i fili seguendo storie più o meno comuni -, nella grammatica, insomma, tipica di Nurrudin Farah, ma forse più tipica dell'oralità islamica in generale e somala in particolare. Chi aveva visto il film iraniano "Il palloncino bianco", promosso da Nanni Moretti, aveva forse provato fastidio quando la piccola protagonista, che aveva smarrito i soldi, per farsi aiutare da un negoziante aveva dovuto ripetergli mille e mille volte, ogni volta ricominciando pazientemente da capo, la propria supplica. Un esempio di questa modalità ripetitiva, di questo ritmo non lento ma rallentato lo si trova anche nel dialogo tra due amiche nel romanzo: "Come farai? Hai i soldi, i biglietti?". "Ho in progetto di vincere il campionato nazionale di nuoto, unirmi alla squadra e poi defezionare". "E se vincessero Cadar o Hindiya?". "In tal caso affiderò la mia protesta ai muri dell'alba di Mogadiscio". "Ma come farai?". "Te l'ho appena detto e questa volta faccio sul serio". "Dal momento che non lo ricordo temo dovrai ripetermelo".
Ciò che Sagal deve ripetere all'amica è come farà a realizzare il proprio sogno di evasione da quella scatola di sardine che è la Somalia sotto la dittatura del Generalissimo, perché una volta viveva una donna di nome Beydan, la quale fece un sogno di cui non era la protagonista e per questo morì. Le donne nel romanzo di Farah sono audaci, fanno sogni di cui sono le protagoniste a rischio di restarne sconfitte. Il sogno di Medina, bandita dal giornale che dirigeva per aver usato toni apertamente antigovernativi, era di proteggere sua figlia dalle bugie di regime impartite a scuola e dalle pratiche tradizionali della circoncisione. Sagal poteva "nuotare" fuori dalla Somalia per vivere in Europa, oppure scrivere slogan contro il dittatore sui muri di Mogadiscio. Al contrario, il sogno miope di Sandra di una rivoluzione socialista inAfrica si infrange di fronte a una pratica politica dittatoriale di cui lei, intellettuale italiana, non sa cogliere le contraddizioni. Se Sandra rappresenta la figura dell'intellettuale che crede di parlare per e in nome dei somali, Medina da un lato e Dulman dall'altro, l'una impegnata nella traduzione di una favola dell'autore nigeriano Chinua Achebe in somalo affinché sua figlia possa leggerla, e l'altra impegnata a diffondere canzoni sovversive affinché quella forma di oralità porti un messaggio di protesta ai molti somali analfabeti, impersonano figure di intellettuali che parlano alla gente. La velleità di questo progetto viene tuttavia messa a nudo da Samater, il marito di Medina che per un breve periodo è stato connivente con il potere: "Siamo noi, i cosiddetti intellettuali, i veri traditori. Siamo noi a mantenere al potere i dittatori". A questo proposito va ricordato che "Sardine" è il secondo volume di una trilogia dal titolo "Variazioni sul tema di una dittatura africana", di cui sono già stati pubblicati nella stessa collana gli altri volumi: "Latte agrodolce" (1993) e "Chiuditi Sesamo" (1992), e che Nurrudin Farah vive in esilio dal 1976, inviso al regime a causa dei suoi scritti. Questo dimostra come il ruolo dell'artista e della scrittura in relazione al potere politico sia centrale in Africa, e il discorso di Farah non è infatti circoscritto alla Somalia.
Questo romanzo tuttavia dice molto anche sulla società somala, sulle sfumature di classe, religione e clan e sulle rigide gerarchie familiari che regolano le relazioni tra gli individui (a questo proposito si può leggere un interessante studio antropologico nel volume "Luoghi d'Africa", a cura di Pier Giorgio Solinas, Nis, 1995). Quella somala è infatti una società patriarcale in cui le donne godono di apparente libertà e potere decisionale - così accade alle protagoniste del romanzo: a loro è affidata la tutela della tradizione; ma a loro è spesso negata la dignità. Lo stupro, la circoncisione o una schiavitù lussuosa minano i rapporti umani in un clima politico di reciproca diffidenza, spionaggio e tradimenti. Medina, come le altre donne, si sente "ospite" di una cultura, di una società e di una politica che esclude e mutila le donne, finché non trova una stanza tutta per sé capace però di contenere storie più o meno comuni di ribellioni, femminili e maschili, plurali.
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