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Descrizione


Bandini impiega il dialetto vicentino, il latino o un nitido italiano di ascendenze colte. Evoca figure che appartengono a quella provincia italiana sopravvissuta quasi intatta a tutti i mutamenti, compresa la rivoluzione industriale.
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Dettagli

1994
126 p., ill.
9788811630159

Voce della critica


recensione di D'Elia, G., L'Indice 1995, n. 2

"Papà come spaccavi / l'anguria in due / con un colpo secco del tuo coltellaccio / non c'è più nessuno. // D'estate sotto la lampada / col succo che allagava la tavola. / Come dividevi la vita / tra male e bene / non c'è più nessuno. // Com'eri giusto a fare le parti / tra tutti noi / con un colpo secco del tuo coltellaccio / non c'è più nessuno. // Come ridevi e sputavi i semi / come ti liberavi di crucci e sconfitte / godendo solo del dolce / non c'è più nessuno".
Sono versi di Fernando Bandini, versi del 1964, tratti dalla raccolta "Per partito preso". L'aria brusca da cronaca parentale che vi si respira richiama una linea precisa della poesia italiana del Novecento, quella del significato espresso ed esplicito che ha in Sbarbaro e Saba i suoi campioni antisimbolisti, quotidiani, del rasoterra stilistico, dell'economia morale, del dissidio io-mondo e dell'indagine psicologica; e, in ultimo, della contaminazione tra frase e verso, prosa e poesia. Questi nuclei sono presenti fin dalle prime prove di Bandini, che esordisce come poeta nel 1963 ("In modo lampante"), per arrivare dalle plaquettes al libro nel 1969, pubblicando a trentotto anni un volume denso e affabile come "Memoria del futuro", che esce nella collezione dello Specchio di Mondadori, al tempo curata da Vittorio Sereni.
Quest'ultimo libro "Santi di Dicembre" viene a quindici anni di distanza dalla seconda opera di Bandini, "La mantide e la città" sempre da Mondadori nel 1979. Tre libri in trent'anni, che dimostrano un atteggiamento di sedimentazione della parola poetica, un risparmio stilistico in vista di una sintesi ulteriore. Eppure, la prima contraddizione di fronte alla quale si trova il lettore è proprio l'urgenza della comunicazione che Bandini impone a ogni verso, anche utilizzando la forma del diario e di una seconda persona infrasoggettiva, nel colloquio con la propria coscienza ("In modo lampante", 1959-61).
La città, la città di provincia, Vicenza, diventa così lo sfondo di una vicenda personale e collettiva, con una passione politica dichiarata e guardinga, un esame dell'ideologia in corso, da un punto di osservazione appartato, e perciò libero e consapevole della comune alienazione nazionale, civile: "Io qui nella mia piccola città / tasto lo stesso polso che ci dice / che il paese ha la febbre". Un'icasticità brechtiana, gnomica.
Sono ancora versi presi da "Memoria del futuro", libro della disillusione critica della prima età, come pochi altri importante nella poesia degli anni sessanta, da mettere accanto a "La vita in versi" di Giudici. L'impegno d'attenzione al presente, la proiezione utopica e illuministica, l'ironia distanziante dai propri materiali, ottenuta tramite l'affidamento a una metrica di fatti e di forme liberamente chiuse, riescono a darci uno dei canzonieri della gioventù più solidi della lirica contemporanea, aperto a un'innovazione più di derivazione surrealista (Èluard) che simbolista, tra il riuso concreto del verso tradizionale e la novità del verso lungo e prosastico, attentissimo alla musica sintattica dell'ipermetro.
Rileggendo "Memoria del futuro" e "La mantide e la citta", si coglie ancora meglio la linea di continuità della poesia di Bandini, che si offre come regesto generazionale di un'urgenza politica e di una sedimentazione formale, arteria e vena di uno stesso ossimoro: sì al futuro da dentro il no al presente, ma difendendo la presenza da ogni invalidazione metafisica: "E non c'indurre nella tentazione / di rinunciare a vivere / per paura dell'eternità", come si legge nell'autobiografia d'infanzia e d'epoca che occupa il doppio cuore del poemetto "Il ritorno della cometa". Perché doppio cuore? Perché le endiadi "storia e natura, epoca e individuo, passione e esame", stanno al centro del pensiero poetico dell'autore, capace di abbassare il tono e di comunicare il suo percorso: di esitazione, di fiducia, di rendiconto esistenziale e infine morale, intorno al tema del conflitto (cristiano e marxiano) tra bene e male.
Vita interiore e vita di relazione si mostrano dunque in continuo dialogo, in una sorta di poetica dell'impoetico che accomuna Bandini al realismo critico e allegorico più che allo sperimentalismo combinatorio della neoavanguardia (di qui forse anche lo schiacciamento della sua immagine di poeta, che esordisce proprio negli anni della codificazione avanguardistica, pagando il frastuono intorno con una resistenza che invece giustamente riaffiora oggi e dice che questa è un'opera con cui fare i conti).
Un altro dato che colpisce in "Santi di Dicembre" è la ricchezza di modi poetici che si completano, di stili e di lingue che si rispondono. Così, il carme in latino, di cui Bandini è maestro (anche premiato più volte alle gare di poesia neolatina di Amsterdam), può offrire il titolo al libro per la perfezione di una distanza favolistica, augurale, dando corda a un'allegoria dell'attesa nell'inverno ideologico che unisce di nuovo sacro e umano, come in passato storia e natura, tenebra e speranza. Un illuminismo che non disdegna lo spirito religioso delle origini. Una lingua da traduzione, che ritorna nelle poesie in veneto rustico, dove il dialetto come "lingua morta" evidenzia l'alone originario e atemporale dell'infanzia, e cioè il nucleo tematico della poesia di Bandini. E poi un ritorno del canto, della rima semplice e funzionale al racconto, alla esposizione di una media misura da canzone breve leopardiana, dove l'argomentazione s'incarna nel paesaggio.
Il verso tradizionale o ipermetro, impiegato con scioltezza nell'ultima "Canzone" della raccolta, riassume l'atteggiamento classico e la sapienza metrica di Bandini, confermando il suo "romanzo psicologico" come indagine tesa a rintracciare nel caso singolo una trama generale, come un'antropologia dell'infanzia e dell'illusione, affidata alla parola poetica più inerme e comune, creaturale.
E creature della natura vegetale e animale, allegorie della sopravvivenza all'urbanizzazione selvaggia del pianeta, sono i correlativi oggettivi (insieme ai più comuni oggetti della contemporaneità urbana e abitativa) della poesia di Bandini, che ha nei suoi versi una predilezione per gli eventi d'acqua, tanto da aprire la seconda raccolta con un temporale di primavera, e da chiudere quest'ultima con un verso che rivela la sua metafora ossessiva e atmosferica dell'arsura sentimentale e della burrasca storica; con l'invito alla "Canzone", come nelle antiche clausole compositive, a conservare la memoria naturale e umana della presenza e del conflitto: "quello che resta del secolo e dei tuoni" (dodecasillabo in rima baciata con l'ornitologico e pascoliano "codirossoni"). Resta da dire che il cortocircuito tra antico e modernissimo passa dai materiali alle tesi, dalla convivenza plurilinguistica alla convivenza tematica: di dèi precristiani e di jet, di torri d'aeroporto e di santa Lucia che esorcizzi l'inverno ideologico. E così nello stile, che compendia classicismo e innovazione.
L'ultima impressione è quella di una poesia che vuole il lettore, anche il lettore giovane e nuovo, per fargli cogliere insieme la critica del presente e la speranza, quell'ultimo spicchio di sole che baudelairianamente segna l'esattezza della pronuncia, la confidenza del non ancora previsto, l'eco di un'acustica morale e straniante, che può ricordare l'eresia della semplicità e della durata narrativa, della freschezza sensibile e dell'ispirazione a un tempo classica e surrealista di certa poesia russa del Novecento. Leggendo "Santi di Dicembre", insieme alla suggestione della linea antisimbolista italiana sempre più centrale in questo scorcio di secolo, sembra infatti di leggere anche una lingua poetica che ha fatto di sé stessa una lingua da traduzione, esatta e postuma, incisiva e orizzontale al proprio tempo, a opera del più pasternakiano dei poeti italiani della penultima generazione.

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Conosci l'autore

Fernando Bandini

(Vicenza 1931-2013) poeta italiano. I suoi versi, di asciutta pronuncia, esprimono una risentita attenzione al divenire, all’inquieto configurarsi del nostro tempo: Memoria del futuro (1969), La mantide e la città (1979), Il ritorno della cometa (1985), Santi di dicembre (1994), Meridiano di Greenwich (1998), Dietro i cancelli e altrove (2007).

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