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[...] Nel suo romanzo, originale non solo per la tematica, ma per le novità letterarie introdotte sia nel linguaggio, sia nell'impostazione del testo (digressioni politiche, note a piè di pagina, ecc), Rawicz rende omaggio alla memoria degli ebrei sacrificati e all'umanità nei suoi molteplici soggetti, spettatori e interpreti di una tragedia universale [..]. (Olocausto, di Lorenza Cutugno, ne "L'incontro", n. 2, feb. 2007, p. 2)
Recensioni
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Pubblicato in Francia nel 1961, Le sang du ciel di Piotr Rawicz, autore ucraino di origine ebraica scampato alla prigionia di Auschwitz, diviene un caso letterario e suscita reazioni controverse. Riconosciuto come primo romanzo della Shoah, sfida il silenzio che l'enormità dello sterminio sembra ingiungere e afferma il legittimo intervento della letteratura e dell'arte in un campo non esaurito dalle testimonianze e dalle cronache. La vicenda di Boris, giovane ebreo ucraino nobile e ricco, biondo e dagli occhi chiari, che si finge ariano per sottrarsi all'annientamento, si condensa in tre fasi: la distruzione del ghetto; la lunga, disperata fuga con l'amata Noemi; la cattura e l'incredibile epilogo della sopravvivenza, che salva il corpo ma non l'anima. La narrazione è tessuta da un intreccio di voci (quella di Boris, quella dell'interlocutore che raccoglie il suo racconto e si propone di farvi ordine, quella dei personaggi che parlano attraverso i ricordi del protagonista) e si presenta in una varietà di stili e generi che sottraggono al lettore l'illusione di un senso e frustrano la ricerca di una chiave di lettura chiara e definitiva; la frammentarietà è la cifra ostentata del ricordo di Boris e della narrazione che ne scaturisce. La fiducia nella capacità della letteratura di raccontare l'indicibile non nasconde i limiti e le difficoltà di un linguaggio spesso orfano delle parole giuste, che si serve della forza evocativa della metafora e delle comparazioni per suggerire ciò che non può essere descritto, componendo una serie di immagini ricorrenti, come quella del sangue che tinge il cielo e il mondo e quella del corpo del protagonista in cui è iscritto, attraverso la circoncisione, il segno di un'appartenenza e di un'identità di ebreo e di vittima solo apparentemente tangibili, innegabili e confortanti.
Cecilia Morelli
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