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Samuel Beckett. Nel buio di un teatro accecante di Giancarlo Cauteruccio, è l’ennesimo gioiellino della collana Sorbonne edita da Clichy. Mi fa sorridere che questa lettura sia venuta dopo aver letto Jon Fosse, Premio Nobel per la Letteratura 2023. Ci ho trovato in elementi degli elementi in comune, dei tratti condivisi. Un libro che in maniera semplice, ma puntuale ti fa entrare nella vita di uno dei rappresentanti del teatro dell’assurdo che pure si aggiudicò il Nobel nel 1969: «per la sua scrittura, che – nelle nuove forme per il romanzo ed il dramma – nell'abbandono dell'uomo moderno acquista la sua altezza». «Questa sua necessità di ampliamento, se si analizza la sequenza dei suoi testi teatrali, evidenzia un aspetto molto particolare. Beckett inizia il suo viaggio teatrale con Aspettando Godot, nel quale mette in scena cinque interpreti. Continua con finale di partita, con quattro interpreti. In giorni felici gli interpreti si riducono a due. Con Krapp il personaggio diventa uno. In atto senza parole resta il corpo privato della parola e in Non io soltanto una bocca, una pura epifania vocale. In Compagnia, infine, il corpo scompare e resta solo la voce. E’ come se Beckett, dopo tanto vagare, abbia avuto la necessità di tornare al punto di partenza. Come se avesse voluto toccare con mano che ogni tentativo di dialogo, di relazione, di confronto è vano. […] Tutto il teatro di Beckett potrebbe essere inteso come una partita che non conduce mai alla fine, un gioco continuo, pur intriso di detriti, di frammenti, di corpi devastati e di pensieri sempre alla deriva che appaiono privi di senso. Ma è proprio nel loro sprofondare nel nulla, nel loro vagare nel vuoto che impregnano prepotentemente la scena». «Non c’è niente di più comico dell’infelicità». «Ho provato. Ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio».
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