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Dopo l'uscita nelle sale del film Segreti di Stato , l'interesse per la figura di Salvatore Giuliano si è rinverdito. La vicenda del brigante siciliano appare davvero, oggi più che mai, la cartina di tornasole per comprendere un cruciale momento di transizione politica nella storia italiana così come venne vissuto in alcune fra le aree meno avanzate del Meridione. Ex direttore dell'"Ora", studioso di mafia, Vasile ricostruisce, con linguaggio vivo e popolaresco, l'aggrovigliata storia di un uomo che venne epicamente soprannominato ora "Turiddu il bandito", ora "il Robin Hood di Montelepre", ma che finì ben presto nelle mani di pupari in grado di pilotarlo nei modi più svariati a fini politici. In piena Guerra fredda, egli fu così, per certuni, un cuneo da insinuare utilmente nella complessa situazione siciliana, soprattutto dopo il '45, quando l'aristocrazia reazionaria e separatista, la mafia, e il mondo banditesco, davano luogo a incontrollabili cortocircuiti antidemocratici. Su questa falsariga, Vasile arriva a ipotizzare l'esistenza di un suggeritore dietro agli appelli anticomunisti del fuorilegge, il quale dopo la guerra imparò, non si sa come, a scrivere in un italiano quasi accettabile, esibendo addirittura qualche nozione d'inglese. Fu così che Giuliano chiese direttamente a Truman di accogliere la Sicilia negli Stati Uniti per restituirle la perduta dignità. Ma morì già nel 1950, in circostanze che non è esagerato definire misteriose ("dopo una strana vita", commenta l'autore, riferendosi alla famosa messinscena finale, a uso fotografico, del bandito a terra nel cortile di casa De Maria, egli aveva avuto "una strana morte"). Il libro si chiude con un severo atto d'accusa contro la Dc per l'insabbiamento dell'inchiesta su quell'assassinio.
Daniele Rocca
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