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Dopo alcuni tentativi di miscelare commedia e noir, Benacquista raggiunge in questo libro il meglio della sua opera. Abbandonate (per il momento) le ambientazioni drammatiche, la trama racconta di quattro sceneggiatori falliti che sono riuniti insieme dalla rete pubblica francese per scrivere la storia di una fiction che deve rientrare nella percentuale da dedicare alla produzione nazionale; da qui, libero sfogo alla follia di ognuno. Ma anche se gli spunti per un libro farsesco sono molti, e talvolta esilaranti (l'introduzione dei quattro protagonisti vale da sola il libro), Benacquista cerca di mantenere sottotraccia una tensione costante, che riesce a conservare per 360 pagine nonostante il dichiarato disimpegno e alcune lungaggini di troppo. Forse è proprio questa volontà di non sconfinare volutamente nel comico ad avere impedito maggior fortuna nel nostro paese a questo valido scrittore.
un libro che non ci si stanca mai di leggere e rileggere, anche se il finale non è all'altezza del resto (ma glielo perdoniamo!)
Il trionfo della creatività e del “divertissement” più puro ed intelligente. Benacquista è un genietto, che maneggia con sapienza l’ironia divertendo senza mai travalicare il limite del buon gusto e della comprensibilità. Un finale un po’ sfilacciato (ma non era certo facile chiudere la storia!!) e non all’altezza della strepitosa parte centrale, impedisce di considerare “Saga” un piccolo, strepitoso capolavoro. Comunque da non perdere.
Recensioni
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recensione di Bongiovanni, C., L'Indice 1998, n. 9
"A parte Dio e gli sceneggiatori, conoscete qualcun altro che forgia destini?", chiede Louis, uno dei protagonisti di "Saga", ai suoi tre compagni di ventura. Perché Louis il vecchio, Mathilde la romantica, Jerôme il sanguinario e il silenzioso Marco sono proprio sceneggiatori, temibili parche dell'inconscio collettivo, costretti per contratto a intessere e recidere i fili che tengono in vita decine di personaggi. Sono, per l'esattezza, i più sfigati e squattrinati sceneggiatori di Parigi. "Fate una cosa qualunque, assolutamente qualunque cosa, purché costi il meno possibile", è stato l'unico ordine del direttore di produzione. Che effetto farà la libertà più sfrenata, l'immaginazione al potere nella profonda notte televisiva? Un effetto dirompente. Filosofe depresse in preda ad apocalittiche manie suicide, creature selvagge e affamate di sesso, un inventore pazzo capace di sconfiggere la fame nel mondo, un terrorista kafkiano e persino lo sceneggiatore degli sceneggiatori, Dio in persona, sul piccolo schermo. I quattro vanno avanti, completamente dimentichi del pubblico, finché accade l'imprevedibile: lo sceneggiato - anzi la Saga - ha successo, diventa un oggetto di culto, e il direttore di produzione decide di spostarlo in prima serata. Anche la Saga però, come ogni bel gioco, è destinata a finire, e per i nuovi idoli delle masse, gli ideatori del miraggio collettivo, il gioco si fa duro, ora possono realizzare i loro sogni o restarne vittime.
L'ultima parte del libro, quella che si svolge dopo la fine della Saga, è certo la meno riuscita. Benacquista non riesce a mantenere il ritmo indiavolato della finzione televisiva; i protagonisti del romanzo, privati dei loro alter ego catodici, sembrano appiattirsi in una serie di peripezie inconcludenti che raggiungono l'apice nell'Italietta di maniera dove Louis, il vecchio, si rifugia per partecipare all'ultima fatica del suo idolo, il Maestro (forse Fellini).
Un romanzo diseguale quindi, con una scrittura che si mantiene vivida e tesa per i primi tre quarti, franando verso la fine in un vischioso sentimentalismo. Un romanzo però che colpisce il bersaglio: trasformare in letteratura le immagini televisive e rendere televisiva la parola scritta. "Io sono stato quel ragazzino che diventa bruscamente adulto semplicemente cambiando canale", dichiara il narratore; la televisione come baby sitter dunque, non più scatola castrante che imprigiona i bambini in pochi pollici di spazio, ma affettuosa narratrice di storie infinite che si susseguono da un canale all'altro in uno zapping vertiginoso. Come suggerisce l'esergo di" Saga" tratto da Vargas Llosa, ai radiodrammi di "La zia Julia e lo scribacchino" Benacquista sostituisce "l'azzurro crepitante dello schermo": una finzione al quadrato, personaggi ed eventi distorti ed esagerati all'interno di uno spazio protetto, una cornice virtuale che permette allo scrittore di disseminare un intreccio tradizionale di oasi di assurdo.
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