Ruta Tannenbaum

La scrittura di Jergović non è scorrevolissima, d'accordo, ma ha quel sapore balcanico, che una volta gustato, crea una sorta di dipendenza. Tre anni ho aspettato - dall'ultimo suo letto (Freelander) - che pubblicasse qualcosa, magari di nuovo, e invece il buon bosniaco sembra permanere in uno stato di quiescenza letteraria. In verità, lui non ha mai smesso di scrivere, sono gli editori italiani che hanno perso l'interesse; tutti tranne due: 'Bottega Errante Edizioni' (Il padre), e 'Nutrimenti' che, per fortuna, traduce e pubblica la storia di questa bimba che sembra saltata fuori da un quadro di Margaret Keane. Scritta ancora nel 2006, l'aspro Jergović, a cui però non manca l'ironia, ne tesse la trama - ricca di tante storie - come la tela un ragno, nutrendomi nuovamente della sua prosa densa e pastosa, ma brillante e poetica. «Ruta aveva accettato tutto ciò pur di uscire al sole a respirare l’aria che sapeva di primavera, cacche di cane, corteccia marcia degli alberi, fumo di carbone, patate al forno, neve sciolta, panni bagnati, urina, mattoni, terra rancida, cipolle avariate, asfalto, zucchero candito, mele, teli incerati, pelle di pecora, polvere da sparo, mantelle di gomma, cavoli sotto sale e chissà cos’altro ancora.»