Romola

Inizia tutto nella bottega di Nello, il barbiere filosofo che tutti ospita nel suo ritrovo dello spirito: "La mia eloquenza è semplicemente la panna che secerno dai discorsi dei miei clienti". Il cui sciame di nomi non tarderà a mostrarsi fra le mille sponde che aprirà la vicenda: Marsilio Ficino, Sandro Botticelli, Poliziano, Piero di Cosimo. E' la Firenze capitale della gloria mondiale, centro e respiro dell'unicità italiana, genitrice d'impronta immortale. Fra le sue strette vie si danno feste e grida, risse e invocazioni, le acutezze di Macchiavelli e il grido di Savonarola. Un giorno appare un farabutto di bella presenza, colto, arrivista, un letterato carico di talento; sarà lui che incrocerà il destino di Romola, la protagonista, ennesima stupenda creatura uscita dal genio della Eliot, caparbia e dolce, fedele e realista. Qualcosa di malsano, di colpevole, aleggia in Tito, le ali sporche di un passato recente. E proprio quelle saranno a ridare il volo al busto della verità, attraverso indagini e incontri che daranno all'inatteso il suo giusto approdo: "Ma le nostre azioni sono come i figli che mettiamo al mondo; vivono e agiscono indipendentemente dalla nostra volontà. Anzi, i figli si possono strangolare, le azioni mai: hanno una vita indistruttibile dentro e fuori la nostra coscienza". Appena un soffio nel mare di riflessioni che domina ogni rigo, appena mezza linea in questa febbre digressiva: "Perché la verità non è altro che un indovinello ce l'intelligenza e gli occhi devono risolvere, e se la lingua lo rivelasse rovinerebbe il gioco". Dunque esorto al viaggio e a una contentezza certa, esorto ad accarezzare le mani che hanno ideato codesto capolavoro e a ringraziarle con vera riconoscenza. Attenti solo a una cosa, ai "Messeri dal sorriso facile" e al cattivo miele venduto a prezzi folli. Fidatevi di George Eliot, Mater soave che non sbaglia un rigo.