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Rivoluzione conservatrice in Italia - Marcello Veneziani - copertina
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Rivoluzione conservatrice in Italia - Marcello Veneziani - copertina

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1996
25 aprile 1996
317 p., Brossura
9788871983110

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Oceano
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Un'eccellente lettura, ricca di spunti interessanti e senz'altro piuttosto scomoda per molti (vero Coniglione?)

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recensione di Coniglione, F., L'Indice 1995, n. 1

La composizione di idee tra loto collidenti in sintesi fragili e precarie è di solito vista come la caratteristica negativa del pensiero italiano: sincretismo che spesso sfocia nella confusione mentale. Invece per Marcello Veneziani - direttore de "L'Italia settimanale" e autorevole editorialista de "Il Giornale" - ciò costituirebbe il tratto nobile e distintivo dell'ideologia italiana che specifica anche la tipologia di quella "rivoluzione conservatrice" che dovrebbe costituire l'elemento più genuinamente nazionale della nostra storia politica e culturale.
E così, nel tentativo di ritrovare in Italia l'analogo della 'konservative Revolution', che costituì il brodo di coltura del nazismo, Veneziani si cimenta in un'audace ricostruzione dell'ideologia italiana. La nostrana rivoluzione conservatrice viene vista come la confluenza tra l'eredità risorgimentale e il tentativo di superare il socialismo in nome della modernità, sì che il problema nazionale viene a trasformarsi in problema sociale e quello sociale in problema nazionale. E considerato che la rivoluzione conservatrice "nel suo tratto specifico è un ossimoro generato e generatore di ossimori", si è legittimati ad accorpare pensatori e politici assai diversi tra di loro in modo da far emergere quei tratti di originalità che costituirebbero l'ideologia italiana; e ciascuno di essi viene valorizzato per qualche aspetto, catturato in qualche sua frase significativa, individuato per concetti che possono essere esattamente agli antipodi di quelli di un altro.
Ma il senso più proprio di tale ideologia italiana emerge nella sua contrapposizione a quell'altra "linea" incarnata dall'"ideologia piemontese" e che si caratterizza per le sue radici illuministiche e scientistiche, per la sua visione laica e immanentista della storia, per la sua politica antifascista ed europeista; insomma per essere l'erede e la massima rappresentante di quella concezione liberaldemocratica della politica e della società che è stata propria, per fare dei nomi, di Cavour, Giolitti, Luigi Einaudi (e non Giulio, come afferma Veneziani) e Bobbio; e per trovare nei grandi gruppi industriali come la Fiat di Giovanni Agnelli la sua mano operativa, tesa alla colonizzazione economica del sud e all'egemonia della cultura (con l'editrice Einaudi di Torino). La polemica del Polo delle Libertà verso i gruppi industrial-finanziari ed editoriali facenti capo ad Agnelli e De Benedetti ha ora anche una sua giustificazione sul piano della filosofia della storia. A tale "piemontesizzazione" si oppone l'"ideologia italiana e mediterranea del fascismo" con la ripresa della tradizione romana, l'integrazione del Meridione nell'Italia, la politica di espansione verso l'Africa, l'attenzione verso la vocazione rurale e marittima, il realismo spiritualistico.
È appunto il fascismo a rappresentare l'incarnazione dell'ideologia italiana e l'espressione più autentica della rivoluzione conservatrice, nella quale si manifesta la vera identità della nostra patria. Il fascismo, al solito, vuole comporre gli opposti. E infatti il fascismo è "un regime di partecipazione allargata e di decisione accentrata": decisione in mano a pochi (i trascinatori, i comandanti) e partecipazione per i molti, intesa come coralità accesa dal mito nella sua funzione morale e aggregante. Un fascismo perennemente eretico, animato da personaggi in continua e inquieta polemica contro le sue insufficienze (basti citare il caso di Berto Ricci) e tesi perennemente alla conciliazione degli opposti. E se il fascismo fu illibertario, ciò avvenne in quanto accelerò il processo di democratizzazione del paese nel tentativo di integrare ed elevare le masse nella vita politica e civile, sì che si può affermare che "i tratti illibertari del fascismo sembrano provenire più dalla sua vocazione 'nazional-popolare', più dalla sua anima 'di sinistra', che dal recupero fascista di una certa tradizione autoritaria, di 'destra'". Insomma, se il fascismo fu una dittatura, ciò lo si deve ai residui tratti socialisti che in esso permanevano! Risultati senza dubbio alquanto originali, che possono essere intesi solo alla luce del particolare metodo storiografico da lui utilizzato e la cui origine è facilmente rintracciabile quando si constati che in fin dei conti Veneziani è un evoliano. A Julius Evola egli ha infatti dedicato la sua prima monografia ("Julius Evola tra filosofia e tradizione", Ciarrapico, Roma 1984) e di questo autore condivide le linee interpretative di fondo, le categorie culturali che corrono lungo tutto il volume. Da esso si distingue solo perché ne rifiuta il pessimismo circa la possibilità di un intervento attivo per "rettificare" la decadenza alla quale per Evola è ormai irreparabilmente avviato il mondo moderno. Veneziani non ne accetta la diagnosi sull'impossibilità di impedire la "fine di un ciclo", di invertire il corso della storia per restaurare la Tradizione primordiale, la cui rinascita potrà avvenire, semmai, quando si sia concluso il ciclo dell'"età oscura" nel quale viviamo e la cui fine, paradossalmente, può anche essere al limite accelerata da quell'uomo "differenziato" che vive alla luce della Tradizione.
Ma Veneziani è un evoliano soprattutto nel metodo con cui conduce le sue indagini storiografiche; Evola, infatti, afferma che "il cosiddetto punto di vista 'scientifico' o 'positivo' con le sue varie e vane pretese di competenza e di monopolio, noi, nel migliore dei casi lo consideriamo più o meno come quello dell'ignoranza" (Julius Evola, "Rivolta contro il mondo moderno", 3a ed., Mediterranee, Roma 1969, p. 11). Infatti, a Veneziani non interessa la ricostruzione del complesso intreccio - fatto di idee e movimenti, ideologie e movimenti reali - che spiega le caratteristiche di fondo della storia italiana; coerentemente con i caratteri dell'ideologia italiana, egli vuole creare un nuovo mito, quello dell'esistenza in Italia di una rivoluzione conservatrice che sia l'analogo di quella tedesca. Ancora una volta è l'insegnamento evoliano a venir seguito: "mentre dal punto di vista della 'scienza' si dà valore al mito per quel che esso può fornire di storia, dal nostro, si dà invece valore alla stessa storia per quel che essa può fornire di mito, o per quei miti che si insinuano nelle sue trame, quali integrazioni di 'senso' della storia stessa" (ibid., p. 12). E allo scopo di costruire un nuovo mito non si perita di accorpare gli elementi più disparati, appunto operando quelle "integrazioni di senso" di cui parla Evola; a tale scopo smussa distinzioni fondamentali, mette insieme eventi e concetti temporalmente o spazialmente assai lontani, valorizza espressioni per lo più metaforiche fino a farle diventare vere e proprie teorie filosofico-politiche, con ciò creando un ircocervo nel quale è possibile tutto rinvenire.
Non solo, ma non esita ad attribuire ai vari eroi della sua storia affermazioni mai fatte oppure a distorcere il significato di quanto detto. Così, ad esempio, per accreditare a Gentile la riscoperta della nazione e l'attenzione al socialismo, gli fa riconoscere che "i socialisti rappresentano la parte più energica e operativa - più radicale - della società, la quale deve avviarsi al comunismo per risolvere le contraddizioni che la travagliano". Ma con tale affermazione Gentile espone non il proprio pensiero, ma quello dei socialisti da lui criticati (si veda "La filosofia di Marx", in "Opere filosofiche", Garzanti, Milano 1991, p. 187). Oppure, per accreditare la benevolenza da Mussolini nutrita verso gli "eretici", si afferma che autorizzò Evola a pubblicare la sua "Sintesi di dottrina della razza" come "Sintesi fascista"; è un duplice falso: in primo luogo l'opera di Evola cui Veneziani si riferisce (pubblicata a Milano nel 1941 da Hoepli) non si intitola affatto "Sintesi fascista di dottrina della razza" ma più semplicemente "Sintesi di dottrina della razza"; in secondo luogo perché Mussolini elogiò tale testo dopo la sua pubblicazione e per nulla lo "autorizzò" (di ciò ci informa lo stesso Evola in "Il Cammino del Cinabro", Scheiwiller, Milano 1963, p. 169). Inoltre, nel tentativo di urbanizzare un pensatore così eterodosso come Evola, sideralmente lontano dall'ideologia italiana, Veneziani non solo evita di esporne il pensiero e di indicare quali siano i caratteri della Tradizione a cui esso si richiama, ma per, difenderlo da interpretazioni ritenute erronee si decontestualizzano episodi della sua vita, dando loro un senso del tutto diverso da quello loro attribuito dallo stesso autore (e non certo per ignoranza). Ancora, per cercare di stabilire quanto più è possibile una continuità tra le ideologie antifasciste e il fascismo eretico, che in esse si è trasmutato e rigenerato, e supportare la tesi che non è possibile un antifascismo che non sia anche erede del fascismo (per cui la Democrazia cristiana si pone nella linea della continuità col fascismo-regime e il partito-Stato mentre il Partito comunista procedette nel solco del fascismo-movimento e del partito-mobilitazione) Veneziani invoca l'autorità di Bobbio. All'illustre studioso "piemontese" attribuisce la tesi che "l'antifascismo avrebbe potuto superare il fascismo solo coniugando liberalismo e socialismo", come ha cercato di fare l'azionismo, che pertanto sarebbe l'unica ideologia antifascista, ma il cui fallimento "dovrebbe indurre a significative riflessioni sulla 'percorribilità' di questa strada e sul mancato superamento del fascismo da parte dell'antifascismo". Peccato che l'autorità invocata non abbia voluto affatto sostenere ciò che gli viene attribuito, in quanto tale tesi non è di Bobbio, ma degli azionisti dei quali egli espone semplicemente il pensiero (vedi "Profilo ideologico" del '900, Garzanti, Milano 1990, pp. 182-83).
Non ho portato che alcuni esempi, quelli che ho potuto controllare senza difficoltà disponendo delle fonti. Ma ciò basta a gettare un'ombra su un'opera che sembra avere più il carattere di un manifesto mitopoietico che quello di un'analisi e ricostruzione attendibile, di un mito politico che può anche essere utile, a cinque anni dalla sua prima stesura e dopo la vittoria delle destre, a riempire di inebriante vino le vuote botti ideologiche del berlusconismo e a correggere nel senso della rivoluzione conservatrice e del populismo fondamentalista le aberrazioni liberaldemocratiche dell'attuale maggioranza. Almeno è questo ciò che auspica Veneziani nel capitolo dedicato alla "nuova rivoluzione conservatrice", scritto a caldo per la nuova edizione dopo la vittoria elettorale del Polo delle Libertà.

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Conosci l'autore

Marcello Veneziani

1955

Marcello Veneziani è uno scrittore italiano che ha dedicato all’Italia molte sue opere, articoli, mostre e convegni. Ha fondato e diretto riviste e scritto su varie testate, da «il Giornale» a «Libero», dal «Corriere della Sera» a «la Repubblica» e «il Messaggero». Al «Giornale» fu chiamato da Indro Montanelli e poi da Vittorio Feltri. Tra i suoi ultimi saggi: Anima e corpo (Mondadori, 2014), Ritorno al Sud (Mondadori, 2014), Un'ora d'aria. Sessanta racconti minuti (Avagliano, 2015), Lettera agli italiani. Per quelli che vogliono farla finita con questo paese (Marsilio, 2015), Alla luce del mito (Marsilio, 2017), Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti (Marsilio...

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