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Dettagli

1992
12 ottobre 1992
XLVI-376 p.
9788833905273

Voce della critica


recensione di Zamagni, S., L'Indice 1993, n. 1

Il volume raccoglie alcuni dei più significativi saggi scritti da Amartya Sen intorno al tema dello sviluppo umano su un arco di tempo che va dal 1966 - anno di pubblicazione dei primi due lavori, "Contadini e dualismo" e "Allocazione del lavoro e impresa cooperativa" - al 1984, data di uscita della raccolta nell'edizione originale per i tipi della Blackwell di Oxford. Conviene subito osservare che i rimanenti dieci saggi si riferiscono tutti al quinquennio 1979-84, mentre l'edizione inglese includeva cinque saggi, scritti da Sen nel quindicennio intermedio (su argomenti che riguardano la teoria del capitale e la scelta delle tecniche in contesti intertemporali). Ciò corrisponde a una linea precisa - che chi scrive condivide - da parte dei curatori dell'edizione italiana; la scelta cioè di focalizzare l'attenzione sul grande tema dell'intera opera scientifica di Sen: la proposizione di un nuovo e radicale approccio al discorso morale in economia, un approccio centrato su quella che propongo di chiamare l'"etica delle capacità".
Mi occuperò di presentare i punti qualificanti della proposta di Sen, quale essa emerge da questi saggi, ora finalmente disponibili in italiano, e di indicare alcuni dei nodi problematici che essa pone.
Punto di partenza dell'elaborazione di Sen è l'affermazione che quello di sviluppo umano è un concetto intriso di giudizi di valore, dal momento che da esso sono poi derivati i criteri atti a definire, in un modo piuttosto che nell'altro, cosa debba intendersi per "vita migliore". In quanto lo sviluppo mira, in ultima istanza, al miglioramento dei tipi di vita che gli uomini conducono, esso non può che essere definito in relazione a ciò che gli uomini possono e devono essere e fare. Ciò che conta nel cosiddetto standard di vita è il vivere bene, non il possedere merci di per sé. E il vivere bene consiste, essenzialmente, nella piena realizzazione di talune funzioni, quelle che costituiscono la rete delle capacità di una persona.
L'idea di funzione, già espressa da Aristotele nell'"Etica Nicomachea", è relativa al giovamento che una persona trae da ciò che è o fa. Nutrirsi, abitare, l'essere in grado di circolare liberamente, di vivere il più a lungo possibile, di intessere relazioni sociali, di partecipare alla vita politica, di realizzare la propria creatività, sono altrettante funzioni che uno sviluppo umano deve prefiggersi di promuovere. Proprio perché quella di sviluppo è nozione non neutrale, occorre adottare - insiste Sen - quale spazio valutativo di riferimento non quello delle merci e delle utilità ma quello delle funzioni e delle capacità. Non è dunque sufficiente limitarsi a prendere in esame i beni e le loro desiderabili proprietà; si deve considerare anche la funzione che il soggetto è in grado di assolvere utilizzando quei beni. Tale funzione, che dipende in larga misura dalla relazione che intercorre tra situazione di vita del soggetto e beni, è diversa sia dal possesso dei medesimi, cui è logicamente conseguente, sia dal loro utilizzo, cui è necessariamente antecedente.
Ma vediamo come Sen arriva alla sua etica delle capacità a partire da un'analisi minuziosa dei problemi della fame, della povertà e della giustizia distributiva (cfr., in particolare, i saggi 4, 6, 10, 11. 12).
Tre, almeno, sono le fonti di informazione per valutare il benessere o lo standard di vita di individui o gruppi nella società: i dati di mercato (redditi e consumi degli individui e i loro patterns di spesa); le indagini dirette, volte ad estrarre informazioni dai soggetti interessati; i dati sociali (speranza di vita, mortalità, malnutrizione, istruzione e così via). È un fatto noto che nella ricerca economica ci si è sempre serviti, in prevalenza, della prima fonte informativa, con talune eccezioni, come ad esempio la "scuola di Leyda" che si avvale della seconda fonte di informazioni. Senza nulla togliere all'importanza dei dati di mercato e delle indagini dirette, obiettivo dichiarato di Sen è quello di persuadere l'economista della necessità di servirsi dei dati sociali, ovvero - come lui li chiama - dei "dati non di mercato", nella valutazione di traiettorie alternative di sviluppo. E poiché la ragione principale della mancata utilizzazione da parte dell'economista di tale fonte informativa è l'assenza di una sua cogente fondazione metodologica, Sen si rende conto che, se si vuole provvedere alla bisogna, occorre intervenire a livello dei fondamenti.
Chiave di volta del programma seniano è la nozione (aristotelica) di "star bene" ('well-being' in opposizione a 'welfare'). Nell'analisi economica tradizionale si è soliti identificare lo star bene con la felicità. Il che non è corretto. Una persona povera e portatrice di handicap può egualmente essere felice perché ha imparato, poniamo, a frenare i suoi desideri o a riorientare i propri obiettivi; ma nessuno potrebbe sostenere che questa persona possiede un elevato standard di vita oppure un elevato livello di 'well-being'. Allo stesso modo, lo star bene non può essere eguagliato all'utilità, la quale è trattata, nella moderna teoria economica, come mera espressione della scelta: se scelgo "x" anziché "y", allora vuol dire che l'utilità che traggo da "x" è superiore all'utilità che ottengo da "y". Parecchie possono essere le motivazioni e non necessariamente in consonanza con la percezione che una persona ha del suo 'well-being'. Non solo, ma le preferenze possono dipendere dalla posizione correntemente occupata: una donna sottoposta a un certo sfruttamento può scegliere (e preferire) di vivere in una società dove viene praticato quel tipo di sfruttamento. E non v'è chi non veda che la nozione di 'well-being' non può dipendere dallo stato in cui un individuo viene storicamente a trovarsi.
Cos'è allora esattamente per Sen il 'well-being'? È una valutazione del vettore delle funzioni - come sopra definite - che una persona consegue. In questi saggi, l'economista indiano non si preoccupa però di indicare in quale modo tale valutazione debba essere effettuata. Il suo scopo è quello di convincerci che la valutazione deve essere effettuata su un particolare dominio, quello dello funzioni. Sorge qui una prima difficoltà: i dati richiesti per questo tipo di valutazioni non sono facilmente ottenibili. Certo, quando il riferimento fosse alle economie arretrate, parametri come tassi di mortalità, di istruzione, di speranza di vita e così via rappresentano un'adeguata base di partenza. Una popolazione più acculturata assicura - 'coeteris paribus' - ai suoi membri maggiori funzioni che non una popolazione caratterizzata da bassi livelli di istruzione (il lettore troverà nel volume numerosi esempi di ciò). Ma in economie avanzate i fenomeni di pauperismo sono connessi non tanto alla mera indigenza materiale o a livelli di reddito insufficienti a soddisfare i bisogni fondamentali, quanto a specifiche connotazioni qualitative e partecipative delle persone, connotazioni per le quali non disponiamo (ancora) di parametri adeguati.
Due problemi sembrano sorgere a proposito della misurabilità di funzioni e capacità. In primo luogo, può l'intero stato di funzionamento di una persona essere rappresentato mediante una n-pla di elementi? L'impiego da parte di Sen dell'espressione "vettore di funzioni" lascerebbe intendere un tipo di misurabilità che in realtà non pare possibile. Allo stesso modo, non è affatto chiaro che il livello di esercizio di ciascuna funzione possa essere tradotto nei termini di una scala lineare, come Sen pare invece suggerire. E poi, la misurazione, supposta possibile, deve essere di tipo cardinale o ordinale? Come si può comprendere, la difficoltà qui in gioco è quella della possibile incompletezza degli ordinamenti basati sulle funzioni.
Il secondo problema ha a che fare con la lista delle capacità. Cosa costituisce una lista accettabile di capacità? E come si fa ad essere certi che alcuni elementi della lista non si sovrappongano ad altri? Ad esempio, mortalità infantile e speranza di vita alla nascita sono elementi diversi, ma per certi aspetti e in certi contesti si sovrappongono tra loro. Che valutazione dare di una società che si prefigge di attualizzare una sola delle due capacità? Come comportarsi nei casi in cui due capacità distinte sono tra loro in contrasto, nel senso che il perseguimento dell'una impedisce la realizzazione dell'altra? Come si vede, si tratta di difficoltà formidabili, difficoltà che però vanno in qualche modo risolte se si vuole rendere operativo l'approccio sentano.
Di natura diversa è un terzo problema. Sen sostiene che nella valutazione di traiettorie alternative di sviluppo non possiamo prestare attenzione solamente alle funzioni effettivamente disponibili per gli individui ma anche a quelle potenzialmente disponibili, vale a dire ai loro "insiemi delle capacità" ('capability sets'). Il Nostro è certamente consapevole delle difficoltà di tipo analitico quando ci si pone a ordinare insiemi basati su un primitivo ordinamento di elementi - difficoltà che in anni recenti hanno stimolato la produzione di un'ampia gamma di teoremi di impossibilità. Ma il suo obiettivo primario, in questo libro, è quello di difendere la base concettuale di un metodo, che istituisce confronti basati sulle opportunità piuttosto che sui risultati effettivamente acquisiti dai soggetti. Non si può certo sostenere che l'interesse alle opportunità anziché alle scelte effettive sia nuovo nella teoria economica. Piuttosto la novità sta nel fatto che mentre nella letteratura tradizionale si considera lo spazio delle merci, Sen fa esplicito riferimento allo spazio delle funzioni.
Si pone allora la domanda: come si fa a definire l'insieme delle opportunità di un soggetto? L'analisi economica ci ha abituati a definire tale insieme mediante il familiare vincolo di bilancio. Ma - come è noto - un insieme così definito contiene opzioni illusorie, opzioni cioè che il soggetto non sarà mai in grado di attualizzare, dal momento che le scelte degli altri individui pongono di fatto vincoli al suo insieme di opportunità. (Per fissare le idee, si pensi a quanto accade in un'elementare scatola di Edgeworth in cui sono rappresentati gli insiemi di scelta di due soggetti che scambiano fra loro a partire da dotazioni date).
Se le cose stanno, come stanno, in questi termini, perché mai Sen non si limita ad esprimere il 'well-being' in termini dei risultati acquisiti dal soggetto, lasciando da parte i risultati da questi potenzialmente acquisibili? L'insistenza di Sen nel voler trattare con gli insiemi delle capacità, come sopra definiti, va spiegata con la circostanza che tali insiemi sono in grado di catturare la nozione di libertà in senso positivo. È questo il punto di approdo della ricerca seniana: il well-being deve includere quale sua componente essenziale la libertà, ma non solo quella negativa di cui parla Isaiah Berlin - la libertà come possibilità dell'uomo di autodeterminarsi, di realizzare cioè il proprio potenziale.
La proposta teorica di Sen è innovativa e coraggiosa, anzi sostanzialmente rivoluzionaria per l'economia ortodossa. È la proposta di chi è persuaso che chi è in grado di smontare in teoria il meccanismo sociale può desiderare di cambiarlo in pratica. Tuttavia, ciò non deve esimerci dal riconoscere che ci sono problemi e difficoltà, in primo luogo teorici, al fondo di tale proposta. Mi limito qui a indicare quelli che giudico più rilevanti.
Poiché la nozione di capacità non è univoca, non è sufficiente definirla come possibilità di scelta, ovvero come funzioni possibili a partire dalle quali una persona può scegliere. Di quale tipo di possibilità si tratta? Non certo di possibilità logica. Non è infatti una contraddizione logica quella che, ad esempio, impedisce all'affamato di mangiare. Un secondo problema concerne la relazione fra abilità e capacità. L'abilità, l'essere cioè in grado di esercitare una certa funzione, è la stessa cosa della capacità di esercitare quella medesima funzione? In altro modo, le capacità sono tratti caratteristici di una persona, vale a dire poteri che una persona può o meno attualizzare nelle diverse situazioni oppure - come vuole Sen - sono opzioni (insiemi di opzioni compossibili) per l'azione? E cosa e quanto muterebbe della costruzione seniana qualora si passasse da una nozione di "capacità come possibilità" ad una nozione di "capacità come potere"?
Un ultimo problema. Capacità e funzioni possono essere riferite a oggetti banali oppure importanti. Tanto è vero che si parla di capacità di base primarie, in opposizione a tipi di capacità meno importanti. Come valutare allora le varie capacità; come esprimere su di esse un qualche ordinamento? Le funzioni devono essere considerate tutte egualmente importanti e meritevoli di eguale protezione? Possono esistere capacità moralmente inaccettabili? Se sì, come distinguere tra capacità "buone" e "cattive"? Se la risposta fosse - come taluno ha suggerito - che il male si evidenzia, si registra, solo a livello delle funzioni (cioè delle azioni) e non anche a quello delle capacità - dal momento che la categoria di male postula l'attuazione di una potenza -, allora eguale posizione dovremmo tenere nei confronti del bene e del valore. Il bene si registrerebbe unicamente nelle funzioni e mai nelle capacità. Col risultato che "essere in condizione di godere buona salute", "essere in grado di scegliere" e così via non rappresenterebbero cose buone in sé. Il bene starebbe solo nell'avere buona salute, nella scelta effettiva e così via. Il che non pare proprio accettabile.
Come si comprende, sono questi nodi decisivi che devono essere sciolti se si vuole che l'etica delle capacità possa imporsi all'attenzione dell'economista come matrice filosofica alternativa sia a quella utilitarista sia a quella neocontrattualista. È merito certamente non secondario di Sen quello di aver contribuito e di continuare a contribuire con forza a fiaccare il mito, ancor oggi così radicato in molti studiosi, dell'unicità - e dunque della neutralità - del dispositivo concettuale con cui affrontare il problema dello sviluppo economico. Si potrà non condividere certe sue posizioni, si potrà andare oltre certe sue conclusioni, ma bisognerà in ogni caso fare i conti con esse, se non addirittura partire da esse. D'altro canto, se è vero - come ha scritto G. Ryle - che un grande "filosofo" non è uno che dà soluzioni nuove a problemi vecchi, ma uno che scompagina i problemi della conoscenza, li organizza in modo originale, soprattutto uno che si lascia guidare dalla passione per il possibile, allora Sen appartiene a questa schiera di personaggi fortunatamente non estinta, anche se sotto minaccia di estinzione.

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Amartya K. Sen

1933, Santiniketan

È un economista, filosofo e professore presso la Harvard University. Nel 1998 ha ricevuto il Premio Nobel per l'economia.Nasce nello stato indiano del Bengala occidentale, all'interno di un campus universitario; studia al Presidency College di Calcutta e al Trinity College di Cambridge.Ha insegnato in numerose e prestigiose università tra le quali Harvard, Oxford, Cambridge e Londra. È membro del Gruppo Spinelli per il rilancio dell'integrazione europea. Nel 2005 ha ricevuto una laurea honoris causa in economia, politica e istituzioni internazionali dall'Università degli Studi di Pavia.

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