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Il riformismo possibile. La grande stagione delle riforme: utopie, speranze, realtà (1945-1964) - Carmine Pinto - copertina
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Il riformismo possibile. La grande stagione delle riforme: utopie, speranze, realtà (1945-1964) - Carmine Pinto - copertina

Descrizione


I venticinque anni tra il dopoguerra e gli anni Sessanta trasformarono per sempre il volto dell'Italia e dell'Europa occidentale. La sinistra europea modificò la propria identità politica ed ideologica nel confronto con l'Età dell'oro dello sviluppo industriale e con i grandi cambiamenti sociali che ne furono conseguenza. Anche in Italia una parte della sinistra cercò di realizzare in almeno due occasioni, tra il '45 e il '64, un disegno riformista capace di renderla protagonista del governo del paese. "II Riformismo possibile" esamina questa storia, per capire se e come si formò una cultura di governo in una parte della sinistra italiana, utilizzando una vasta documentazione archivistica. La ricerca lascia sullo sfondo gli aspetti organizzativi, analizzando invece la relazione tra i partiti e il capitalismo italiano, pubblico e privato, con le sue principali istituzioni dalla Banca d'Italia all'ENI.
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Dettagli

2008
31 agosto 2008
213 p., Rilegato
9788849822403

Voce della critica

Il volume presenta una ricerca, frutto di un'esplorazione archivistica, sulla stagione italiana del "riformismo possibile", cioè di quei disegni riformatori più o meno compiuti e incisivi che presero corpo tra il 1945 e il 1964 e, anzi, si addensarono nei primi anni sessanta, in coincidenza con il varo del centrosinistra. Nell'indagine, contratta e implicita in molti passaggi, i filoni del riformismo italiano sono ricondotti a tre matrici: socialista, democristiana, socialdemocratica. "Riformista (…) rimane – osserva nell'introduzione Simona Colarizi – nel linguaggio comunista aggettivo proibito fino al crollo del muro di Berlino". A dire il vero, per farlo digerire Occhetto aveva coniato il più accettabile "riformismo forte", parente delle togliattiane "riforme di struttura". Anche Riccardo Lombardi – si sostiene in queste pagine – aveva fatto appello a un "riformismo rivoluzionario", perché in ambito socialista si finiva spesso per imputare al riformismo una debolezza da superare. La dizione "riformismo rivoluzionario" allude all'impronta giacobineggiante dell'autonomismo lombardiano: non risale, però, agli anni delle infuocate battaglie congressuali del Psi. Malgrado un certo, non organico e non accettato, riformismo sia stato possibile, c'è dunque una riottosità del sistema politico e un disagio teorico a convalidare una linea moderna di positiva trasformazione dei rapporti di potere e delle relazioni sociali. Pinto si sofferma sulla Nota aggiuntiva al Piano presentata da La Malfa nel 1962: i socialisti si opposero a ogni tipo di "concertazione programmata" dei redditi: "Ancora una volta si registrava il peso di una tradizione ideologica che aveva prodotto questo riformismo anomalo". Fatto è che il riformismo in Italia ha sempre avuto bisogno di un aggettivo. Segnaccio.
Roberto Barzanti

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