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recensione di Soletti, E., L'Indice 1993, n. 6
"Già ho cominciata la seconda parte dell'Istoria, e sto in un mare di scritture, che mi consumano il tempo e il cervello. Se ciò non fosse, metterei il pensiero a lavorar qualche altro di questi miei libretti, de' quali, a volerLe scrivere i titoli, avrei a fare una litania", scrive il Bartoli nel 1653. Infatti la "ben increscevol fatica" a cui accenna nella "Ricreazione", della monumentale "Istorta della Compagnia di Gesù" che lo teneva "inchiodato in Roma" dal 1648 (e a cui si dedicherà fino alla morte nel 1685), doveva di necessità limitare il tempo che lo scrittore poteva dedicare agli studi più amati e congeniali e ostacolare la stesura di opere già definite nel soggetto e nelle linee di svolgimento. Le opere di edificazione morale, gli studi grammaticali e i trattati scientifici dell'ultimo periodo sono dunque frutto di una passione sottratta all'oneroso impegno di storiografo ufficiale. Sono opere estratte da un prodigioso archivio della memoria in cui il Bartoli ordinava e selezionava, riuniva per argomenti ed esempi, florilegi di citazioni, l'immenso patrimonio della sua cultura e della sua erudizione storica e dottrinale, letteraria e filosofica, scientifica e geografica. L'assiduo studio e la lunga consuetudine con i prediletti autori classici e cristiani, compongono la "viva libreria" di "morti libri" della sua memoria, l'enciclopedico schedario di materiali già predisposti a costituire la trama argomentativa e il corredo espositivo di un testo. In questo processo l'elaborazione e la scrittura avrebbero dunque richiesto assai poco tempo, secondo quanto precisa lo stesso scrittore: "Ma la materia per me è niente, perché in due settimane ne truovo, da quel poco che ho studiato, quanto mi basta per un libro; mi manca il tempo da comporre; ché l'Istoria tutto il vuole per sé". A questa perfezionata tecnica dell'inventio si accompagna la "qualità della prosa bartoliana, dove tutto scorre così facile e abbondante ed è tutto così controllato e puntigliosamente riveduto: frutto di un'educazione retorica che era insieme disciplina del pensiero ed esercizio di alto artigianato compositivo", annota Bice Mortara Garavelli nella sua densa ed elegante introduzione. Cura e controllo meticoloso della scrittura, ricchezza della lingua, eleganza dello stile, sono pregio e bellezza della "Ricreazione del savio", opera molto celebrata a ragione in passato. Delle due edizioni stampate in vita dall'autore -nel 1659 e nel 1684-è riprodotta la seconda, sottoposta a una radicale revisione e che deve quindi considerarsi definitiva. Infatti le varianti del 1659 riportate nella "Nota al testo" indicano la coerenza e la sistematicità di alcune correzioni linguistiche, conformi del resto con le soluzioni proposte nei trattati grammaticali del Bartoli, mentre alcune aggiunte o soppressioni di passi bene illuminano sull'evoluzione degli interessi culturali dello scrittore. Non meno ricca e interessante l'analisi della scrittura bartoliana celebrata anche in passato.
Lo stile del Bartoli "tutto risalti e rilievi" (questo pregio, tra gli altri, sottolinea Leopardi), è mosso, composito e vario per la continua alternanza dei piani discorsivi e dei registri. Il "savio in discorso con la natura" indica nella sua veste più letterale un dialogo e un intreccio tra il latino delle fonti e l'italiano, che si alternano con naturalezza senza creare bruschi salti tonali. La profonda sensibilità ritmica dello scrittore armonizza e ricrea lo stile della citazione nella pagina o, viceversa, riadatta e rimodella ad arte la citazione perché meglio si fonda nel tessuto discorsivo. La sintassi ora si distende ampia e fluente in rigogliose enumerazioni, come in alcune splendide parafrasi con variazioni da Agostino, ora assume un andamento spezzato, scandito dalle insistite sequenze di interrogative, che riproducono l'enfasi oratoria di alcuni passi di Ambrogio e di Tertulliano. Ma, su tutto, hanno rilievo la vivacità e l'efficacia espressiva delle descrizioni che sono animate e "teatralizzate". Lo scrittore infatti crea fondali "con raffigurazioni fittizie di scene riprese come dal vivo" (Introduzione), e dentro questi scenari gli autori, come attori, sono introdotti a parlare guidati, si direbbe, da didascalie di regia ("S'alza qui Tertulliano"; "Grida colà appresso Sant'Agostino un non so chi").
In questa animazione dialogica continuamente si inserisce il narratore che spezza la solenne monotonia del discorso dottrinario e dell'esegesi erudita con commenti di stampo colloquiale che simulano la spontaneità e la negligenza del parlato. Ad apertura di pagina si leggono espressioni proverbiali, immagini colorite, anche ironiche e burlesche, similitudini che appianano la difficoltà concettuale del discorso ("Quante parole tanto oro"; "Giobbe, che alle tante saette che gli piagavano il corpo, sembrava, per così dire, un istrice"; "Agostino... ebbe gli antipodi a beffe"; i pianeti non sono chiusi "entro sfere di cristallo, comprese l'una entro l'altra come gli scogli delle cipolle").
Dietro questo stile brillante, dietro questa somma padronanza del mezzo espressivo si riconosce l'esperienza del celebre e ammiratissimo predicatore. Ma per l'una e l'altra esperienza decisivo è il modello della "composizione visiva del luogo" teorizzata da Ignazio di Loyola negli "Esercizi spirituali". Su questo nuovo e fecondo spunto interpretativo si sofferma la curatrice sottolineando l'energia e la forza della rappresentazione mentale "nel dare corpo, ordine e vita al repertorio figurativo del Bartoli". Alla potenza dell'immaginazione nel far vedere attraverso i testi si accompagna l'osservazione diretta. Lo scrittore condivide l'entusiasmo del secolo della nuova scienza per il metodo sperimentale, per la possibilità di cogliere per mezzo dello "stupendo artificio" del microscopio le proprietà e la stupefacente complessità di ogni organismo. Quasi topica allora in questo senso l'osservazione della "notomia del ventre d'un piccolissimo seme", che il sole non trascura di 'lattare' "con le rugiade"; dei "minutissimi animalucci"; la descrizione da antologia delle chiocciole, che molto concede all'esuberante descrittivismo barocco, ma che pur si fonda sullo studio diretto delle collezioni di Kircher conservate al Collegio Romano. Spontanea allora l'associazione con il nome di Galileo e della sua scuola, oggetto di elogio nei posteriori trattati scientifici, anche se i fondamenti della nuova scienza sono inaccettabili per intima convinzione e coerenza. Semmai con Galileo il grande gesuita condivide l'atteggiamento affabile e cordiale verso il lettore, la capacità soprattutto di divulgare il sapere con eleganza, non priva di ironia, e di restituire a chi legge la profondità di un'affascinante avventura dell'intelligenza.
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