La ribellione

Dopo "Giobbe" un altro personaggio indimenticabile e un altro capolavoro di Roth.

Un romanzo (breve) in cui la vicenda del protagonista – Andreas, un uomo leale, fiducioso nella patria e fiero della sua medaglia al valore – ha come sfondo due questioni macrostoriche rilevanti, che ne indirizzano il destino verso una progressiva serie di (ribellioni e) sconfitte. Da una parte il fallito reinserimento nella società dei mutilati di guerra (di cui Andreas, storpio, fa parte), coloro che «erano ciechi e o paralitici. Zoppicavano. Una pallottola li aveva colpiti alla spina dorsale. Aspettavano un'amputazione o erano già amputati (9)» e che «già si attrezzavano a sostenere una nuova guerra: contro i dolori, le protesi, le membra storpiate, la schiena curva, le notti insonni; e conto i sani (ibid.)». Dall'altra, la fase storica successiva al tramonto dell'impero asburgico (il cui epos è il leitmotiv della "Marcia di Radetzky"), quella Repubblica di Weimar scossa dalla repressione antisocialista (la caduta del protagonista inizia con l'accusa di essere un sovversivo, «un bolscevico. L'ho sentito io come aizzava gli altri alla riunione degli invalidi (77)») che costò la vita a Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. «Se siamo condannati a soffrire, perché non soffriamo tutti nella stessa misura? (154)»: la ribellione di Andreas – lo sapevamo dall'inizio – fallisce, ma la sua umanità lo inserisce, insieme a Mendel Singer ("Giobbe. Romanzo di un uomo semplice"), nel novero dei grandi personaggi letterari.

Uno dei romanzi più belli in assoluto che racconta la fine. Di un'epoca ma ma anche della nostra vita. Roth è un genio assoluto