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La repubblica di Weimar. 1918-1933: storia della prima democrazia tedesca - Heinrich A. Winkler - copertina
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La repubblica di Weimar. 1918-1933: storia della prima democrazia tedesca
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La repubblica di Weimar. 1918-1933: storia della prima democrazia tedesca - Heinrich A. Winkler - copertina

Descrizione


«Gli anni dal 1918 al 1933 furono un'epoca drammatica per la Germania. E gli storici non debbono cercare di sdrammatizzarli». Con questo approccio, che assume e riprende tutta la tensione critica evocata dalla storia della Repubblica di Weimar, Heinrich August Winkler, il più autorevole studioso della storia tedesca del primo Novecento, si ricollega ai grandi modelli della storiografia classica, ma al tempo stesso richiama il contributo offerto dalle scienze sociali all'analisi degli avvenimenti della prima Repubblica tedesca. Di certo, quegli anni sono stati decisivi, e non solo per la storia tedesca; se la Repubblica di Weimar non fosse fallita e Hitler non fosse andato al potere, il mondo in cui oggi viviamo sarebbe completamente differente. Una domanda si ripropone dunque insistente: Weimar si sarebbe potuta salvare o il suo fallimento era inevitabile?Questo libro, che si può definire come una pietra miliare della storiografia su Weimar, prende le mosse da una simile domanda, ma non offre subito una risposta. Vengono dapprima passate in rassegna tutte le fonti documentarie. Il lettore ha così la possibilità di giudicare autonomamente e di sottoporre a verifica gli stessi giudizi dell'autore. Il risultato è una storia di Weimar quale fino a oggi non era mai esistita: basata su solidissime fondamenta scientifiche e al tempo stesso altamente comprensibile, precisa nell'analisi e insieme suggestiva nel racconto, avvincente ma anche capace di suscitare un giudizio riflessivo da parte del lettore.

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Dettagli

1998
4 novembre 1998
XVI-815 p., Rilegato
9788879894289

Valutazioni e recensioni

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david
Recensioni: 5/5

Uno dei testi base per lo studio della Repubblica di Weimar

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Mario
Recensioni: 5/5

Un libro storico per eccellenza 800 pagine ben scritte con il filo logico che facilita la lettura Alla fine ben si capisce come questo pezzo di storia abbiamo determinato la tragedia della seconda guerra sul mondiale. Eppure la repubblica dì Weimar, vanta una costituzione all’avanguardia rispetto agli altri stati europei Una costruzione ispirata alla democrazia Da leggere sicuramente

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Michele Botta
Recensioni: 5/5

Il libro di Winkler è sicuramente la sintesi fondamentale su un periodo cruciale della storia tedesca ed europea. La storia della "repubblica malata" è il simbolo di una nazione e di un continente caduto lentamente ma inesorabilmente nella barbarie nazi-fascista e infine nella catastrofe della guerra. Peccato per l'edizione piena, soprattutto nelle ultime 300 pagine, di errori di stampa: per un libro dal costo di 46,48 euro si poteva fare di meglio!

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Voce della critica


recensioni di Riberi, L. L'Indice del 1999, n. 07

Qual è il posto di Weimar nella storia? È una domanda che dopo la riunificazione tedesca ha certo assunto un nuovo senso; e non è un caso che intorno al 1990 siano state pubblicate in Germania diverse opere di sintesi che, poggiando su una mole di studi e ricerche ormai immensa, tentano di fornire nuove risposte e sistematizzazioni. Questa di Winkler è una delle più notevoli, non solo per le dimensioni, ma perché punto di arrivo di una ricerca ormai più che ventennale, dato che Winkler si occupa da tempo del "problema Weimar", sia a livello teorico (con vari scritti che tentano un inquadramento concettuale della rivoluzione tedesca, quindi delle origini della repubblica) sia con una cospicua produzione storiografica. La caratteristica più evidente del suo libro è che si tratta di una storia quasi esclusivamente politica, nel senso più tradizionale del termine, e cioè storia di governi, parlamento e partiti, anche se attenta alle basi sociali della politica e agli aspetti di politica economica e sociale, fondamentali per gli sviluppi interni della repubblica. Una scelta che potrebbe apparire controcorrente rispetto agli attuali orientamenti storiografici, se non fosse che quest’ottica è la più adatta agli scopi che Winkler si è prefissato. Egli dichiara infatti che la sua è la "storia di un problema", ovvero del rapporto tra le cause del crollo della repubblica e possibili spazi di manovra e alternative. È, naturalmente, la questione centrale affrontata da gran parte degli studi su Weimar, nella quale si possono distinguere due prospettive, anche se spesso intrecciate: quella politica delle difficoltà di formazione di maggioranze parlamentari in grado di esprimere un governo, e delle alternative ai governi presidenziali; e quella socio-culturale delle cause della crescente disaffezione degli elettori per la repubblica parlamentare, che alla fine portò alla creazione di maggioranze parlamentari ostili al parlamentarismo.

Winkler ha scelto di concentrare l’analisi del secondo punto in un unico, denso capitolo, posto al centro del libro: questo capitolo sulla "società divisa" costituisce così la fondamentale chiave interpretativa dell’intera opera. Qui l’autore illustra con abilità e ribadisce un elemento decisivo della società weimariana, ormai assodato da molti studi monografici: l’estrema frammentazione della società, l’esistenza di milieux politici, sociali religiosi, culturali, geografici, in parte ereditati dall’impero, nettamente distinti e caratterizzati da un basso grado di reciproca comunicazione, che è alla base anche della scarsa disponibilità dei partiti alla trattativa e al compromesso. È questa frammentazione che appare in fondo all’origine sia della rivoluzione "incompiuta" del novembre 1918, della mancata democratizzazione degli apparati amministrativi e militari (che Winkler, seguendo una tradizione storiografica consolidata, considera il "peccato originale" della socialdemocrazia), sia dell’instabilità delle maggioranze governative, che a sua volta spinse il dualismo presidente/parlamento, di per sé non uno specifico fattore di debolezza, lungo una china senza ritorno. Sullo sfondo di questo quadro Winkler sviluppa, con grande ricchezza di temi e di argomenti, la sua prospettiva storico-politica, in un’ottica che è chiaramente influenzata dal nefasto esito della crisi del 1930-33 (che infatti copre un buon terzo del libro), ma che non si può certo definire deterministica.

Per Winkler le costanti difficoltà di coalizione si dovettero in primo luogo al fatto che i partiti della "coalizione di Weimar" – Spd, Centro cattolico e democratici (Ddp) – persero già nel 1920 la maggioranza in parlamento; da allora le uniche possibilità per un governo di maggioranza furono costituite o da una grande coalizione che includesse anche il partito popolare (Dvp), o da una coalizione di destra con il centro e i tedesco-nazionali (Dnvp). Ma si trattava di forme comunque conflittuali: nelle grandi coalizioni nacquero contrasti sulla politica economica e sociale, i governi di destra si infransero sulla politica estera o culturale. Il ricorso alle leggi dei pieni poteri e alle ordinanze di urgenza in base all’art. 48 della Costituzione, dapprima utilizzate in momenti di crisi nel periodo 1919-23, divenne così normale prassi di governo a partire dal 1930, per assurgere poi a strumento di un progetto di restaurazione autoritaria.

Sulle debolezze strutturali del sistema politico pesarono anche altri elementi, come la questione delle riparazioni di guerra, che influenzò la politica economica ed estera di quasi tutti i governi di Weimar, o la grande crisi del 1929, che portò tra l’altro a una polarizzazione politica e sociale che contribuì al blocco del parlamento. Ma lo scivolamento del parlamentarismo weimariano nell’abisso ha del resto dei precisi responsabili: anche per Winkler la fine della repubblica va attribuita sia alla crescente indisponibilità delle forze borghesi alla collaborazione con la socialdemocrazia (che alla fine risultò essere, tra dilemmi e contraddizioni, l’unico partito fedele alla repubblica democratica), sia all’operato delle vecchie élite, in particolare la maggioranza dei grandi industriali, i grandi agrari, i vertici militari e la camarilla intorno al presidente Hindenburg, che operarono apertamente per il trasferimento del potere dal parlamento al presidente. Furono segmenti della borghesia, spaventati dalla crisi economica e dalla presunta minaccia comunista e sensibili ai richiami del nazionalismo radicale, a infrangere "la fondamentale legge non scritta della repubblica di Weimar, vale a dire la collaborazione della Spd e del centro borghese", provocando l’erosione verso destra di questo centro. Ma fu anche quello che già nel 1932 il giurista socialista Ernst Fraenkel bollò come feticismo costituzionale a impedire alle forze democratiche tentativi di riforma della Costituzione che avrebbero forse ripristinato una situazione di normalità nel rapporto tra parlamento e governo. E di fronte ai grandi successi elettorali dei nazisti e alla cinica tattica pseudolegalitaria di Hitler, che finì per apparire il difensore di una Costituzione che voleva cancellare, la destra tradizionale attuò il piano suicida di "addomesticamento" dei nazisti offrendo a Hitler il cancellierato: una soluzione che non era una necessità, ma solo una possibilità.

Nel complesso, questa poderosa sintesi non apporta novità sostanziali alla storia di Weimar, né cambia le grandi linee del quadro politico. Il suo interesse sta però nel carattere omogeneo dell’impianto, che, rinunciando a una storia "globale", offre un quadro preciso e dettagliato dell’involuzione del sistema politico del primo Stato nazionale democratico tedesco. Weimar non è più così solo la preistoria del Terzo Reich o l’elemento di contrasto delle due Germanie successive, "ma, in positivo e in negativo, preistoria della seconda democrazia della Germania unita".

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