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scheda di Ricaldone, L. L'Indice del 2000, n. 02
Il Settecento come secolo "povero" (fatta eccezione per Alfieri, Casanova, Goldoni, Metastasio e Parini, dei quali peraltro solo quest'ultimo non varca i confini per l'estero); l'Italia come paese defilato dal "mixing di politica, economia, arte" che costituisce in Europa la novità emergente, e privo, in letteratura, del genere romanzo. Questo il contesto in cui si colloca la nascita del termine popolo. Sostantivo instabile, che denota l'inqualificato, l'anonimo, la massa, ma anche, nel Settecento per la prima volta, un'entità (borghese) che detiene diritti. In quanto potenziale produttore e consumatore, è ad esso che ci si rivolge con le arti educative, le attività produttive e le nuove scienze che ne organizzano i bisogni. Con l'aggettivo "popolare" si intende non lo spontaneismo, ma la funzionalità. Come in politica, del resto: il popolo rispose negativamente all'iniziale messaggio giacobino perché il discorso non corrispondeva al suo utile, non era cioè popolare. Dell'altro concetto politico-letterario chiave, neoclassico, Portinari ripercorre l'etimologia: da classis, flotta in ordine di battaglia, a classici, della prima classe, il contrario di proletario, a classificazione (di Linneo), a classifica come graduatoria, a classico nel senso di esemplare, di fuori dalla storia. Classicismo allora come "organizzazione dell'inesistente", essendo il modello sempre "altrove". Portinari rinvia infine alla corte di Vienna (e per estensione amministrativa al milanese) e a Metastasio, nelle cui opere teatrali sono individuate le rispondenze con il romanzo: prima fra tutte la subalternità del fatto eroico alle esigenze della dinamica quotidiana.
(L.R.)
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