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La raffigurabilità psichica
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2004
1 marzo 2004
240 p., Brossura
9788826315058

Voce della critica

I Botella aprono il loro lavoro ponendo subito una questione molto attuale: dobbiamo andare oltre Freud o restare ancorati al suo pensiero senza necessariamente aprirci ad altre discipline? Mi sembra che diano la risposta già nell'introduzione, in cui sintetizzano il loro pensiero frutto della loro esperienza clinica: la vita psichica si basa su una continua trasformazione, dalla non rappresentazione alla raffigurabilità tesa a colmare il vuoto della non rappresentazione, dalla traccia della memoria senza ricordo (che penso corrisponda alla memoria implicita, anche se gli autori non usano mai questa espressione), al sogno che può rappresentarla simbolicamente. Il compito dell'analista entra in questo contesto come lavoro di raffigurabilità derivato dalla regressione formale del suo pensiero in seduta e strumento di accesso alla memoria senza ricordo sopra menzionata.

La raffigurabilità viene definita come una forza sensoriale dell'immagine, rappresentazione pittografica di una fantasia che entra nel teatro della mente a sostituirsi al vuoto della non rappresentazione. Il libro è un tentativo di rispondere a questa complessa questione, che tiene conto della negatività. Questa riemerge nella separazione dall'analisi che risveglia i traumi dell'infanzia, fa riemergere la sessualità infantile e permette l'instaurarsi di un'autentica nevrosi di transfert, attualizzazione della nevrosi infantile. In questa regressione trova consistenza l'interpretazione del transfert e del racconto del sogno che permetta il ritorno del rimosso. Gli autori qui trascurano il fatto che anche il non rimosso può riemergere nel transfert e nel lavoro del sogno.

Discutendo il caso di Thomas e del suo fare del lupo una raffigurazione come difesa dall'angoscia della non rappresentazione, gli autori non colgono il fatto che la raffigurazione lupo è il risultato di un lavoro psichico, promosso dall'analista, teso a colmare il vuoto della non rappresentazione che a sua volta è espressione di un inconscio che non può essere rimosso. In Thomas la raffigurabilità psichica è un modo per portare alla luce, attraverso le emozioni e senza il ricordo, esperienze infantili precoci che hanno condizionato la sua vita affettiva, un "contenitore" di una situazione traumatica non rappresentata perché non rimossa.

Si pone qui un problema centrale alla psicoanalisi contemporanea: il ruolo dell'analista nel processo ricostruttivo che passa attraverso la raffigurabilità intesa come formazione equivalente al contenuto manifesto di un sogno. I Botella precisano: "Nel corso di ogni lavoro analitico, la raffigurabilità dell'analista fa parte del processo analitico e rappresenta uno strumento prezioso per raggiungere alcuni strati della vita psichica dell'analizzato". La raffigurazione (immagine) che l'analista offre al paziente deve permettergli di essere "convinto" di sentirsi il bambino della storia. Per questo, l'analista è condannato a rappresentare, fantasticare, creare immagini che diventino potenziali contenitori che permettano all'analizzando una raffigurabilità, cioè rappresentazioni che gli rendano possibile la riscrittura della sua storia personale più precoce. Questo processo è ricostruttivo.

Prezioso in questo processo è il sogno per la sua attività allucinatoria e la sua stessa raffigurabilità. Questa raffigurabilità che nasce nella mente dell'analista può rivelare quel qualcosa di non rappresentabile che si muove nella mente dell'analizzando. Il compito dell'analista sarà allora quello di rendere comprensibile e verbalizzabile la traccia non rappresentabile della mente inconscia del paziente, cioè di tradurla in rappresentazioni di parole.

La descrizione dell'analisi di Jasmine è certamente la parte più toccante del libro e quella che caratterizza clinicamente le riflessioni teoriche esposte nei capitoli precedenti. Jasmine è una vietnamita vittima, all'età di due anni, di un gravissimo trauma: fu ritrovata, e nessuno sa da quanto tempo, vicino al cadavere di sua madre. Adottata da una coppia di francesi, le sue difficoltà si manifestano all'inizio della scuola, nel periodo di latenza, quando il suo apprendimento è molto disturbato. In analisi Jasmine sembra vivere solo nel presente. Il suo passato non esiste. È costantemente negato. Non crede alle notizie sul suo passato, sulla sua provenienza, sul colore della pelle. Tutto è negato. È attraverso un lavoro di "raffigurabilità", condiviso con l'analista, che nasce in lei un'immagine del villaggio natale. Nel tempo dell'analisi, "la seduta diventa una sorta di macchina per ripercorrere il tempo, per rendere credibile, quasi reale, un passato comunque senza ricordi, un passato anastorico". Nel transfert l'intensa identificazione proiettiva fa sì che Jasmine sia convinta che anche l'analista sia nato in Vietnam. Ma l'aspetto più interessante ed emozionante dell'analisi di Jasmine era il transfert passionale nell'attualità della seduta che la conduceva verso una memoria distrutta dal trauma. Le immagini che nascevano dall'incontro analitico narravano una storia, una fiaba cui Jasmine poteva credere e accettare l'identità che ne scaturiva. Una ricostruzione che permetteva a Jasmine di accedere alle emozioni che non potevano essere ricordate ma continuavano a operare in lei costringendola al silenzio e alla negazione.

"Con casi traumatici come quello di Jasmine - concludono gli autori - la teoria analitica subisce uno sconvolgimento. Siamo (...) lontani da una problematica della memoria legata alla rimozione". Giusto: la scoperta dell'inconscio non rimosso, infatti, legato alle esperienze traumatiche della prima infanzia, depositate nella memoria implicita che non ne permette il ricordo, ha trasformato profondamente la teoria psicoanalitica della mente e conseguentemente la stessa tecnica dell'analisi. Ne è una conferma quanto i Botella scrivono: "In questa terapia, le immagini mnestiche non potevano sorgere da un passato sotto forma di ricordo (...) la memoria senza ricordo di Jasmine si risvegliava grazie a una regressione in comune con il terapeuta e seguiva un percorso condiviso verso un contenuto accessibile alla coscienza". La memoria senza ricordo di cui parlano non può che essere la memoria implicita e le dinamiche inconsce che hanno condizionato la vita affettiva di Jasmine e le sue difese in analisi non sono state prodotte dalla rimozione, in quanto vissute in una età troppo precoce per la maturazione della sua memoria esplicita necessaria alla rimozione. Si tratta di operazioni inconsce non rimosse della mente di Jasmine che le hanno impedito di ricordare il trauma e il ritorno del dolore di fronte a una esperienza non rappresentabile e l'hanno convinta, attraverso una scissione inconscia e un'identificazione proiettiva, che lo stesso analista fosse nato in Vietnam.

Gli autori ritornano, verso la fine del loro lavoro, al problema della rappresentazione e alla nozione di irrappresentabilità, lamentandosi che la nozione di rappresentazione sia rimasta imprecisa e densa di significati diversi nell'opera di Freud, comunque indissociabile dalla rimozione originaria e organizzativa dell'inconscio stesso. Oggi dobbiamo pensare che questo concetto, che costituisce il sistema inconscio non rimosso, è dissociabile da quello di rimozione. Questo inconscio non rimosso si collega al concetto di irrappresentabile, concetto che "pone dei problemi considerevoli alla teoria psicoanalitica: quelli della conoscenza, della coscienza e della percezione. Dei concetti poco trattati nella letteratura psicoanalitica". È chiaro che il non rappresentabile deve contenere qualche cosa che non può essere pensato, né verbalizzato, né conosciuto come una cosa in sé. Di quest'ultima sappiamo che possiamo conoscere solo una sua eventuale trasformazione. I Botella si domandano se l'irrappresentabile possa essere superato ogniqualvolta le conoscenze progrediscono o se, al contrario, esso è irrevocabilmente l'ultima rappresentazione possibile della nostra realtà psichica.

A me sembra chiaro che se noi restiamo ancorati alla rimozione di una pulsione proibita, dovremo necessariamente arrestarci ai limiti di ciò che è rappresentabile e considerare il non rappresentabile fuori della portata del nostro metodo di indagine e di cura. Se invece si ammette l'esistenza di un inconscio non rimosso, prodotto dalle esperienze (anche e soprattutto traumatiche) della primissima infanzia depositate nella memoria implicita e che non possono essere rimosse, allora dobbiamo ammettere che esse non possono essere rappresentate. Ma - come scrivono gli stessi autori - "l'assenza di contenuto rappresentabile non vuol dire assenza di avvenimento". E l'assenza di rappresentazione non significa che gli avvenimenti non possano essere recuperati attraverso una loro trasformazione simbolica ed emotiva.

La psicoanalisi contemporanea deve fare i conti con lo sviluppo delle conoscenze che riguardano le relazioni infantili più precoci e più traumatiche e perfino con le esperienze prenatali che il feto può vivere, specie dopo la maturazione della corteccia cerebrale. È necessario domandarsi se il contenuto dell'inconscio non rimosso è rappresentabile oppure no. Se, come sembra logico, non lo è, allora bisogna domandarsi come il non rappresentabile possa essere conosciuto attraverso gli strumenti operativi della psicoanalisi: il transfert e il sogno. Una discussione su quest'ultimo tema esce dal limite della mia recensione. I Botella non approfondiscono questo problema. Essi si limitano a parlare di "traccia originaria" paragonandola alla non rappresentazione e affermando che essa non può essere recuperata nel ricordo, ma "può tornare solo con il carattere di attualità sia allucinatoria che reale". Qui gli autori mantengono una certa prudenza e non entrano nel vivo della questione, perdendo l'occasione di indicare il transfert e il sogno come i momenti in cui il non rappresentato attraverso una sua trasformazione metaforica e simbolica può manifestarsi. Riferendosi alla "traccia originaria", si limitano a dire che "ogni notte, si produce la riattualizzazione di questa traccia [e che] siamo così esposti durante il sonno al rischio di non-rappresentazione traumatica che tenderebbe a risvegliare l'impotenza assoluta della mancanza, di cui la traccia originaria è portatrice". Un rischio - concluderei - necessario per poter raggiungere il non rappresentabile e renderlo accessibile al pensiero e alla parola.

In sintesi: questo dei Botella è un libro che può aprire prospettive stimolanti alla teoria e alla pratica della psicoanalisi con l'introduzione del concetto di "raffigurabilità psichica" che in analisi può colmare il vuoto della sua rappresentazione. Purtroppo gli autori si mantengono a un livello superficiale di presentazione delle loro idee e del materiale clinico, senza approfondire le origini dell'inconscio non rappresentabile e senza prendere in considerazione i contributi più recenti delle neuroscienze relativi alla memoria implicita che offrono alla psicoanalisi l'opportunità di teorizzare l'inconscio non rimosso e di elaborare strategie per raggiungerlo, anche senza il ricordo, attraverso il transfert e il sogno.

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