I racconti di Lydia Steptoe

Tre insofferenti diari, tre inquietudini immerse in età distanti che riflettono sulla vita e sembrano insieme già rifiutarla, comprenderne i guasti, i passaggi dolciastri, le cadute di senso, e che già nel primo quadro ci incantano con questa massima non piccola: "Non bisogna guardarsi dentro quando il dentro è ancora tenero". Forse tre proiezioni dell'autrice, parola e azione che si corteggiano e si dividono, stanchezze e slanci a cercare luce fra i vicoli dei giorni se capita di leggere con piega quasi aristocratica che "in fin dei conti dallo stalliere al principe è il destino di tutte le donne affascinanti". Un tempo fisico che nei tre incontri copre anni adulti e freschissimi, tutti però sempre soffiati da una sola cadenza: una volontà d'essere amati, lo sforzo del conoscersi e intravedere un segno di felicità dentro gli strappi del mondo d'intorno. Ma soprattutto un faccia a faccia, uno scontro interiore fra la donna e il tempo, conflitto spesso atroce e senza uscita quando si arriva a una sentenza così dilaniante: "Una donna deve ringiovanire!". Capita allora di fronteggiare frasi come questa: "Com'è crudele la ragione! Com'è subdola l'assenza di ragione!". Si stenta a rinvenire un brandello di verità su se stessi, si annaspa fra periodi sgualciti come a mendicare un trucco, una voce in soccorso, mentre il sipario prepara la scena a una delle frasi più splendide della letteratura mondiale: "Perché il destino è sempre all'ingiù e mai all'insù". Siamo e restiamo nelle illeggibili pozze dell'amore, "quel gesto segreto chiamato amore", carica e smacco al tempo, potenza e abbandono fra gli stretti lacci di una forma da osservare: "Una donna ha l'età che dimostra, un uomo quella che si sente". E' un precetto tuttora valido? O solo lotta senza fine fra rughe penzolanti e alito di domani? "Se quel bruto di Enstein si fosse preso a cuore la mia relatività...". Djuna fa sempre centro proprio perché lo manca. Sa perfettamente che quest'assioma è la letteratura.